mercoledì 21 maggio 2014

L'oro nero non ci porta ricchezza!

La Basilicata viene vista, oramai, sempre più come un territorio da sfruttare, prosciugare, trivellare, fino all’ultima goccia di idrocarburi disponibile. Il tutto senza rispetto per l’ambiente circostante né tantomeno per gli sfortunati abitanti dei comuni in cui le multinazionali estraggono.
Il colpo di grazia lo ha dato anche l’ex premier Romano Prodi, in una recente (ed inquietante) dichiarazione rilasciata durante un’intervista al Messaggero, in cui proponeva di avviare un enorme programma di sfruttamento intensivo delle (reali o presunte) riserve di gas e di petrolio italiane. Precisamente, la proposta era che l'Italia si unisse al programma di ricerca del petrolio in Adriatico avviato di recente dalla Croazia: “Se non ci uniamo alle trivellazioni, finiremo per avere gli svantaggi del progetto croato”, afferma il professore, ovvero ci ritroveremmo ad avere i pozzi di fronte alle nostre coste senza averne i benefici, cioè la supposta ricchezza che quei barili di greggio dovrebbero creare. Ma quali sono le mire delle multinazionali nel Belpaese? I mari della Sardegna, le montagne e le valli della Basilicata (Val d’Agri e dintorni), la Valle dei Templi di Agrigento, lo Ionio (proprio a ridosso delle coste ci sarebbero “interessanti sacche di idrocarburi”) e le vaste e fertili pianure dell'Emilia. E poi l'Adriatico, da Venezia sin giù alle coste della Puglia.
Queste zone, tra le più belle d'Italia, farebbero alle multinazionali dell'energia perché sarebbero tutte “ricche di gas e petrolio da estrarre”.
Ma chi trarrebbe ricchezza da tutta questa attività estrattiva? Davvero il nostro Paese potrebbe risollevarsi dalla crisi grazie ad una intensa attività estrattiva, come diceva il professore?
Di certo in Basilicata non è stato così! E i numeri parlano chiaro.
Nonostante il petrolio, la Basilicata è la regione più povera d'Italia: dati Istat 2010. Ed ha una percentuale di morti per tumore più alta della media nazionale: dati dell'Associazione Italiana Registro Tumori!
Ma vi è di più: il tasso di disoccupazione è costantemente in crescita, secondo i dati Cgil: “Nella sola Val d'Agri (dove è più intensa l'attività dei petrolieri) ci sono 8 mila persone tra disoccupati e inoccupati”. Senza contare che la nostra regione ha oltre 400 siti contaminati dalle attività estrattive: dati della Commissione Bicamerale sul Ciclo dei rifiuti.
Come se non bastasse, chi denuncia va in galera!
Giuseppe Di Bello, tenente della Polizia Provinciale di Potenza che aveva segnalato una massiccia presenza di idrocarburi nelle acque del lago del Pertusillo, a due passi dal Centro Oli Eni a Viggiano, è stato sospeso dal servizio, dalla paga e dai pubblici uffici per due mesi, sottoposto a un processo e spostato a guardare le statue in un museo. Stesso dicasi per il giornalista e coordinatore dei Radicali lucani Maurizio Bolognetti. E intanto, nel lago del Pertusillo i pesci continuano a morire e l’acqua di molti invasi e falde risulta contaminata da liquami di scarto ed idrocarburi. Nella sola Val d'Agri ci sono 39 pozzi, alcuni a pochi metri da una scuola materna, uno addirittura che sovrasta un municipio. “Sono stati trovati 6458 microgrammi/litro di idrocarburi in tre punti in cui il lago che porta acqua potabile nei rubinetti di Puglia e Basilicata è stato analizzato” denuncia Albina Colella, geologa e sedimentologa dell'Università degli Studi della Basilicata. “Su undici campioni di sedimenti, ben sette avevano presenza di idrocarburi superiori al limite di riferimento”. Ma non basta: uno studio dell’Università della Basilicata (Dipartimento di Chimica) ha rilevato tracce di idrocarburi in diversi campioni di miele prodotto a Corleto Perticara e in Val d’Agri dove l’attività di estrazione del petrolio da parte di Eni procede senza sosta, dopo che l’anno scorso il centro olio di Viggiano ha ottenuto tutte le autorizzazioni per la messa in funzione della quarta linea.
E oltre al danno ambientale si aggiunge la minaccia delle tecniche estrattive adoperate per la ricerca di idrocarburi: il famigerato fracking. Il cosiddetto “Hydraulic Fracturing” o più semplicemente fracking consiste nella fratturazione idraulica ottenuta mediante la pressione di un fluido per creare e poi propagare una frattura in uno strato roccioso nel sottosuolo. La fatturazione viene eseguita dopo una trivellazione entro una formazione di roccia contenente idrocarburi, per aumentarne la permeabilità al fine di migliorare la produzione del petrolio o del gas da argille contenuti nel giacimento e incrementarne il tasso di recupero. Da notare che la fratturazione idraulica è sotto monitoraggio a livello internazionale a causa di preoccupazioni per i rischi di contaminazione chimica delle acque sotterranee e dell'aria. In alcuni paesi l'uso di questa tecnica è stata sospesa o addirittura vietata. Le tecniche di microfratturazione idraulica del sedimento possono, in taluni casi, generare una micro-sismicità indotta e molto localizzata. L'intensità di questi micro-terremoti è di solito piuttosto limitata, ma ci possono essere problemi locali di stabilità del terreno proprio quando i sedimenti sono superficiali. Sono stati comunque registrati alcuni terremoti probabilmente indotti superiori al 5º grado della Scala Richter. Ad esempio nel Rocky Mountain Arsenal, vicino a Denver in Colorado, nel 1967, dopo l'iniezione di oltre 17 milioni di litri al mese di liquidi di scarto a 3.670 metri di profondità, furono registrate una serie di scosse indotte localizzate nell'area, con una punta massima di magnitudo compresa fra 5 e 5,5. E noi siamo una regione ad alto rischio sismico.
Meditate gente, meditate.

(Ilda)

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