sabato 25 aprile 2020

C'è volontariato e volontariato!


 

 di Dott. Domenico Loffredo - Chirurgo
 
Probabilmente non bastavano 43 anni di vita ospedaliera, la direzione di un Reparto di Chirurgia e di un Dipartimento Chirurgico dell'ASP, lasciati per pensionamento neanche da tanto tempo, a far accettare alla Direzione del S. Carlo (dopo regolare avviso pubblico!!!) la proposta di un folle che, lasciando la tranquillità quotidiana, aveva con slancio avanzato la sua candidatura a volontario e per di più a titolo completamente gratuito, per far fronte alla “falcidia da quarantena” dei Chirurghi nell’Ospedale di Villa d'Agri. La "pratica" giace ancora su chi sa quale scrivania, senza una risposta.Eppure fino a qualche mese addietro si inneggiava, in pompa magna e con articoli di giornale e foto ufficiali a tutto spiano, all’iniziativa di alcuni Colleghi che erano corsi in aiuto del S. Carlo, per un impegno ambulatoriale senz’altro meno gravoso e soprattutto non in corso di epidemia, per fronteggiare le famigerate liste di attesa “createsi” in alcune discipline.
Alla fine di Febbraio in altre Regioni sono stati arruolati in pochissimo tempo Medici appena laureati, addirittura abolendo l’idoneità all’esercizio della professione, Specializzandi, Infermieri che ancora avevano fresco il ricordo della foto con la corona d’alloro. Non c’è niente da fare, la differenza c’è, si vede ed è incolmabile. Si chiama mancanza di senso pratico, di sensibilità, di vero interesse e rispetto verso la popolazione oltre che verso un Professionista. Non parliamo poi del labirinto burocratico; una frana totale!
Ma sì, forse la candidatura non è stata presa in considerazione perché il camice bianco indossato su camicia e cravatta ora doveva di necessità essere sostituito dai presidi di protezione che avrebbero potuto continuare a “spaventare” le Persone”, così come si era sentito dire dai “saggi” all’inizio del “male”. Voglio pensarla così. Alcuni maligni, virus li colga, hanno invece formulato altre ipotesi. Non ascoltateli, dicono solo fandonie! Pensate un po’ che questi poveri di spirito sono andati a pensare che “inattivare” un Reparto da sempre “portante”, potesse rappresentare, oltre che una problematica in meno, anche un ulteriore e questa volta giustificato passo verso il “declassamento” ed il conseguente impoverimento di un Ospedale che, per l’operato in tanti anni, spesso ha offuscato la luce, a volte solo ostentata, di altri. Ma che andate a pensare? Siete i soliti maligni. Non è così. Del resto avete sempre potuto constatare negli anni la piena disponibilità della “Chiesa Madre”, i costanti e sempre facili contatti con l’alta dirigenza, la sempre piena disponibilità agli acquisti di materiale, l’immediatezza nel risolvere i problemi amministrativi dei “cugini di campagna”, il massimo impegno nel salvaguardare il turnover dei pensionati, la celerità nel bandire e poi nell’espletare i concorsi e gli avvisi pubblici per reclutare Medici ed Infermieri, la costante apertura al colloquio. Ma cosa andate fantasticando e farneticando! Qualcuno si è addirittura permesso di dire che in questo momento non è solo il Coronavirus il nemico dell’ubertosa Valle! Vi prego, è da poco passata la Pasqua, siate più buoni.
Come avvenne per S. Gennaro nel 1969, questa volta anche S. Pio e i suoi seguaci si sono visti declassare a Santo di serie B. Solo un termine mi sovviene: vergogna, vergogna, vergogna!
Per un eventuale altro Ospedale che mai prendesse la luce alle nostre latitudini, propongo una dizione che ci riporti al Messia. Voglio proprio vedere chi oserebbe scalzarlo.

giovedì 23 aprile 2020

Covid19: tra scienza e religione




di Luigi Pistone

Ascoltando e leggendo le varie fonti sono giunto alla conclusione che il mondo scientifico fino a ora brancola nel buio più totale sul da farsi e come sia cominciata tale pandemia. Fino a ora si cerca solo di contrastare i sintomi e curare gli effetti del virus con percentuali non del tutto confortanti. E' il caso dell'utilizzo del tocilizumab che per il momento funziona su 77 casi su 100. Ma lo ripeto non è un vaccino ma un farmaco immunosoppressore, studiato soprattutto per il trattamento dell'artrite reumatoide e dell'artrite idiopatica giovanile sistemica, una grave forma di artrite reumatoide dei bambini. Altro trattamento per i pazienti affetti da Covid-19 è il cosiddetto plasma iperimmune dei pazienti guariti. l protocollo prevede il prelievo del plasma, tramite procedimento di plasmaferesi, da un gruppo di pazienti Covid-19 donatori, la cui guarigione sia accertata da due tamponi negativi effettuati in due giorni consecutivi. Tali donatori hanno quindi sviluppato degli anticorpi contro il virus Sars-CoV-2. Il loro plasma sarà quindi infuso in una serie di pazienti sintomatici tra quelli ricoverati in terapia intensiva. I singoli pazienti saranno sottoposti a un massimo di tre trasfusioni da circa 250-300 ml di plasma in cinque giorni. L’utilizzo di una terapia a base di plasma iperimmune per trattare il Covid-19 è già stato oggetto di sperimentazione in Cina, e in passato tale tipo di terapia è stata usata, anche in Italia, per trattare i pazienti affetti da virus Ebola nel 2014.
L'unico conforto, secondo l'Oms, è che il virus appare stabile (cioè non sta subendo mutazioni rilevanti) quindi nel giro di un paio di anni forse si riuscirà a mettere a punto un vaccino. Se si riuscirà nell'intento occorrerà ancora tanto, tanto altro tempo per produrlo e somministrarlo a tutta la popolazione mondiale. L'argomento farà forse "contenti" tutti coloro che sono convinti che si stia compiendo la profezia di Giovanni (l'apocalisse, che in greco significa "rivelazione". L'ultimo libro del nuovo testamento. Un tomo altissimo, ispirato, estremamente difficile perché tutto avvolto in un simbolismo oscuro) e si stia giungendo alla fine del mondo per lo scontro finale tra dio e il suo angelo che da prediletto è diventato il suo peggior "nemico". In altre parole dalla caduta di Babilonia (l'impero romano) si stia giungendo, per chi crede, al giudizio universale. In questo s'inserisce la profezia di Malachia che ferma "l'orologio" delle nomine dei papa a «Pietro Romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine». Il testo non contiene alcuna nuova profezia ed è un semplice memento che, prima o poi, la sequenza dei papi sarà destinata a concludersi. Lo stesso nome, Petrus Romanus, potrebbe non indicare alcuna caratteristica del pontefice e potrebbe significare soltanto "il papa che c'è a Roma". Anticamente, infatti, era bene specificare il papa "di Roma" per distinguerlo da eventuali antipapi scismatici in altre parti d'Europa. Gli eventi descritti, poi, sono gli stessi segnalati nell'Apocalisse, in cui la distruzione di Babilonia, una città appunto costruita su sette colli, precede il giudizio universale. E e la rivelazione di satana durante un esorcismo sulla divisione della Chiesa, l'avvento di un anti-papa e sull'aumento dei non credenti, asserviti soprattutto a ogni genere di vizio. A questo punto vale la pena citare alcune parti della "rivelazione". Al quarto sigillo (vedi immagine) ecco un cavallo pallido: il suo cavaliere è la morte, che la carestia e la pestilenza seminano nel mondo (fosse il Covid19 la nuova pestilenza a cui nessuno riuscirà porre rimedio?)... alla rottura del settimo sigillo Giovanni vede sette angeli con sette trombe... la visione di una donna vestita di sole, con i piedi su un arco di luna, con in capo una corona di dodici stelle: il figlio ch'ella ha avuto le è conteso da un immane drago rosso con sette teste incoronate... in un'altra visione Giovanni vede un uomo incoronato. assiso su una nuvola bianca, con in mano una falce... un cavaliere, avvolto in un manto tinto di sangue e con in mano una spada, sfolgorata tra le nubi su un cavallo bianco... nell'ultima visione Giovanni vede il trono di dio e dell'agnello da cui scaturisce il fiume dell'acqua della vita. In questo caso "mala tempora currunt" per i positivisti-materialisti e per gli atei, mentre per gli agnostici finalmente avranno a portata di mano la verità ai loro dubbi.

domenica 12 aprile 2020

Covid19. Summa (Cgil): «No a nuovi ospedali. La nostra emergenza non è strutturale ma organizzativa»




Angelo Summa, segretario generale della Cgil lucana: «No a nuovi ospedali, meglio finalizzare risorse ed energie al potenziamento del personale sanitario. La nostra emergenza non è strutturale ma organizzativa».
«Credo   che al di là di   ogni   altra   valutazione   sia   evidente   a   tutti   che all’appuntamento con l’emergenza del coronavirus la Basilicata si è trovata impreparata. Una impreparazione più legata a limiti gestionali e organizzativi che a carenze di strutture. Invece di concentrarsi a costruire nuovi ospedali,   quando quelli disponibili sono vuoti e quelli da riconvertire ancora in alto mare, sarebbe stato meglio finalizzare risorse ed energie al   potenziamento del personale sanitario e delle specifiche professionalità di cui il sistema sanitario aveva necessità. Ben vengano le mura e i macchinari, ma occorre chi li sappia gestire.  Abbiamo chiesto a più riprese di procedere a fare le assunzioni di personale medico   e   sanitario   ricorrendo   alle   deroghe   e   alle   risorse   messe   a disposizione dal governo.  E invece il direttore generale dell’ospedale San Carlo ha   ben pensato di sguarnire la rianimazione e la terapia intensiva di anestesisti, dando assenso a comandi in piena emergenza, nascondendosi dietro alle norme come se la discrezionalità nelle scelte fosse chiamata in causa solo ad intermittenza.  E in tutto questo caos si è anche provato a scaricare   tutte le criticità sul personale medico della terapia intensiva e rianimazione, chiamando primari in pensione, di fatto delegittimando gli operatori e creando scompiglio e divisioni interne.   Invece di sostenere il proprio personale lo si è mortificato e umiliato. Gli operatori  sono stati mandati allo sbaraglio senza  adeguati e sufficienti strumenti di protezione individuale,  procedendo tardivamente agli acquisti  di dpi. Abbiamo dovuto denunciare ogni giorno l’inosservanza  delle più elementari norme di sicurezza per i dipendenti e per il personale ausiliario e i lavoratori degli appalti. E di risposte alle nostre richieste ne sono arrivate ben poche. Dirigere una azienda significa, al contrario, dare risposte e voce al personale e ai cittadini, non  trincerarsi nella torre di avorio contro tutto e tutti. I fatti rimangono   sempre   fatti   e   non   c’è   alcuna   azione   intimidatoria   e comunicazionale che possa cambiarli».

#Covid19 in Basilicata. Cifarelli (PD) attacca il governo Bardi: «Presidente e maggioranza: teatrino della politica»

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«Bardi e la maggioranza di centrodestra che governa la regione sono i principali protagonisti del teatrino della politica lucano. Il Senatore Pepe che decide di “autoisolare” il proprio comune chiedendo a Bardi di “salire a bordo” di una nave regionale che evidentemente fa acqua e che non vede nessun comandante a guidarne il timone; oggi tra il Consigliere Cariello e l’Assessore Leone assistiamo ad un botta e risposta sul tema ospedale da campo a Policoro in cui è meglio non trovarsi in mezzo; nelle settimane scorse il leghista Zullino, primo fra tutti, e regolarmente inascoltato, chiedeva a Bardi di nominare un commissario per l’emergenza. Ed in tutta questa confusione, mentre medici ed infermieri lavorano con intensità mai viste e con un grande spirito di abnegazione, mentre tutti sono a casa a fare lavoro agile (se va bene), o a contare i danni economici che sono già palpabili, qualcuno approfitta di questo momento di distrazione per procedere alla elargizione degli aumenti di stipendio ai più stretti collaboratori del Presidente. Ecco lo spettacolo a cui i lucani stanno assistendo. Ecco ciò che Bardi definisce il “teatrino della politica”. Il Presidente tende a nascondere la testa sotto la sabbia e a derubricare ogni critica, soprattutto quando arrivano dalle minoranze, come strumentali e polemiche. E a nulla valgono i richiami al senso di responsabilità, cui pure ci sentiamo di rispondere in modo positivo, di altri esponenti della maggioranza di governo che, dimentichi dei loro atteggiamenti quando erano all’opposizione, ora hanno scoperto il “senso dello Stato”, ma a senso unico. Lo diciamo fin dall’inizio: Bardi ed i suoi più stretti collaboratori hanno commesso molti e gravi errori nella gestione dell’emergenza. Ma ci sarà il tempo in cui potremo parlarne anche in modo aspro, ma con la giusta serenità d’animo. Questo è il momento dell’unità e della responsabilità. Il nostro senso del dovere ci impone di essere critici e nel contempo propositivi e costruttivi. Le proposte che nei giorni scorsi abbiamo consegnato al Presidente Bardi su come affrontare meglio questa fase di emergenza sanitaria, sociale ed economica, meritano di essere attenzionate e discusse in un contesto unitario. Proponiamo nuovamente a Bardi di istituire una vera e propria “Cabina di regia” della crisi, che superi gli steccati che ancora oggi resistono e che superi le lacune dell’Unità di crisi e della task force che purtroppo i lucani stanno pagando sulla propria pelle».

venerdì 10 aprile 2020

#Covid-19. SOS: test, test, test!



 di Vanessa Vaccaro

Presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, l'Organizzazione mondiale della Sanità con questo slogan definisce la strategia corretta per diminuire la mortalità legata al Covid19.
Da cittadina lucana costretta ad emigrare e da futuro medico sento il dovere di esprimerLe tutto il mio rammarico per la gestione dell'emergenza in questa Terra che non è la Sua, ma che Lei è chiamato a governare.
Nell’ ultima settimana abbiamo perso 14 concittadini, alcuni dei quali privi di comorbidità e che quindi si sarebbero potuti salvare se solo fosse stato fatto loro un tampone in tempi ragionevoli, ai primi sintomi, durante quella che viene definita la fase virale della malattia.
A chi dobbiamo dare la colpa per queste perdite? Ci è stato risposto che mancano i tamponi, le risorse, allora mi chiedo e Le chiedo Presidente come sia possibile che in una Terra come la nostra, ricca di petrolio, sfruttata e violentata, non ci siano i fondi per far fronte ad un campione di persone così piccolo.
Sono terrorizzata dal vuoto etico e morale che dilaga prorompente tra le istituzioni(volutamente in lettera minuscola) ma ancora di più dalla mancanza ad oggi, in piena emergenza, di un disegno emergenziale pragmatico.
Non possiamo essere sordi e ciechi di fronte a 14 morti potenzialmente evitabili che pesano sul cuore della nostra piccola comunità, non ci può essere richiamo al perdono di fronte alla superficialità che causa ritardi diagnostici e costringe all'ingresso in una terapia intensiva da cui non si fa più ritorno.
E domani chiediamoci anche il perchè di questo viaggio di sola andata, non sarà forse perchè il posto ricoperto è stato "conquistato" senza il minimo sforzo e questo autorizza a sentirsi i migliori senza bisogno di confronto?
Non possiamo spostare il problema alla periferia del nostro campo visivo facendoci investire da una fallace positività che in questo momento appartiene solo agli stolti.
Presidente adesso più che mai la nostra Terra ha bisogno di un Leader che lotti con noi e per noi, che gestisca il panico e lo smarrimento con ferma autorità e sentita partecipazione.
E' il momento di dare risposte concrete ai cittadini che l'hanno votata e anche a quelli che non l'hanno fatto, perchè questa battaglia non può e non deve avere colore politico ma deve essere guidata dal buon senso, dal duro lavoro e dalla competenza che richiama Fiducia.
E' il momento di fare scelte coraggiose, a costo di scomodare qualche fedele amico da poltrone che oggi non sono più il simbolo del potere e del prestigio ma sono soprattutto il simbolo della responsabilità civile, istituzionale e morale.
Riprendo le parole del dottor Fauci, immunologo a capo della task force americana anti covid19, non c'è una medicina miracolosa lì fuori, e per quanto la Comunità scientifica tutta si stia interrogando e stia mettendo in campo tutte le risorse intellettuali e farmacologiche ad oggi non abbiamo un'arma certa, ma sappiamo però che la diagnosi precoce e l'uso precoce di terapie quali antibiotici, antivirali, anticorpi monoclonali determina il confine tra la vita e la morte.
Presidente non possiamo perdere più tempo, bisogna fare quanti più tampini possibili,processarli velocemente, fornire mascherine chirurgiche a tutta la popolazione e mascherine ffp3 ed ffp2 a chi combatte in trincea, bisogna effettuare test sierologici per individuare i soggetti immunizzati, bisogna veicolare tutte le risorse economiche nella lotta al covid19 altrimenti rischiamo di ricevere il primato della regione con maggior numero di morti under65 e siamo stanchi noi lucani di concorrere sempre per il primato ad essere i peggiori.

giovedì 9 aprile 2020

COVID-19. I prodromi non riconosciuti di un’emergenza all’insegna del caos

di Gianfranco Massaro (Agos)
Ad oltre un mese dall’intervento in Consiglio Regionale del capo del dicastero della sanità che rassicurava tutti, con fare leggero ed inappropriato, riferendo di un’incidenza dell’80% in termini di contagiosità e che solo il 5% sarebbe caduto nella necessità di essere ospedalizzato rimanendo ad un 2% le probabilità di andare incontro a decesso, abbiamo la percezione che il caos è il protagonista principale di questo momento. Come se a quella data, era il 27 febbraio 2020, non arrivassero notizie da Bergamo, Codogno, e altre zone della Lombardia, a dare indicazione di cosa potesse comportare una possibile situazione di contagio da COVID -19.Perché vi parlo di prodromi di una emergenza annunciata e dell’incapacità di saper valutare le conseguenze? Perché se avessero avuto il buon senso di mettersi nelle mani di un Disaster Manager avrebbero gestito la fase incipiente di questa terribile situazione in maniera diversa. Dunque, per spiegarmi meglio vi riporto un discorso pratico di una simulazione per un caso di studio che potremmo considerare simile, non senza chiedere venia in anticipo per approfittare del tempo di quanti vorranno arrivare fino in fondo. La mattina del 1° maggio del 2000, un medico di base insieme al genero, medico di fresca nomina all’Ufficio di igiene pubblica, decidono di fare un’uscita in barca per condividere una tranquilla giornata di pesca. Ad escursione in corso il medico di base riceveva una telefonata di una paziente che chiedeva lumi per il marito che, dal giorno precedente, accusava forti dolori addominali oltre a continue scariche diarrotiche. Senza esitazione consigliava l’uso di antibiotici per i quali poteva avere anche la prescrizione medica. Il genero si allarma per via del fato che da diversi giorni al suo ufficio erano arrivati verbali di analisi che riportavano valori di gran lunga superiori al limite dei parametri batteriologici (coliformi totali, coliformi fecali e streptococchi fecali), noti indicatori indiretti di patogenicità per l’uomo; e proprio riferito alle acque marine prospicienti la stesa comunità. La preoccupazione porta entrambi ad approfondire i casi e dopo aver consultato il direttore sanitario e verificato altri casi di pazienti affetti da dolori addominali e forte diarrea approdano alla comunicazione dei sospetti al Sindaco del Comune interessato, il quale senza esitazione dava comunicazione al Prefetto, e dichiarava lo stato di allerta convocando i massimi referenti sanitari del territorio. Il primo cittadino, completamente a digiuno in materia di igiene e sanità pubblica e di protezione civile, avvertiva tutto il disagio di chi avrebbe dovuto gestire, probabilmente, una vera emergenza, senza averne la perizia del caso. Per questa ragione decideva di avvalersi di un esperto di gestione delle emergenze, affinché potesse riceverne l’ausilio tecnico – organizzativo per ciò che di là a qualche giorno sarebbe potuto verificarsi.  La scelta cade su una persona di alto profilo professionale capace di gestire grandi eventi e soprattutto di saper gestire le situazioni di emergenza, in pratica un Disaster Manager. Il Disaster Manager, consapevole che avrebbe dovuto affrontare problemi relativi a: funzionari sull’orlo di una crisi di nervi che non sanno a chi rivolgersi per ottenere informazioni utili; ad indagini affannose per individuare coloro che sono preposti a determinati servizi utili alla gestione della calamità in atto; a conflitti di competenza fra pubblici poteri; a volontari capaci e generosi ma che in carenza di organizzazione degli interventi, non sanno a chi prestare assistenza; alla scarsa conoscenza del fenomeno calamitoso in atto; alla difficoltà di reperire le risorse necessarie (posti letto, ambulanze e dispositivi di protezione individuali) ed all’incapacità di gestirli secondo canoni di efficienza ed efficacia. Riunisce intorno ad un tavolo tutti i massimi esperti presenti sul territorio per fare sintesi sulla situazione. Espone il maggior numero di variabili esistenti e sulle interrelazioni che fra queste possano crearsi. …”. Risparmio il seguito perché non aggiungerebbe altro alla mia osservazione. Ora analizzando ciò che è successo nelle ultime sei settimane credo che la simulazione appena riprodotta ci riporta, pari pari, a ciò che si sarebbe potuto fare. Invece ci siamo trovati difronte ad una Task Force che nei primi momenti snocciolava numeri che venivano poi cancellati, smentiti, riprodotti, rettificati. Molti giornalisti lamentavano notizie frammentarie, imprecise e poco chiare. Ma questo è il lato della cronaca burocratica. Il lato della cronaca “nera” invece ci fa contare morti, famiglie infettate, ospedali al collasso, tamponi mai arrivati ed altri arrivati prima, ed altre storture che per rispetto del periodo vengono sottaciute fino ad emergenza conclusa. Non è sfuggito al popolo del WEB l’allarme del blogger Antonio Nicastro, che per venti giorni lamentava sintomi che riportavano a quelli della patologia criminale del COVID-19, mentre altri colleghi del Nicastro annunciavano la loro positività rassicurando che tutti i suoi contatti erano risultati positivi. Un metodo a due binari, Nicastro con i sintomi viene portato in ospedale quando era ormai allo stremo delle forze, l’altro, senza sintomi, viene sottoposto a tampone, con al seguito i suoi familiari ed amici entrati in contatto con lui. La lapalissiana confusione in cui versa la regione che a domanda di qualche persona accorta sul perché non fosse stato nominato un commissario si sente rispondere: il commissario c’è, è il presidente della Regione. Ora, niente contro il Presidente Bardi, ma credo che la visione che avrebbe avuto un preposto con qualifica specifica, nella gestione del disastro, sarebbe stata tutt’altra cosa di ciò che abbiamo visto nelle ultime settimane. Intanto mi sovviene alla mente che si sarebbero potuti mettere attorno ad un tavolo, ed un DS lo avrebbe fatto immediatamente, tutte le associazioni di volontariato, per analizzarne le strutture, gli organigrammi, il capitale di mezzi e i curricula di altre gestioni emergenziali. Non è stato fatto, però è uscita una polemica sullo spirito di autonomia di uno dei maggiori gruppi di volontariato in Basilicata senza invece preoccuparsi di capire quanti uomini ha questo gruppo. Avrebbero scoperto che vi sono docenti universitari provenienti dalla California che hanno insegnato materie appropriate, ingegneri, geologi, astrofici ed anche diplomatici internazionali che hanno capacità di gestire la diplomazia oltre oceano e che hanno avuto ruoli di gestione delle emergenze come la guerra delle Falkland o le vicende delle risorse petrolifere venezuelane. Figure professionali che avrebbero messo volentieri a disposizione della gente lucana la loro capacità accademica e scientifica per la gestione e ciò senza nulla togliere alle altre associazioni che avrebbero comunque svolto il loro ruolo. Perché, credo sia doveroso precisarlo, un volontario non presta l’opera solo per spegnere un incendio d’interfaccia, per portare viveri ai bisognosi, spalare la neve davanti la casa della vecchina o montare tende per ospitare famiglie sfollate; un volontario potrebbe collaborare nell’analisi di dati geologici, supportare decisioni di tipo geotecnico, collaborare alla valutazione di dati matematici e statistici o metereologici ma anche collaborare alla decisione di strategie in virtù dell’esperienza acquisita su scenari internazionali e, perché no, modellare la diplomazia per l’abbisogna. Invece è prevalso il senso di conflitto, tipico della burocrazia, che in altre situazione mortifica gli obiettivi ritardando la costruzione di un ponte, la sistemazione di una strada, la messa in sicurezza di un torrente. Qui si trattava di mettere su una macchina che avrebbe dovuto gestire l’eventuale arrivo di infetti dal Nord, che poi di fatto sono arrivati, e limitare i contagi ed a seguire gestire i contagiati per evitare che la gente morisse. Ma oltre a questo, e spero sia stato fatto, bisognava mettere su una strategia di rientro alla normalità una volta conclamata la chiusura definitiva dell’emergenza, e nel contempo gestire la filiera degli extracomunitari che vengono a rubare il lavoro ai nostri compaesani, per consentire al mondo agricolo di portare sui mercati ortaggi ed altri prodotti agricoli. Niente di tutto ciò. Però credo che tutto sia rimandato, perché a bocce ferme, ad emergenza chiusa, faremo i conti con tanti deceduti e la cosa che dovrebbe far preoccupare chi ha valutato con leggerezza l’incipit di questa emergenza, sottovalutando, ignorando o non capendo i prodromi, è che dovrà affrontare non solo i familiari ma anche, come nel caso di personaggi conosciuti come Astronik Nicastro o Palmiro Corona di Potenza, una folla di gente che reclamerà giustizia; cosa che se non fosse inquadrata in un contesto tragico andrebbe chiamata Class Action.

lunedì 6 aprile 2020

1799: una rivoluzione di pochi e l'ossimoro di Cuoco


di Luigi Pistone

Mille e duecento martiri in nome di un progetto che naufragò miseramente per incapacità dei rivoluzionari di sensibilizzare le classi più umili, coloro che nonostante la miseria e i soprusi subiti continuavano a inneggiare il ritorno del re Borbone.
Sono passati 221 anni ed è necessaria una riflessione per analizzare un momento storico molto particolare per le vicende del Sud Italia e dell'intera Europa: "la rivoluzione napoletana del 1799", con i suoi martiri e i suoi progetti costituzionali. Senza voler entrare nel merito delle vicende che tutti più o meno hanno studiato per sommi capi sui manuali di storia, una riflessione su un aspetto della "rivoluzione" nell'epoca della comunicazione è doverosa. Se è vero che i patrioti napoletani, tra cui tantissimi lucani, ebbero il merito di rafforzare ulteriormente quei concetti che furono alla base dei moti risorgimentali, è altrettanto lapalissiano che l'esperimento partenopeo ebbe brevissima durata, tanto non consentire ai costituzionalisti, tra cui il corregionale Mario Pagano, di poter far approvare la piattaforma legislativa su cui edificare la repubblica.
Pur ammettendo alcune straordinarie peculiarità del movimento, sarebbe meglio scrivere, però, di rivoluzione e lotte per l'ascesa al potere di un gruppo di giacobini locali graditi agli invasori e protetti dai loro archibugi. In effetti per poter spazzare l'esercito borbonico di Ferdinando e Carolina, che per quanto in "male arnese" e poco organizzato era pur sempre temibile, dovevano giungere in Italia le armate del giovane generale napoleonico Jean-Etienne Championnet che alla testa delle sue truppe permise ai "patrioti" napoletani di proclamare la repubblica, d'insediarsi al governo, indire pubblici festeggiamenti, sprofondarsi nello studio di alcune leggi e riforme e procedere all'imposizione di un balzello, concepito per «tassare le opinioni», naturalmente quelle degli avversari.
Era un ristretto circolo di intellettuali, come scrisse Benedetto Croce, il fior fiore della cultura napoletana, quasi tutti borghesi benestanti, agiati professionisti, colti e virtuosi studiosi di fama anche europea. Del "gruppo" facevano parte anche aristocratici famosi per i loro patrimoni e il loro disprezzo per i Borbone e gentildonne desiderose dispiegare al popolo, affezionato alla regina, che era giunta l'ora di «mozzarle la testa», così come era avvenuto a Parigi con altri regnanti. La storia ci ricorda come andò a finire; dopo aver proclamato la repubblica, il 22 gennaio 1799 e iniziato a sostituire la legislatura borbonica, facendo decadere la feudalità, i fautori della repubblica partenopea dovettero lasciare il campo ai Borbone che l'8 luglio dello stesso anno fecero rientro a Napoli. Ferdinando quarto, rimesso sul trono dal cardinale Ruffo e dai cannoni delle navi inglesi, per prima cosa si rimangiò le condizioni della capitolazione, mettendo a morte, sotto precisi ordini dell'ammiraglio Nelson, 1200 patrioti. Al di là dell'atroce atto, l'ennesimo a carico di dinastie scellerate e cialtrone, che portò alla morte menti fervide che tanto avrebbero potuto dare alla civiltà, resta il dubbio: ci fu davvero la rivoluzione?. Risponde lo stesso Vincenzo Cuoco, il quale nel suo "Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli", nonostante la comune passione con i patrioti partenopei, prende le distanze da tale concetto. Lo storico, infatti, dopo essersi dilungato in speciose spiegazioni sulla differenza tra "rivoluzioni attive" e "rivoluzioni passive" finisce per catalogare quella di Napoli nel secondo caso, inventando un ossimoro. Che cosa mancò per rendere la causa conosciuta e accettata da tutti, soprattutto da quelle classi che nell'uno o nell'altro caso avevano poco da guadagnare in termini di qualità della vita? La comunicazione e la capacità di essere davvero protagonisti della storia che si stava compiendo. Non riuscirono a farsi comprendere dal popolo e pur profondendo generosi intenti, i "rivoluzionari" non riuscirono a governare. Annunciavano la rivoluzione su fogli, libelli e discorsi ai quali, però, non seguiva inevitabile l'azione. Come potevano mai scendere nelle piazze abitate dalla plebe e da quegli stessi lazzaroni che, abbandonati dal re Borbone, insorse al grido di «viva la Santa Fede, viva san Gennaro, morte ai giacobini»? Gli stessi la cui difesa di Napoli fu considerata "eroica" da Chanpionnet. I rivoluzionari della repubblica poterono vantare la sola occupazione di Castel Sant'Elmo e solo con i francesi ormai alle porte della città. Per vincere la partita gli italiani avrebbero dovuto aspettare l'esercito piemontese. E in quest'ultimo caso si apre un'altra brutta pagina di storia per le popolazioni del Mezzogiorno che merita un'analisi a parte.