sabato 24 maggio 2014
Spese pazze e favoritismi: neppure il M5S si salva!
Una pioggia di avvisi di garanzia si è abbattuta nella regione Piemonte: 52 consiglieri indagati, tra cui figurano anche i famigerati “grillini”. Le Fiamme Gialle hanno già consegnato nelle sedi dei gruppi avvisi per peculato, truffa e finanziamento illecito dei partiti nell'ambito dell'inchiesta sui rimborsi.
Tra le spese ed acquisti fatti dai politici figurerebbero briglie per cavalli, borse di Vuitton ed Hermes, i gioielli di Cartier ma anche i buoni benzina dopo i viaggi in auto per raggiungere le manifestazioni No Tav. Ammonterebbe a circa 900 mila euro il totale delle somme indebitamente utilizzate dai consiglieri regionali del Piemonte dal 2010 al 2012: sarebbe questo, secondo quanto si apprende, l'esito delle indagini svolte dalla guardia di finanza su incarico della procura di Torino.
Tuttavia gli inviti a comparire sono ancora in corso di notifica, secondo fonti attendibili a tutti i politici del consiglio regionale tranne sette: i cosiddetti "salvati" sarebbero infatti Gianna Pentenero, Gianni Oliva, Elio Rostagno, Roberto Placido e Mauro Laus del Pd, Claudio Sacchetto della Lega, Sara Franchino dei Pensionati con Cota.
E poi, tra gli indagati, ci sono loro, i grillini, nelle persone di Davide Bono e Fabrizio Biolè (quest’ultimo eletto del 2010 e poi cacciato con lettera dell’avvocato di Grillo, accusato di essersi candidato anni prima come consigliere comunale a Gaiola). Una notizia che fa scalpore poiché sin dal principio il M5S si era fatto garante di valori come trasparenza, legalità, rispetto delle leggi.
E invece salta fuori che anche il consigliere Bono è stato raggiungo da un avviso di garanzia: “Un certo effetto lo fa, trovarsi ad essere il primo eletto M5S raggiunto da un avviso di garanzia”, afferma il politico. “Soprattutto pensando ai ragionamenti che tutti abbiamo sempre fatto sui politici indagati. In effetti questo dovrà farci ben riflettere e imparare a distinguere nettamente tra indagini e rinvio a giudizio”. E precisa: “A me personalmente contestano 619,91 euro in due anni e tre mesi. E poi 3905,27 di spese per attività dei collaboratori”. Dunque si tratterebbe di benzina, alberghi, trasporti, bar e ristoranti. Specifica però che: “Non sono state fatte né spese per fini personali né per finanziamento del partito”.
Dall’inchiesta emerge poi che per partecipare alle manifestazioni No Tav in Val Susa i consiglieri grillini avrebbero usufruito dei rimborsi chilometrici e per la benzina.
Biolè, l’espulso, non se la passa meglio: gli viene contestato l’uso di 7500 euro, e lui si difende scaricando la colpa sul consigliere Bono: “Purtroppo, su proposta del mio ex capogruppo, da marzo 2011 una quota dei rimborsi sarebbe stata pagata dal conto corrente per il funzionamento del gruppo, non più da quello in cui i grillini raccoglievano l’avanzo degli stipendi (avendo scelto di prendere solo 2500 euro al mese). Quando, alcuni mesi fa, analizzando gli estratti conto, ho individuato il totale di queste operazioni non corrette, ho restituito immediatamente la somma al conto corrente del gruppo”, racconta Biolè.
Bono dal canto suo non replica. Ma annuncia: “Da parte nostra non ci sono stati abusi. Però sono pronto a restituire ogni singola spesa che non possa ritenersi legittimamente rimborsata dal fondo”.
Come se non bastasse, poi, emerge anche il caso della senatrice Barbara Lezzi, quarantenne leccese e vicinissima a Grillo, che aveva assunto come portaborse (tra i circa 20mila candidati che avevano inviato un curriculum al sito del movimento sperando in una selezione basata sul merito) la figlia del suo fidanzato! Non proprio una persona a caso! Ma non si era detto niente più giochi di potere, nepotismi, favoritismi ecc.? E’ stata la stessa Lezzi, durante un incontro pubblico, ad ammettere di aver contrattualizzato come assistente personale la figlia del compagno. “Per gli assistenti personali”, ha spiegato davanti alla platea grillina “noi non abbiamo stabilito nessuna norma interna se non quella prevista dal Senato. Che prevede che non vengano assunti familiari, conviventi, parenti o affini”. Secondo la Lezzi, dunque, la figura della figlia del fidanzato non può essere considerata affine. “Io ho assunto una ragazza, che ho conosciuto ai meet-up insieme al padre, con il quale adesso ho anche una relazione”, ha ragionato. “Io non convivo con il padre: sono molto tranquilla a dirla questa cosa. Io tra l'altro ho assunto non il padre, ma la figlia, che è una ragazza laureata in Economia, e io sono vicepresidente della commissione Bilancio”.
In realtà, a ben guardare la vicenda è gravissima: per chi fa della trasparenza e del merito una bandiera! Tanto più che la Lezzi è la senatrice che lo scorso 15 marzo, insieme alla Donno e all'altro collega pugliese Maurizio Buccarella, mise sugli scranni del Senato un apriscatole, a simboleggiare la volontà di aprire l'aula “come una scatola di tonno”. Per altro, nel documento firmato da tutti i candidati alle elezioni politiche 2013, al punto 8 ogni candidato si “impegna a utilizzare sempre un criterio meritocratico nella selezione di qualsiasi posizione o incarico di competenza mia o del futuro gruppo parlamentare, utilizzando dove possibile un bando pubblico che preveda la massima trasparenza sui nomi e sui curriculum dei candidati e dei criteri di scelta adottati”. Si impegna, inoltre, “a non selezionare o far selezionare per tali posizioni i miei parenti e affini fino al quarto grado”.
Andiamo bene!
(Ilde)
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