1. promozione del benessere di tutti i suoi popoli;
2. garanzia ai suoi cittadini di un mercato interno di libera concorrenza;
3. garanzia di una stabilità della crescita economica al fine di una maggiore
occupazione e di un maggior progresso scientifico e tecnologico, nonché
promozione della coesione economica, sociale e territoriale tra gli stati
membri;
4. contribuzione attivamente con il
resto del mondo allo sviluppo sostenibile della Terra (rilasciando
certificazioni a imprese, enti pubblici etc.), al commercio libero ed equo e
all'eliminazione della povertà. In particolare, per “coesione economica,
sociale e di mercato” si intende il favorire lo sviluppo equilibrato del
territorio comunitario, la riduzione dei divari strutturali tra le regioni
comunitarie, nonché la promozione di pari opportunità reali tra i cittadini.
E fin qui sembra tutto molto allettante. Vediamo nello specifico, però, cui
prodest, poiché molti si stanno lamentando dell’appartenenza del Belpaese a
quello che oggigiorno viene visto solo come “uno svantaggioso vincolo fiscale”.
Cosa accadrebbe se l’Italia uscisse davvero dall’Euro? Sicuramente rischierebbe
la marginalizzazione, soprattutto sul tema dei diritti, sui temi etici e quelli
morali. Non avrebbe più alcuna voce in capitolo e le sue specificità non
sarebbero più considerate a livello globale. Tanto per dirne una, in tema di
femminicidio: Che fine farebbero le ricezioni nel nostro ordinamento giuridico,
della tante Direttive europee contro la violenza sulle donne, che in molti
chiedono e prospettano? Di recente, infatti, la Camera ha approvato
all’unanimità, la mozione unitaria che impegna il Governo ad adottare e
sostenere le prescrizioni indicate dalla Convenzione
di Istanbul, a tutela dei diritti delle donne. C’è chi dice poi che
la Lira, in un mondo globalizzato fatto di Euro e Dollaro non reggerebbe il
confronto. Una famiglia che avrebbe precedentemente comprato casa con mutuo a
tasso variabile pagherebbe ad uscita dall’Euro almeno il 20% in più di
interessi ed al contempo, il potere d'acquisto degli stipendi si ridurrebbe
della stessa percentuale. Su di uno stipendio medio di 1.500 euro al mese
sarebbe come se si decurtassero 300 euro mensili, senza considerare i costi delle
utenze, i prezzi di beni e servizi che subirebbero un'impennata difficile da
quantificare (secondo alcuni oltre il 50% degli stipendi medi andrebbe in
fumo). Tutte le importazioni, dall'energia alle materie prime, subirebbero
un'impennata di costi dal 30 al 50%, che si scaricherebbero sui prezzi, con il
concretissimo rischio fallimento per imprese, banche ed assicurazioni.
L'inflazione ricomincerebbe a galoppare, i risparmi rischiano di essere
bruciati, la disoccupazione toccherebbe livelli impensabili. Uno scenario da
incubo insomma.
C’è poi chi ipotizza il contrario: Claudio Borghi, docente all'Università
Cattolica di Milano e convinto sostenitore della necessità di dire addio alla
moneta unica. In un'intervista l'economista spiega: "L'euro è diretta causa
della nostra crisi. Costa di più restare nell'euro". Esaminiamo più a
fondo: “Se facciamo attenzione vediamo che la crisi non è mondiale”, spiega
l’economista. “Tutto il mondo cresce, solo l'area sud dell'Eurozona non cresce…
e già questo dovrebbe far drizzare le antenne. D'altra parte se si prende uno
stato e gli si mette una valuta artificialmente forte, quello stato va in
crisi. E' sempre successo, all'Italia prima del 1992, all'Argentina quando ha
bloccato il peso sul dollaro. Se vogliamo uscire dalla crisi dobbiamo togliere
l'euro, non c'è altra soluzione”. In poche parole, l'Italia dovrebbe essere il
primo Paese a uscire perché è l'unico paese che ha tutti gli svantaggi e nessun
vantaggio: gli altri paesi in crisi maggiore (Spagna, Portogallo e Grecia)
hanno subito il colpo ma adesso stanno avendo un risarcimento, ovvero sono
“pagati” attraverso il Fondo salva Stati. L'Italia è l'unico Paese in crisi che
paga. Se uscisse dall’Euro, L’Italia riguadagnerebbe dunque la libertà di poter
perseguire delle politiche “anticicliche”. Che tradotto vuol dire: fare come
hanno fatto americani, inglesi e giapponesi, dotati di sovranità monetaria, e
darsi uno stimolo all'economia, per farla uscire dalla stagnazione senza dover
sottostare a delle regole europee che costringono a fare il contrario
(austerity). Se l'austerità venisse eliminata mantenendo l'euro andremmo ancora
più in crisi, perché le persone, avendo dei soldi in più da spendere,
comprerebbe prodotti stranieri. Senza Euro, il nostro debito verrebbe ridenominato
nella nuova valuta, e per i mutui varrebbe la stessa cosa: afferma infatti lo
studioso che “il mutuo verrebbe convertito nella nuova moneta per cui chi
doveva pagare una rata di 100 euro pagherebbe una rata di 100 'fiorini'. Il
tasso di interesse che verrebbe applicato alla rata non potrebbe essere
toccato: se fisso resta fisso, se variabile continuerebbe ad essere indicizzato
all'Euribor. Quindi se per caso, ma non è assolutamente certo, dovesse
aumentare l'inflazione, chi ha un mutuo sarebbe anche avvantaggiato". La
verità è un’altra invece: l'euro non potrebbe reggere l'uscita di un Paese
grande come l’Italia. Potrebbe reggere l'addio di Cipro e di Atene, ma ai greci
non conviene uscire ora che gli stanno dando soldi. Anche se, probabilmente,
potrebbero rimettersi in piedi da soli e a quel punto sarebbero un esempio per
tutti. Ed ecco spiegato perché la Germania a tutti i costi non vuol fare uscire
la Grecia: deve passare il messaggio che l'euro è irreversibile!
(Ilde)
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