sabato 1 ottobre 2016

Presto un nuovo test per gastrite, ulcera e per prevenire il tumore allo stomaco



Il prof. Enzo Ierardi al microspocio


Un’importantissima scoperta nel campo delle malattie gastriche è a opera di un lucano. Il professore Enzo Ierardi, senior scientist, associato di Gastroenterologia dell’università degli studi Aldo Moro di Bari, grazie a uno studio combinato con la dottoressa Giogio e con il professor Di Leo e la THD spa. Il prof Ierardi è originario di Armento dove nacque il 26 settembre 1951. A 12 anni si trasferisce con tutta la famiglia a Bari dove inizia il suo prestigioso percorso di studio. Nel 1977 si laurea in medcina con il massimo dei voti e si specializza con la stessa valutazione in malattie dell’apparato digerente dopo aver trascorso un anno al Saint Mark’s Hospital di Londra per la preparazione di una tesi sperimentale sulle evoluzioni neoplastiche delle malattie intestinali. Dopo un lungo percorso accademico spostandosi in tutta Italia e in altri Paesi del mondo torna a Bari. Nel 2012, dopo 40 anni di appassionato lavoro, decide di andare in pensione, continuando a offrire preziose collaborazioni all’università di Bari e a quella di Foggia che gli conferisce il sigillo d’oro dell’Ateneo per il contributo dato alla nascita e alla istituzione dell’Ateneo. Nel 2015 è nominato consulente del ministero della Salute dell’Iran su Helicobacter pylori e malattia cecliaca.
Oggi, grazie alla sua ricerca e al suo staff, è pronto un nuovo esame diagnostico destinato a rivoluzionare la cura della gastrite e dell’ulcera e fissare un importante tassello nella prevenzione del tumore dello stomaco.
L’Helicobacter pylori è un microbo scoperto nel 1983 da due ricercatori australiani, Robin Warren e Barry Marshall, i quali dimostrarono che lo stesso era responsabile di malattie, note sin dai tempi degli Assiri e dei Babilonesi, come l’ulcera, la gastrite e il tumore dello stomaco. E’ evidente che tale scoperta suscitò un grande fermento nel mondo scientifico e culminò con l’assegnazione del Premio Nobel agli scopritori.
Il professor Enzo Ierardi, ci spiega qual è stato il suo contributo a un’importantissima scoperta nel campo delle malattie gastriche.
La possibilità di curare con antibiotici malattie, che prima richiedevano interventi chirurgici con asportazione parziale dello stomaco, aveva una valenza innovativa eccezionale.
Negli ultimi anni, tuttavia, l’attenzione verso l’Helicobacter pylori è passato in secondo piano con l’avvento di altre importanti novità scientifiche in Gastroenterologia, quale la scoperta della cura dell’epatite C.
La dottoressa Giorgio

Da più parti, sia personaggi illustri del mondo scientifico che operatori sanitari sul territorio hanno precocemente decretato la fine delle problematiche correlate a questo microbo e sottovalutato le sue potenzialità. Ma, si sa bene che sottovalutare l’avversario è il modo migliore per perdere una partita. Infatti, il problema è riemerso prepotentemente negli ultimi anni, in quanto il microbo si è evoluto e “attrezzato” per resistere ai tentativi di eliminarlo.
“Da qualche anno, in qualità di referente per gran parte dell’Italia Meridionale e Centrale, mi sono trovato sem-pre più spesso di fronte a pazienti, che dopo aver tentato le cure più disparate senza successo e avere attinto informazioni su internet, apparivano terrorizzati dalle possibili conseguenze della mancata eliminazione del microbo. E così mi sono reso conto che il problema è molto spesso correlato a ciò che non si è fatto o si è fatto male, piuttosto che ad un rimedio di cui non disponiamo. Infatti, è in quel momento che ho realizzato che, a fronte di un armamentario di farmaci, che è rimasto lo stesso da più di un decennio, non disponiamo di indagini diagnostiche, che ci possano indicare la cura da adottare”.
Di conseguenza, spiega il proferssor Ierardi, la percentuale di successo dei trattamenti in uso si è abbassata drammaticamente. Inoltre, “è in quel momento che ho ipotizzato che il microbo non fosse più lo stesso e che il suo DNA (cioè i suoi geni) potesse essere cambiato adattandosi a determinare il fallimento dei comuni trattamenti grazie allo sviluppo delle resistenze agli antibiotici. A questo nuovo scenario, ha guardato da 10 anni il mio gruppo di ricerca, che gode del patrocinio e dell’appoggio della Sezione di Gastroenterologia del Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti d’Organo dell’Università di Bari e del finanziamento della THD SpA di Correggio (RE)”.  A detta di Enzo Ierardi, “il nostro primo obiettivo è stato quello di analizzare il DNA del microbo ed individuare le mutazioni, che gli hanno permesso di diventare resistente agli antibiotici più comunemente usati. Il secondo obiet-tivo è stato quello di isolare il DNA del mi-crobo dei soggetti por-tatori da materiale bio-logico al fine di evitare al paziente l’esecuzio-ne di una indagine invasiva come la ga-stroscopia. Per questo scopo abbiamo rivolto l’attenzione all’analisi delle feci di questi pa-zienti. Lo scopo di mettere a punto tale procedura è stato quello di ridurre i costi ed i tempi dell’esame, condizioni necessarie per la diffusione dello stesso su larga scala”.
Dopo anni di paziente lavoro, caratterizzato da esperimenti di laboratorio, compiendo un piccolo passo per volta, abbiamo finalmente coronato il nostro sogno di mettere a punto un esame delle feci che permettesse d’isolare il DNA dell’Helicobacter pylori e di analizzarlo per verificare le eventuali resistenze agli antibiotici. Questa scoperta permetterà di eseguire un test preliminare ai soggetti portatori del microbo al fine di potere “personalizzare” la cura e renderla “efficace” caso per caso, utilizzando soltanto antibiotici ai quali “quel microbo” risulta non essere resistente.
L’esame diagnostico è stato brevettato nel febbraio 2016 ed i risultati dello studio. dopo rigorosa revisione da parte di esperti internazionali, sono stati pubblicati nel luglio scorso sulla rivista internazionale “Scandinavian Journal of Gastroenterology”. La presentazione della scoperta avverrà nel corso di un Convegno che si terrà presso l’Aula Magna del Policlinico di Bari alla presenza del prof. Bazzoli (Bologna) e del prof. Malfertheiner (Magdburg, Germania), rispettivamente in rappresentanza dei Gruppi Italiano ed Europeo per lo studio dell’Helicobacter pylori.
Infine, in autunno partirà uno studio pilota sull’uomo che ha ricevuto la recente appro-vazione del Comitato Etico del Policlinico di Bari, che sarà esteso ad altre Università Ita-liane (Milano, Roma Cattolica, Bologna, Na-poli Federico II).
In conclusione, “il mondo scientifico nazionale e internazionale attende con ansia di verificare come il prodotto della nostra ricerca possa finalmente “ridurre alla ragione” questo microbo irriducibile”.
Lo studio del professor Ierardi, delladottoressa Giorgio e del professor Di Leo e della THD spa è stato pubblicato su numerose riviste scientifiche come JMM “Detenction of Helicobacter pylori DNA sequences in gasrtric biopsy samples to refine the diagnosis and terapy (Journal of medical microbiology) e su Scandinavian Journal of gastroenterology

domenica 31 luglio 2016

Sacco e Vanzetti, storia di ordinaria ingiustizia

Il 23 agosto 1927, alle ore 0,19 veniva ucciso sulla sedia elettrica Nicola Sacco. Alle 0,26 toccava a Bartolomeo Vanzetti subire lo stesso destino. Ma la storia di Sacco e Vanzetti, i due emigrati italiani accusati negli Stati Uniti di aver preso parte a una rapina uccidendo un cassiere e una guardia nonostante le prove evidenti della loro innocenza, non si chiudeva con la loro esecuzione. Una storia di ordinaria ingiustizia, che divenne qualcosa di più grande e simbolico. Come lo stesso Bartolomeo Vanzetti comprese, quando rivolgendosi alla giuria che lo condannò alla pena di morte, disse: «Mai vivendo l'intera esistenza avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini». Il destino dei due anarchici italiani, capri espiatori di un'ondata repressiva lanciata dal presidente Woodrow Wilson contro la «sovversione», non solo smosse le coscienze degli uomini dell'epoca, ma come un fantasma continuò ad agitare l'America per decenni. Finché nel 1977, cinquant'anni dopo la loro morte, il governatore del Massachusetts Michael Dukakis riconobbe in un documento ufficiale gli errori commessi nel processo e riabilitò completamente la memoria di Sacco e Vanzetti.
Nick e Bart - Bartolomeo Vanzetti, «Tumlin» per gli amici, nacque nel 1888 a Villafalletto nel Cuneese, figlio di un agricoltore. A vent'anni entra in contatto con le idee socialiste e, dopo la morte della madre Giovanna, decide di partire per l'America, miraggio di una vita migliore per gli italiani dei primi del Novecento. Stabilitosi nel Massachusets, milita in gruppi anarchici e nel 1917, per sfuggire all'arruolamento, si trasferisce in Messico. È qui che stringe amicizia con Nicola Sacco, pugliese, classe 1891. Da allora, Nick e Bart diventano inseparabili e frequentano i circoli anarchici.
L'arresto - Il 5 maggio 1920 Nick e Bart, come li chiamavano in America, vengono arrestati perché nei loro cappotti nascondevano volantini anarchici e alcune armi. Tre giorni, i due vengono accusati anche di una rapina avvenuta a South Baintree, un sobborgo di Boston, poche settimane prima del loro arresto, in cui erano stati uccisi a colpi di pistola due uomini, il cassiere della ditta - il calzaturificio «Slater and Morrill» - e una guardia giurata.
La condanna - Dopo tre processi, i due italiani vengono condannati a morte nel 1921 nonostante contro di loro non ci sia nessuna prova certa, ma addirittura la confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros che ammette di aver preso parte alla rapina e di non aver mai visto Sacco e Vanzetti. E a nulla valsero neppure la mobilitazione della stampa, la creazione di comitati per la liberazione degli innocenti e gli appelli più volte lanciati dall'Italia.
Quando si parla di Mussolini le posizioni sono quasi sempre radicali: o dalla sua parte o contro, ma anche se la notizia non è certo recentissima, vala la pena ricordare il suo impegno nel caso Sacco e Vanzetti. La storia dei due anarchici condannati ingiustamente vide l'impegno anche di grandi nomi per la loro salvezza, nomi illustri come Albert Einstein o Anatole France e è stata di ispirazione per registi e cantanti. Quello che è meno noto è l'impegno che Benito Mussolini mise per ottenere la loro grazia dal governo americano.
A rivelare questo inconsueto aspetto del personaggio Mussolini è stato Philip Cannistraro, uno dei più celebri studiosi americani del Fascismo che ha pubblicato le sue ricerche sulla rivista "Journal of Modern History". Cannistraro, frugando negli archivi del Ministero degli Esteri italiano ed in particolare tra i documenti pervenuti dall'Ambasciata italiana di Washington, riportò alla luce due documenti, scritti da Mussolini in persona, dove si chiedeva una revisione del processo a carico dei due anarchici Sacco e Vanzetti: il primo che risale al 1923, in forma riservata, in quanto lo stesso Mussolini riteneva che il processo fosse stato condotto in maniera "pregiudizievole", il secondo indirizzato al governatore del Massachusetts, Alvan Fuller, nei primi dell'agosto del 1927, a un mese dall'esecuzione.
Nelle motivazioni di questa seconda lettera Musssolini chiede che ai due anarchici venga concessa la grazia per evitare che la morte di Sacco e Vanzetti, potesse trasformarli in martiri della sinistra e per dimostrare come la democrazia americana si discostasse nettamente dai metodi bolscevichi. Durante quel periodo Mussolini ebbe una regolare corrispondenza con l'ambasciatore italiano a Washington, Giacomo De Martino, e con il console generale a Boston affinchè facessero pressione anche su Calvin Coolidge, l'allora presidente degli Stati Uniti. Anche se la cosa è poco nota Mussolini nutriva una grande simpatia per gli anarchici: li riteneva uomini "di fegato", cosa raccontata tra l'altro in un libro di Armando Borghi, libertario di spicco negli ambienti romagnoli: "Mezzo secolo di anarchia" dove lo stesso Borghi racconta dei rapporti amichevoli che Mussolini ebbe con il movimento anarchico italiano prima di diventare direttore dell'Avanti e prima di intraprendere la sua carriera politica.
Joan Baez - Here's to you, Nicola and Bart (musica di Ennio Morricone):

sabato 30 luglio 2016

Al via il cinespettacolo della Grancia: La storia bandita


 Dal 30 luglio all'1 ottobre 2016, al Parco storico, rurale e ambientale della Grancia, a Brindisi di Montagna (Potenza), riprendono la rappresentazione del cinespettacolo “La storia bandita” e tutti gli eventi di animazione culturale. Si rinnova, dunque, un appuntamento di grande suggestione che si è consolidato nel corso degli anni come il più importante attrattore italiano attrezzato nel campo dell’animazione storico-culturale e dell’identità territoriale. 

   Il Parco Storico Rurale e Ambientale della Grancia, realizzato agli inizi degli anni Duemila, su una zona che traguarda l’Antico castello Fittipaldi e il borgo di Brindisi di Montagna, si estende su un’area di circa cinquanta ettari, di notevole pregio dal punto di vista ambientale e paesaggistico. Si tratta di un progetto innovativo di sviluppo rurale basato sul recupero dell’identità locale quale fattore di collegamento orientato a interconnettere beni culturali e ambientali, prodotti agricoli e artigianali, servizi e ospitalità, accoglienza e tempo libero. 

  L’esperienza finora maturata con la realizzazione del Parco della Grancia ha dimostrato la validità dell’idea di dare vita a un parco tematico a carattere storico-culturale, articolato in diverse azioni, che vanno dalla messa in scena del cinespettacolo “La storia bandita” che racconta l’epopea del brigantaggio, fino ai percorsi e agli allestimenti per la valorizzazione delle risorse culturali, artigianali, agricole, ambientali.  La stagione duemilasedici dell’evento si articola in quindici appuntamenti che si concluderanno il primo ottobre. Oltre alla realizzazione delle attività già consolidate nelle edizioni precedenti, saranno introdotte ulteriori interessanti iniziative indirizzate a rafforzare l’indirizzo adottato dal Comune di Brindisi per far crescere una esperienza di condivisione collettiva e popolare capace di coniugare cultura, ambiente, storia ed economia in un modello integrato, fondamentale per  moltiplicare i fattori di interesse e di attrattività verso una delle più originali iniziative di sviluppo locale realizzate in Basilicata e in Italia. 

  Per visionare il calendario dello spettacolo “La storia bandita” e il programma del Parco per il 2016: http://www.parcograncia.it. Sul sito tutte le notizie utili. Dai costi ai numeri telefonici. E' possibile acquistare i biglietti anche: http://www.liveticket.it/opera.aspx?Id=67173

sabato 14 maggio 2016

Anche se fosse abrogato il Ttip rimarrebbe attivo per 20 anni



L'informazione la fanno sempre più i "comici". Al silenzio dei politici fa eco quella dell'informazione. I cittadini dovrebbero sapere e scegliere cosa fare o, meglio, cosa far fare a chi li rappresenta nelle sedi istituzionali. Per saperne di più dobbiamo ascoltare Crozza su La7. E per aggiungere informazioni di seguito ciò che ha pubblicato Le monde. 

LE MONDE: ”IL TRATTATO UE-USA SUL COMMERCIO (CHE VUOLE BRUXELLES) ANCHE FOSSE POI ABROGATO, RIMARREBBE 20 ANNI ATTIVO!”

PARIGI – Scrive Le Monde: “Trattato transatlantico di libero scambio fra Unione europea e Stati Uniti : i suoi avversari lo designano con la sigla Tafta (Transatlantic free trade agreement). Chi lo sostiene preferisce usare il nome ufficiale, TTIP (Transatlantic trade and investment partnership).
Le discussioni e gli accordi su questo trattato proseguono da mesi e per il tema i media mostrano soprattutto indifferenza.
Un’indifferenza dannosa, però, perchè spesso i trattati internazionali servono a rendere legali principi che non sono accettati nelle scene politiche interne dei singoli paesi. Servono a iscrivere le relazioni commerciali sul lungo termine, per impedire ai governi di cambiare politica di fronte a situazioni che non sono più soddisfacenti.
Nel caso del trattato transatlantico, l’Europa e gli Stati Uniti si impegnano a liberalizzare un gran numero di settori delle rispettive economie, ossia a spezzare monopoli pubblici e dare pari possibilità agli operatori pubblici e alle aziende private. I negoziatori del trattato assicurano che da questo movimento escluderanno i servizi pubblici, senza però dare ancora una definizione chiara.
I controversi tribunali di arbitraggio che il trattato vuole creare, saranno in grado di imporre multe ai paesi che espropriano, direttamente o indirettamente, i benefici delle aziende. Questo potrebbe impedire di attuare la legge in determinati ambiti per salvaguardare la libertà delle imprese.
Principi che possono essere rifiutati o difesi e che in ogni caso sono in linea con la linea politica liberale che l’Europa porta avanti da anni. Ma iscriverli in un trattato con gli Stati Uniti significa limitare il margine di manovra dei futuri governi per poter cambiare opinione.
In un certo modo, significa stabilire una “costituzione economica per il commercio”, secondo i termini di Bill Warren, analista presso la ONG ecologista americana Friends of Earth.
Anche se un giorno in Europa salissero al potere partiti dell’estrema sinistra, che decideranno di abrogare il trattato transatlantico, l’UE rimarrebbe legata ai suoi impegni con gli Stati Uniti per diversi anni. In effetti, i trattati di questo genere comportano spesso clausole secondo cui i principi rimangono attivi dai 10 ai 20 anni dopo la loro abrogazione.
Per firmare il trattato transatlantico si deve dunque avere molta fiducia in questi principi e considerarli ottimi sotto ogni punto di vista.
A medio termine il trattato transatlantico potrebbe avere un impatto sulla vita quotidiana dei cittadini.
Potrebbe rapidamente influenzare il prezzo di taluni prodotti. Il costo dei tessili, delle automobili e di alcuni prodotti agricoli potrebbe essere leggermente ridotto grazie a diritti doganali meno costosi e a norme comuni.
Se Washington accettasse di vendere all’Europa il suo gas di scisto, anche il prezzo dell’energia potrebbe diminuire. Al contrario, potrebbero aumentare notevolmente i prezzi delle medicine, qualora si rafforzassero le protezioni della proprietà intellettuale dei laboratori.
L’essenziale del beneficio del trattato transatlantico andrà alle imprese che potranno facilmente esportare verso l’altra zona, o installarsi. I lavoratori europei dovrebbero ottenere più facilmente i visti per andare a lavorare negli Stati Uniti. Ma il meccanismo funziona nei due sensi : aprendo maggiormente il mercato europeo alle aziende americane, vi è il rischio di rendere fragili alcuni settori economici europei, come l’agricoltura.

Cos'è il Ttip e i documenti riservati ottenuti da Greenpeace



La firma del Partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip) tra Unione europea e Stati Uniti mette a rischio gli standard europei sull’ambiente e la salute. Lo rivelano alcuni documenti diffusi da Greenpeace e pubblicati il 2 maggio dal quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung. L’organizzazione ambientalista è entrata in possesso di 248 pagine di documenti riservati, che riguardano alcune questioni come il cibo, i cosmetici, le telecomunicazioni, i pesticidi e l’agricoltura. Secondo i sostenitori del Ttip, il trattato farà nascere la più grande area di libero scambio al mondo, creando nuovi posti di lavoro. Secondo gli attivisti, le associazioni e i movimenti che si oppongono al trattato, invece, il Ttip è frutto delle pressioni delle multinazionali e finirà per tutelare solo gli interessi delle aziende, ignorando quelli dei lavoratori e dei consumatori. In realtà, stando a quanto si legge nei documenti diffusi da Greenpeace, le trattative tra Stati Uniti ed Europa sono in una fase di stallo e le posizioni tra i due blocchi sono molto distanti. Washington ha avanzato alcune richieste, che spingerebbero l’Ue a infrangere delle promesse fatte in materia di protezione ambientale e di salute pubblica. Il governo statunitense, per esempio, vuole che l’Europa superi il cosiddetto “principio di precauzione”, secondo il quale un prodotto potenzialmente pericoloso può essere ritirato dal mercato se non è provato scientificamente che è sicuro. Questo principio si applica agli organismi geneticamente modificati (ogm), che secondo alcuni esperti sono pericolosi per la salute. Greenpeace inoltre dichiara che il Ttip non fa riferimento al taglio delle emissioni di Co2 previsto dal patto firmato al vertice sul clima di Parigi, mentre l’Unione europea vorrebbe che il trattato ne tenesse conto. Secondo quanto si legge nei documenti, infine, gli Stati Uniti hanno minacciato di bloccare l’alleggerimento delle norme sull’importazione di auto europee negli Stati Uniti per costringere l’Unione europea a comprare più prodotti agricoli statunitensi. 
Cos’è il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip)
Il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip), un accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Unione europea, è stato proposto nel 2013. Da allora ci sono stati tredici round di negoziati, l’ultimo dei quali si è svolto a New York nell’aprile del 2016. I prossimi negoziati si terranno a giugno. I negoziatori prevedono di concludere i lavori nel 2016, ma gli ultimi incontri si sono svolti senza particolari passi in avanti. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha dichiarato di voler concludere l’accordo prima della fine del suo mandato. In seguito alla conclusione dei negoziati, il progetto dovrà essere approvato dai 28 governi dell’Unione europea, dal parlamento europeo e dai 28 parlamenti dei paesi dell’Unione, che potrebbero anche indire dei referendum. Ecco cosa prevede l’accordo e quali sono i punti contestati dai cittadini di molti paesi europei. 
• Gli obiettivi principali del Ttip sono l’apertura di una zona di libero scambio tra Stati Uniti e Unione europea, la riduzione dei dazi doganali per le aziende che commerciano tra le due aree e l’approvazione di nuove leggi che favoriscano il commercio tra i due blocchi, eliminando le differenze normative e amministrative. 
• Il trattato riguarderà il 40 per cento del giro d’affari del commercio mondiale e si applicherà ad ambiti molto diversi, sottoposti a legislazioni disomogenee, dal mercato culturale a quello alimentare. 
• In Europa il trattato è stato molto criticato e ci sono state manifestazioni per chiedere di bloccarlo. Il timore degli europei è che il Ttpi abbassi gli standard di sicurezza previsti in Europa per venire incontro alle richieste degli Stati Uniti. Più di due milioni di cittadini europei hanno firmato una petizione che chiede di fermare le trattative. 
• Secondo le informazioni che sono trapelate, i governi europei non sono affatto uniti sulle molteplici misure previste dall’accordo (la Francia, che aveva ottenuto l’esclusione del settore audiovisivo dal trattato in nome dell’eccezione culturale, continua a mostrarsi particolarmente diffidente), ma è improbabile che revochino o modifichino il mandato di trattare assegnato alla Commissione. 
• Tra le questioni più discusse c’è la “risoluzione delle controversie tra investitore e stato” (Investor-state dispute settlement, Isds). Il trattato permetterebbe alle aziende di fare causa ai governi portandoli di fronte a un collegio arbitrale. In questo modo, sostiene chi critica il Ttip, l’Isds darebbe alle multinazionali la possibilità di ostacolare qualsiasi legge che va contro i loro interessi. L’esempio più citato è quello della Philip Morris, che ha fatto causa ai governi di Uruguay e Australia. 

sabato 30 aprile 2016

Caso Regeni, la conduttrice egiziana fa un passo indietro



L'attrice e conduttrice Rania Mahmoud non poteva pensare di non alzare un polverone, dicendo che Giulio Regeni dovrebbe "andarsene all'inferno", ma ora, in un'intervista al Corriere della Sera, prova a fare un passo indietro.
"Non volevo dire che lui dovrebbe andare all'inferno, ma il che caso dovrebbe", spiega la conduttrice, accusando le indagini sull'omicidio del giovane italiano di causare "problemi tra gli egiziani e gli italiani" e parlando di una "cospirazione contro l'Egitto".
L'accusa della conduttrice è contro un "embargo economico" dovuto ai "media europei", che "scrivono che all'Egitto il caso non importa e non ci stiamo sforzando di capire chi abbia ucciso il ragazzo", sicura che ci sia un complotto dei terroristi perché i due Paesi spezzino i legami esistenti tra di loro.
Rania, ricorda il Corriere della Sera, fino a gennaio dello scorso anno lavorava ad Al Assima. Dopo un'intervista a un astrologo che in onda evocò lo spirito del presidente Sadat - e profetizzò un attentato all'attuale leader Al Sisi - fu lasciata a casa, per rispuntare poi ad Al-Hadath.

«Regeni ... andasse al diavolo»


Per Rania Yassen, giornalista per la tv saudita Al Arabiya, il caso del ragazzo ucciso “è un complotto”. E aggiunge: “Andasse al diavolo”.Uno sfogo durissimo contro Giulio Regeni da parte di una giornalista egiziana. “Sono stufa di questa storia”. Il caso sull’uccisione di Giulio Regeni tiene banco in Italia e anche in Egitto. Proprio dallo stato con capitale Il Cairo arriva un duro attacco. Per Rania Yassen, giornalista per la tv saudita Al Arabiya, il caso del ragazzo ucciso “è un complotto”. E aggiunge: “Andasse al diavolo”. La presentatrice ha aperto l’edizione del telegiornale dando la notizia dell’apertura di un’indagine contro Reuters, colpevole di aver diffuso notizie false a proposito del caso di Giulio Regeni. Un evento che probabilmente l’ha infastidita al tal punto da dichiarare: “Voglio dirvi una cosa: tutto questo interesse per il caso Regeni a livello internazionale, come in Gran Bretagna e Usa, indica una sola cosa: siamo davanti ad un complotto! Come se Regeni fosse il primo caso di omicidio in tutto il mondo!”. Ma non si è fermata lì. Ha spiegato che ci sono tantissimi casi di egiziani spariti in tutto il mondo in particolare in Paesi come Italia e Usa. Luogihi, secondo la giornalista, “dove le bande mafiose fanno di tutto”. Lo sfogo poi ha preso una piega spiacevole. La donna è passata alle offese: “All’inizio francamente sentivo pietà nei suoi riguardi, un ragazzo ucciso, ma adesso basta, che andasse al diavolo!”.
Velatamente lascia intendere che Regeni, come erronamente si è detto spesso, appartenesse ai servizi segreti. Poi chiude il servizio: “Non rompete insomma, siamo davvero stufi di voi”.

giovedì 28 aprile 2016

L'acqua riconsegnata ai privati

di Alex Zanotelli




Quello che è avvenuto il 21 aprile alla camera dei deputati è un insulto alla democrazia. I rappresentanti del popolo italiano hanno rinnegato quello che 26 milioni di italiani avevano deciso con il referendum del 12-13 giugno 2011 e cioè che l’acqua deve uscire dal mercato e che non si può fare profitto su questo bene. I deputati invece hanno deciso che il servizio idrico deve rientrare nel mercato, dato che è un bene di “interesse economico”, da cui ricavarne profitto. Per arrivare a questa decisione (beffa delle beffe!), i rappresentanti del popolo hanno dovuto snaturare la legge d’iniziativa popolare (2007) che i Comitati dell’acqua erano finalmente riusciti a far discutere in parlamento. Legge che solo lo scorso anno (con enorme sforzo dei comitati) era approdata alla Commissione ambiente della camera, dove aveva subito gravi modifiche, grazie agli interventi di Renzi-Madia. Il testo approvato alla camera obbliga i comuni a consegnare l’acqua ai privati. Ben 243 deputati (Partito Democratico e Destra) lo hanno votato, mentre 129 (Movimento Cinque Stelle e Sinistra Italiana) hanno votato contro. A nulla è valsa la rumorosa protesta in aula dei pentastellati. Ora il popolo italiano sa con chiarezza sia quali sono i partiti che vogliono privatizzare l’acqua, ma anche che il governo Renzi è tutto proteso a regalare l’acqua ai privati. «L’obiettivo del governo Renzi - afferma giustamente l’economista Riccardo Petrella - è il consolidamento di un sistema idrico europeo, basato su un gruppo di multiutilities su scala interregionale e internazionale, aperte alla concorrenza sui mercati europei e mondiali, di preferenza quotate in borsa , e attive in reti di partenariato pubblico-privato». Sappiamo infatti che Renzi vuole affidare l’acqua a quattro multiutilities italiane: Iren, A2A, Hera e Acea. Infatti sta procedendo a passo spedito l’iter del decreto Madia (Testo unico sui servizi pubblici locali) che prevede l’obbligo di gestire i servizi a rete (acqua compresa) tramite società per azioni e reintroduce in tariffa “l’adeguatezza della rimunerazione del capitale investito”. (la dicitura che il referendum aveva abrogato!). Tutto questo è di una gravità estrema, non solo perché si fa beffe della democrazia, ma soprattutto perché è un attentato alla vita. È infatti papa Francesco che parla dell’acqua come «diritto alla Vita» (un termine usato in campo cattolico per l’aborto e l’eutanasia). L’acqua è Vita, è la Madre di tutta la Vita sul pianeta. Privatizzarla equivale a vendere la propria madre! Ed è una bestemmia! Per cui mi appello a tutti, credenti e non, ma soprattutto alle comunità cristiane perché ci mobilitiamo facendo pressione sul senato dove ora la legge sull’acqua è passata perché lo sgorbio fatto dai deputati venga modificato. Inoltre mi appello: al presidente della Repubblica, perché ricordi ufficialmente al parlamento di rispettare il referendum; alla Corte costituzionale, perché intervenga a far rispettare il voto del popolo italiano; alla Conferenza episcopale italiana, perché si pronunci sulla scia dell’enciclica Laudato Si’, sulla gestione pubblica dell’acqua; ai parroci e ai sacerdoti, perché nelle omelie e nelle catechesi, sensibilizzino i fedeli sull’acqua come «diritto essenziale, fondamentale, universale» (papa Francesco); ai comuni e alle città, perché ritrovino la volontà politica di ripubblicizzare i servizi idrici come ha fatto Napoli. Il problema della gestione dell’acqua è oggi fondamentale: è una questione di vita o di morte per noi, ma soprattutto per gli impoveriti del pianeta, per i quali, a causa del surriscaldamento del pianeta, l’acqua sarà sempre più scarsa. Se permetteremo alle multinazionali di mettere le mani sull’acqua, avremo milioni e milioni di morti di sete. Per questo la gestione dell’acqua deve essere pubblica, fuori dal mercato e senza profitto, come sta avvenendo a Napoli, unica grande città italiana ad aver obbedito al referendum. Diamoci tutti da fare perché vinca la Madre, perché vinca la Vita: l’acqua

giovedì 31 marzo 2016

Grillo: «Guidi beccata con le mani nel petrolio, Renzi e Boschi a casa con lei»



Attacco a gamba tesa di Beppe Grillo contro il Governo Renzi dopo la pubblicazioni delle intercettazioni delle conversazioni tra Guidi, Gemelli e il dirigente della compagnia petrolifera che opera in quel di Corleto Perticara a Potenza. “Scandalo Tempa Rossa, dopo la Guidi si dimettano anche Renzi e la Boschi". Secondo Grillo, fondatore del Movimento 5 stelle, "la misura è colma si devono vergognare a andare a casa subito. Ora si capisce perchè il Pd e il governo tifano per l'astensione sul referendum delle trivelle in programma il prossimo 17 aprile. Un referendum che intacca gli interessi delle compagnie petrolifere. Il compagno della Guidi indagato dalla Procura concordava con l'amata - evidenzia Grillo - emendamenti a favore degli impianti di Total legati al deleterio provvedimento Sblocca Italia. La Guidi chiedeva a sua volta l'avallo della Boschi, il tutto con Renzi che blindava i provvedimenti mettendo il voto di fiducia. L'emendamento marchetta al centro dello scandalo venne per prima denunciato alla Camera dal Movimento". La storia parte con lo Sblocca Italia dove fu proprio Mirella Liuzzi (M5S) a scoprirlo. "In quella occasione - continua Grillo - riuscimmo a bloccarlo nella notte del 17 ottobre 2014 grazie ad una dura lotta parlamentare. In seguito, il 15 dicembre 2014 il governo fu pescato nuovamente con le mani nei pozzi di petrolio. Il gioco sporco venne scoperto al Senato da parte di Gianni Girotto e Gianluca Castaldi esponenti pentastellati delle Commissioni Industria del Senato. L'emendamento vergogna era stato ripresentato da parte del Governo in legge di Stabilità. Fu così che la triplice alleanza petrolifera Renzi-Guidi-Boschi, tramite il voto di fiducia riuscì a blindare ed approvare il maxi-emendamento a firma BoschiLa Guidi si è già dimessa - conclude Beppe Grillo - se ne vadano a casa anche Renzi e con lui finalmente la Boschi".

Affare petrolio in Basilicata: il ministro Guidi si dimette


Travolta dal vortice delle polemiche a seguito dell'inchiesta della magistratura di Potenza sull'affare petrolio in Basilicata il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, ha rassegnato le dimissioni. E' chiaro che bisogna essere garantisti finché i gradi di giudizio non accerteranno la verità processuale con le dovute conseguenze. La vicenda è legata a proposito dell'emendamento che il governo stava per inserire nella Legge di Stabilità relativo ai lavori per il centro oli della Total in contrada Tempa rossa a Corleto Perticara (Potenza), nei quali il fidanzato della ministra Guidi, Gianluca Gemelli, aveva interesse essendo alla guida di due società del settore petrolifero. Il tutto è il seguito dell'inchiesta della magistratura potentina sullo smaltimento dei rifiuti legati alle estrazioni petrolifere.  Guidi, che non è indagata nell'inchiesta. Per Gemelli, compagno della Guidi, il gip di Potenza ha rifiutato l'arresto. Gianluca Gemelli risulta iscritto nel registro degli indagati. Nella lettera indirizzata al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, la dimissionaria ministra Federica Guidi scrive: "Caro Matteo, sono assolutamente certa della mia buona fede e della correttezza del mio operato. Credo tuttavia necessario, per una questione di opportunità politica, rassegnare le mie dimissioni da incarico di ministro. Sono stati due anni di splendido lavoro insieme. Continuerò come cittadina e come imprenditrice a lavorare per il bene del nostro meraviglioso Paese». 

Affare petrolio in Basilicata: l'inchiesta s'allarga e spuntano nomi eccellenti. Anche De Filippo

Sull’affare petrolio, in generale, in seguito all’inchiesta della magistratura potentina, risulta indagato anche l’ingegnere Gianluca Gemelli, imprenditore e compagno del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi

Si tratta di emendamenti decisi dal governo e fatti poi approvare in Senato per favorire il compagno della ministra. C’è anche questo nell’inchiesta della magistratura di Potenza. È il 5 novembre del 2014. Dopo la bocciatura di un emendamento inserito nel decreto Sblocca Italia (avvenuta il 17 ottobre) per la realizzazione del contestato Progetto Tempa Rossa, Gianluca Gemelli chiama la compagna, Federica Guidi. La telefonata, in cui lei rassicura lui, è contenuta negli atti dell’inchiesta: «Dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato se è d’accordo anche Mariaelena (il ministro Boschi, specificano gli investigatori) quell’emendamento che mi hanno fatto uscire quella notte, alle quattro di notte». Lui si informa se riguarda i suoi amici della compagnia petrolifera Total: «Quindi anche coso, vabbè i clienti di Broggi». E lei lo rassicura di nuovo: «Eh certo, capito? Te l’ho detto per quello». Avuta la notizia Gemelli chiama subito il rappresentante della Total: "La chiamo per darle una buona notizia..ehm.. .si ricorda che tempo fa c'è stato casino ... che avevano ritirato un emendamento ... ragion per cui c'erano di nuovo problemi su Tempa Rossa ... pare che oggi riescano a inserirlo nuovamente al Senato … ragion per cui ... se passa ... e pare che ci sia l'accordo con Boschi e compagni ... se passa quest'emendamento ... che pare ... siano d'accordo tutti ... perché la Boschi ha accettato di inserirlo... è tutto sbloccato! (risata) ... volevo che lo sapesse in anticipo! ... e quindi questa è una notizia ...". Dalle indagini fatte poi dagli agenti della squadra mobile della Polizia di Potenza è emerso che l'emendamento era stato inserito nel maxiemendamento alla Legge di stabilità del 2015, modificato dal Senato il 20 dicembre, con il quale si dava il via al progetto Tempa Rossa. Dalle carte emerge poi un incontro, datato 18 novembre 2014, tra il ministro Guidi, i rappresentanti della Total e il sottosegretario Simona Vicari. Dopo l’incontro il dirigente Total Cobianchi chiama Gemelli e gli dice: “A nome della società la ringrazio per averci fatto conoscere direttamente il ministro Guidi e per l’interessamento che ha avuto”. Gemelli risponde al telefono: “Assolutamente a disposizione, ce lo siamo detti dal primo giorno”. Gianluca Gemelli, compagno della ministra Guidi, è indagato per traffico di influenze illecite perché “sfruttando la relazione di convivenza che aveva col Ministro allo Sviluppo Economico - si legge nel capo d’imputazione contenuto nell’ordinanza - indebitamente si faceva promettere e otteneva da Giuseppe Cobianchi, dirigente della Total” le qualifiche necessarie per entrare nella “bidder list delle società di ingegneria” della multinazionale francese, e “partecipare alle gare di progettazione ed esecuzione dei lavori per l’impianto estrattivo di Tempa Rossa”. Nell’inchiesta è coinvolto anche Vito De Filippo. In una intercettazione il sottosegretario alla Salute chiede un favore a uno degli indagati, l’imprenditore Pasquale Criscuolo. “Ti mando una mia collaboratrice, se ti serve qualsiasi cosa è in condizione di risolverti molti problemi su Roma”, dice De Filippo. Dalle intercettazioni emerge la posizione dell'ex sindaco di Corleto P., Rosaria Vicino, che poteva contare su un importante consenso elettorale «da ricondursi anche ai posti di lavoro che la stessa riesce a far ottenere attraverso le pressioni esercitate nei confronti delle imprese impegnate nella costruzione del Centro Oli di Tempa Rossa, che si vedono costrette (in alcuni casi colluse) nell'assumere persone segnalate dal primo cittadino, in cambio del rilascio delle necessarie autorizzazioni comunali o in cambio di una più celere trattazione delle pratiche annesse (permessi di costruire), ovvero in cambio di vantaggi economici anche solo promessi derivanti da concessioni, delibere». In questo modo Vicino avrebbe ottenuto non solo «il controllo dell'elettorato attivo in vista delle prossime elezioni amministrative locali», ma anche «l'impegno del sottosegretario De Filippo a far assumere il figlio all'Eni». Più volte nelle intercettazioni De Filippo ha rassicurato la Vicino di un suo intervento «presso una non meglio specificata Azienda con sede in Roma (seppure mai menzionata espressamente potrebbe essere l'Eni spa)», scrive il giudice.
Tuonano le opposizioni
Nicola Fratoianni (Sinistra italiana-Sel): si dimetta, pronti a mozione di sfiducia "La vicenda delle intercettazioni che coinvolgono il ministro dello Sviluppo Guidi e il suo compagno è impressionante, perché dimostra quanto il tema del conflitto di interessi sia esplosivo per questo governo. Che paese è quello in cui una ministra telefona al compagno per annunciargli lo sblocco di una grande opera che ha a che fare con gli interessi del compagno stesso? E che paese e' quello in cui poi questo signore chiama una grande azienda per dire che la situazione si è sbloccata? La cosa più seria e dignitosa a questo punto sarebbe aver ricevuto la notizia delle dimissioni di Guidi. Accompagnate da una seria valutazione del governo sul tema del conflitto di interessi. Se questo non avverrà, si lavorerà con tutte le opposizioni e i parlamentari disponibili a una mozione di sfiducia”.  Michele Dell'Orco, capogruppo M5S Camera e Nunzia Catalfo capogruppo M5S Senato: “Scandalo Tempa Rossa a Potenza, si dimettano i Ministri Guidi e Boschi. La misura è colma si devono vergognare a andare a casa subito". "Ora si capisce il perché il Pd ed il governo tifano per l'astensione sul referendum delle trivelle che intacca gli interessi delle compagnie petrolifere - continuano Dell'Orco e Catalfo - il fidanzato della Guidi indagato dalla Procura concordava con l'amata emendamenti a favore degli impianti Tempa Rossa di Total legati al deleterio provvedimento Sblocca Italia e la Guidi chiedeva a sua volta l'avallo della Boschi". "Guarda caso il progetto è quello Tempa Rossa contro il quale il Movimento 5 Stelle si batte da oltre due anni" continuano i capigruppo M5S. "La miglior risposta a queste indecenze oltre alle dimissioni di Guidi e Boschi è andare tutti a votare domenica 17 aprile e votare sì contro le trivellazioni marine", concludono i pentastellati. Matteo Salvini, segretario federale della Lega Nord: "Lo scandalo Guidi? E' l'ennesimo, mostruoso conflitto d'interesse di questo governo. Più che Guidi o Boschi la vera responsabilità è quella di Matteo Renzi. E' lui che deve dimettersi. Al confronto Berlusconi era un principiante". Domenico Scilipoti Isgrò, senatore di Forza Italia: “Prima i padri con le banche e ora i fidanzati con il petrolio: questo Governo è un conflitto di interessi vivente. Il ministro Guidi rassegni le sue dimissioni”. Alessandro Cattaneo, membro del Comitato di Presidenza di Forza Italia e Responsabile Formazione del partito di Silvio Berlusconi: "Se ciò che stiamo leggendo in queste ore sul ministro Guidi e sulle sue chiamate con il compagno, all'interno delle quali il ministro lo rassicura sull'inserimento di emendamenti nel dicembre 2014 che a quanto pare favorivano nettamente le sue aziende, fosse vero, sarebbe chiaro a tutti che siamo di fronte a un caso sul quale il Governo non può non fare chiarezza. Sempre garantisti, ma di fronte a certe parole e fatti non si può che restare sorpresi e agire di conseguenza. Le intercettazioni sul Ministro Guidi sono sconcertanti". 

Petrolio, smaltimento illecito di rifiuti: ecco i nomi

Centro oli di Viggiano

Sono stati ritenuti responsabili a vario titolo, dagli inquirenti, di “attività organizzate per il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti”. I carabinieri per la tutela dell’ambiente hanno eseguito l’ordinanza, che prevede gli arresti domiciliari, a cinque funzionari e dipendenti del centro oli di Viggiano (Potenza) dell’Eni, dove viene trattato il petrolio estratto in Val d’Agri.  Il Procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, Roberti, ha detto che “in questo caso non  si può parlare di eco-mafia perché con ci sono gruppi malavitosi, ma di delitti d’impresa legati allo smaltimento di rifiuti e quindi di reati ambientali, ai quali la procura nazionale antimafia ha rivolto particolare interesse”. Le persone arrestate sono esercenti eni: Roberta Angelini, Vincenzo Lisandrelli, Antonio Cirelli, Luca Baratti e Nicola Allegro. Divieto di dimora a Potenza per Salvatore  Lambiase, dirigente dell’Ufficio ambientale della regione Basilicata. Questo per quanto riguarda le attività di smaltimento rifiuti dal Centro Oli di Viggiano. In relazione invece al Cento Oli di Tempa Rossa di Corleto Perticara si ipotizzano condotte illecite da parte di due amministratori. Nell’ambito di questa indagine è agli arresti domiciliari l’ex sindaco di Corleto Perticara, Rosaria Vicino, nei confronti del vice sindaco dell’epoca, Giovanbattista Genovese, sono accusati di “plurime condotte di concussione e corruzione”. E' stata invece irrogata una misura di divieto di dimora a Corleto. Per due imprenditori: Lorenzo Maesilio e Vincenzo Cemente, è stata applicata la misura introduttiva della sospensione dell’esercizio dell’attività imprenditoriale. I provvedimenti cautelari, emessi dal gip del Tribunale di Potenza nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, sono stati eseguiti nelle province di Potenza, Roma, Chieti, Genova, Grosseto e Caltanissetta. Contestualmente agli arresti sono stati eseguiti due decreti di sequestro dai Carabinieri all’interno del centro oli, con possibili conseguenze sulla produzione di petrolio in Val d’Agri, dove si trovano giacimenti di idrocarburi di interesse nazionale. L’Eni non commenta e sottolinea di stare collaborando con la magistratura. A febbraio 2015 la Dda ha voluto far luce su un presunto traffico illecito di rifiuti, poi è stata la volta di emissioni in eccesso: in tutto quasi 50 gli indagati, tra colletti bianchi, ex dirigenti dell’Arpab, funzionari regionali e provinciali. Un altro sequestro ha riguardato gli impianti di Tecnoparco, a Pisticci (Matera), sempre nell’ambito dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Potenza. Eni, si legge sul sito del gruppo, “è presente in Basilicata in Val d’Agri e nelle aree di Pisticci e Ferrandina con attività di upstream petrolifero (ricerca e produzione di idrocarburi)”. In particolare, “la produzione complessiva di idrocarburi in Basilicata deriva prevalentemente dal Centro Olio Val d’Agri (Cova) e, in misura minore, dal Centro Olio di Pisticci e dalle 2 centrali a gas (Ferrandina e Pisticci)". In Basilicata si registra una produzione di 82.630 barili di petrolio al giorno e 3,98 milioni di standard metri cubi di gas al giorno.




martedì 29 marzo 2016

Sei i criminali informatici ai quali l'Fbi dà la caccia

Firas Dardar, nato il tre marzo 1989, di Homs. Pseudonimo adottato in rete: "The Shadow". È ricercato prima di tutto per il suo coinvolgimento attivo nella Syrian Electronic Army (SEA), un gruppo di hacker pro regime siriano. Tra il settembre del 2011 e il gennaio del 2014, sotto la bandiera della SEA ha sferrato ripetuti attacchi contro agenzie del governo statunitense, media internazionali e organizzazioni private. Ma si è dedicato anche ad attività estorsive ai danni di comuni utenti. 




Un altro componente della Syrian Electronic Army è Ahmad Al Agha, nato il 10 gennaio del 1994, a Damasco. Nickname: Th3 Pr0. Non sembra imputato di crimini legati ad attività fraudolente, ma per il suo impegno nella SEA sulla testa del giovane hacker siriano pende una taglia da ben 100mila dollari. 



Tre milioni di dollari. È la cifra che l'ente investigativo della polizia federale statunitense mette in palio per chiunque riveli informazioni utili all'arresto di Evgeniy Mikhailovich Bogachev, 33 anni, russo. Conosciuto con i nickname “lucky12345” e “slavik”, Bogachev avrebbe gestito un'impresa di racket che installava sul computer delle vittime un software dannoso, Zeus. Con l'obiettivo di rubare tutte le informazioni necessarie per accedere a conti bancari online.




Può essere definito un trasformista. Dato che Aleksei Belan, 28enne di Riga, in Lettonia, ha l'abitudine di tingersi i capelli per non essere identificato. Si dice che viaggi tra il suo paese natale, la Russia, le Filippine, le Maldive e la Grecia, dove è stato avvistato l'ultima volta. Sono 100mila i dollari messi a disposizione dall'Fbi a chiunque agevoli la sua cattura. Perché Belan ha violato i network di tre grandi compagnie di e-commerce degli Stati Uniti, rubandone i database, e poi ne ha negoziato la vendita.


Si tratta di una cospirazione criminale complessa, basata in Romania e in altri paesi europei, quella di cui fa parte Nicolae Popescu, classe 1980. I suoi membri pubblicano sui siti d'aste online annunci pubblicitari che sponsorizzano della merce in vendita inesistente. E attraverso un sofisticato sistema, che sfrutta agganci negli Stati Uniti e gli garantisce credibilità agli occhi degli acquirenti, riescono a truffarli.


Tra i criminali informatici più ricercati dall'Fbi ci sono anche dei membri dell'Esercito Popolare di Liberazione, cioè le forze armate della Repubblica Popolare Cinese. Come Sun Kai Liang. L'accusa è di frode telematica, accesso non autorizzato a dei computer con lo scopo di trarne vantaggi commerciali e guadagni privati, furto di identità e di segreti aziendali e spionaggio economico. 


L'Fbi viola l'iPhone Apple

di Gaia Bottà

L’iPhone 5C si può violare: non è dato sapere quali siano le modalità, ma il successo delle autorità statunitensi nell'accedere all'iPhone del killer di San Bernardino è ufficiale. Il Dipartimento di Giustizia ha annunciato la deposizione del contenzioso in corso con il quale si chiedeva a Cupertino di collaborare per facilitare le forze dell'ordine nello scardinamento delle protezioni a presidio del terminale al centro delle indagini. Il caso, aperto nel mese di febbraio, faceva leva sul fatto che l'FBI non avesse strumenti adeguati a forzare le protezioni erette da Apple: sulla base dell'All Writs Act era stata formulata un'ingiunzione con la quale si imponeva a Cupertino di collaborare per sviluppare del software ad hoc per permettere agli inquirenti di crackare agevolmente l'iPhone 5C di uno dei responsabili della strage di San Bernardino per poter indagare sulle sue intenzioni terroristiche. La levata di scudi dell'industria di settore, a supporto dell'opposizione di Apple all'ingiunzione, non era servita a dissuadere le autorità statunitensi: il confronto nel quale si sarebbe dovuto discutere della legittimità delle richieste dell'FBI era stato rimandato la scorsa settimana non per il ravvedimento delle forze dell'ordine, ma perché le autorità statunitensi intendevano mettere alla prova una soluzione tecnica che avrebbe reso superfluo l'intervento di Apple. L'hack, si apprende ora, si è dimostrato efficace, almeno per l'iPhone 5C oggetto del contenzioso. Quello che rimane nell'ombra sono i dati su cui l'FBI avrebbe voluto mettere le mani, e con quali soluzioni li abbia ottenuti. Nei giorni scorsi si sono affollate le speculazioni riguardo alle possibilità di sboccare il terminale e di guadagnare accesso alle informazioni che ospita, oltre all'opzione della collaborazione dell'israeliana Cellbrite e del meno probabile intervento di John McAfee. C'è chi suggeriva lo sfruttamento di vulnerabilità software ancora ignote ai più, mentre altri hanno scommesso sulle soluzioni che prevedono un intervento sull'hardware. Edward Snowden suggeriva ad esempio la possibilità di agire con una soluzione di decapping per l'estrazione dei dati agendo sul chip del dispositivo, tecnica che avrebbe comportato rischi per l'integrità dei dati stessi. Si è poi dibattuto di una tecnica di NAND mirroring, messa alla prova dall'esperto di computer forensics Jonathan Zdziarski per dimostrare come sia possibile, giocando sull'hardware per evitare il blocco dei tentativi di accesso, portare a termine un attacco di tipo brute force per individuare il PIN per sbloccare un iPhone con iOS9. Quel che è assodato, per ora, è che la revoca dell'ingiunzione consentirà alle autorità statunitensi di mantenere il riserbo, a meno che Cupertino, o le associazioni che si battono per i diritti dei cittadini come EFF o ACLU, non ottengano l'invocata trasparenza. Apple, dal canto suo, ribadisce da una parte la propria intenzione di collaborare con la forze dell'ordine qualora formulino delle richieste legali, e non impongano di socchiudere delle pericolose backdoor, dall'altra l'impegno a "aumentare la sicurezza dei prodotti dal momento che le minacce e gli attacchi ai nostri dati diventano sempre più frequenti e più sofisticati".

lunedì 28 marzo 2016

La stampa inglese su Regeni



Investigatori egiziani che indagano sull'omicidio dello studente italiano Giulio Regeni hanno deciso di estendere l'indagine dopo le pressioni da Roma, secondo Angelino Alfano, il ministro degli interni italiano. Il governo italiano si era opposto alle insistenze autorità egiziane che avevano individuato un gruppo criminale legato all'omicidio di Regeni, un 28-year-old studente laureato Cambridge University, dopo aver ucciso quattro membri della banda e di trovare il passaporto dello studente in un appartamento sospetto.
media italiani e fonti diplomatiche occidentali al Cairo avevano espresso sospetti che i servizi di sicurezza egiziani avevano rapito Regeni e poi torturato a morte.
"E 'importante che, a fronte della nostra enfasi sulla ricerca della verità, gli egiziani abbiano cambiato virata in poche ore e ci hanno detto che le loro indagini continuano", "I nostri investigatori dovrebbero essere direttamente coinvolti, partecipando a interrogatori e raccolta di prove ... Il nostro contributo è essenziale. Ripeto per i genitori di Giulio e al pubblico italiano che il governo italiano avrà il nome degli assassini." Regeni scomparve nel centro del Cairo il 25 gennaio. Il suo corpo è stato trovato nove giorni dopo, sul lato di un'autostrada, mostrando segni di tortura. Secondo fonti governative, Matteo Renzi, il primo ministro italiano, ha promesso genitori dello studente che Roma avrebbe continuato a fare pressione sull'Egitto per stabilire i fatti della sua morte. I genitori di Regeni hanno già detto alla stampa italiana che erano "ferite e amare" al più tardi il tentativo delle autorità egiziane per spiegare l'omicidio del figlio.

Sondaggio Ixè: crescono Pd, M5S e Lega Nord. Cala la fiducia in Renzi e nel Governo


Crescono nei sondaggi sia Pd che M5s e Lega Nord. A rilevarlo sono le intenzioni di voto dell’Istituto Ixè. Il 78 per cento degli intervistati non è soddisfatto delle scelte economiche dell’esecutivo fatte in due anni. Il 71% dà torto al ministro dell’Economia Padoan che ha parlato di svolta e inizio della crescita per l’Italia. Rimane, dunque, bassa la quota di chi vede segni di ripresa: questa settimana gli ottimisti sono il 27%.
In riferimento alle intenzioni di voto, il partito del presidente del Consiglio Renzi passa, in una settimana, dal 33,8% al 34,3% mentre il Movimento 5 stelle si assesta al 24,5% (+0,4%). Balzo in avanti di mezzo punto anche per la Lega Nord (dal 14,2% al 14,7%), a differenza di Forza Italia, che scende dall’11,2% al 10,6%. Se si votasse oggi, l’affluenza sarebbe al 59,6%. Stabili al 31% e 30% la fiducia in Matteo Renzi e nel governo, secondo l’Istituto di Roberto Weber. Al comando, tra i leader politici italiani, c’è sempre il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al 59%. Papa Francesco veleggia all’85%.
Renzi ottiene una “insufficienza” anche nel capitolo immigrazione: il voto medio degli intervistati è 5. Il campione si dimostra però contrario ai “muri” alzati da alcune nazioni (54% contro il 38%) e ritiene a grande maggioranza che l’immigrazione sia un fenomeno irreversibile da trasformare in opportunità (55%) piuttosto che semplicemente da arginare (34%).
Questo il quadro complessivo delle intenzioni di voto (tra parentesi la differenza percentuale rispetto alla scorsa settimana). – PD 34,3% (+0,5). – M5S 24,5% (+0,4). – LEGA NORD 14,7% (+0,5). – FORZA ITALIA 10,6% (-0,6). – SINISTRA ITALIANA 5,3% (+0,8). – FDI 3,3% (-0,3). – AP (NCD+UDC) 3,0% (+0,3). – PRC 1,3% (+0,3). – IDV 1,0% (-0,2). – VERDI 0,5% (-0,2). – SC 0,3% (-0,1).

Attentato 22 marzo 2016 alla metro di Bruxelles: coincidenze davvero incredibili

LE SOIR
24 novembre 2015
Infrabel, l'infrastruttura ferroviaria, ha annunciato il rinvio della messa in servizio del tunnel "Schuman-Giosafat" prevista per il 13 dicembre. Si tratta di un risultato indiretto della minaccia terroristica a Bruxelles. Prima della messa in funzione di questo tunnel, abbiamo dovuto organizzare una grande esercitazione disastro che riunisce 200 extra (figuranti) per testare i dispositivi di sicurezza. L'indisponibilità di alcuni servizi di emergenza attuali mobilitate per la protezione della popolazione costringe Infrabel di rinviare l'organizzazione di quest'anno al 9 aprile 2016. Il collegamento è strategico per la mobilità verso e all'interno di Bruxelles. Esso consente di alleviare la giunzione pomeriggio nord e collegare direttamente il quartiere europeo per l'aeroporto Zaventem.


foto dell'esercitazione dal video di Rtfb
RTBF
26 febbraio 2016
Circa 300 persone hanno partecipato all'esercizio di sicurezza del tunnel Schuman-Josaphat. Il gestore dell'infrastruttura ferroviaria belga, Infrabel e l'Alto ufficiale della regione di Bruxelles coordinato, nella notte di giovedì al venerdì (25-26 febbraio 2016), tra mezzanotte e le 04:00, un esercizio di sicurezza nel tunnel Schuman-Giosafat. Questa simulazione è stata eseguita in presenza del Ministro della Sicurezza e dell'Interno Jan Jambon, Segretario di Stato per Bruxelles Medical Aid urgente Cécile Jodogne ma anche per la Commissione europea, il direttore della Sicurezza Ilkka Salmi e il capo della protezione dell'unità e gestione Sonnenschein Richard crisi. L'obiettivo è quello di testare a grandezza naturale la sicurezza nelle gallerie. In conformità con gli standard europei, questo esercizio è un prerequisito per ottenere l'approvazione di questa nuova infrastruttura sarà commissionato il 4 aprile. Il dispiegamento campo di tutti i servizi di emergenza è effettivamente un esercizio di prova per la regione in una vera e propria crisi. In totale, quasi 300 persone sono state mobilitate, vale a dire circa 150 comparse, un centinaio di membri dei servizi di emergenza e una cinquantina di persone per inquadrare. Quaranta extra giocati feriti. Tra emergenza personale inclusi tra gli altri, la Polizia Federale delle Ferrovie, la polizia locale di Bruxelles e zone settentrionali, la Croce Rossa, i vigili del fuoco e servizi comunali di assistenza psicologica alle vittime. Nello scenario, un viaggiatore vede il fumo e suona l'allarme. Il conducente esegue una frenata di emergenza, informare il centro di controllo e ha fatto un giro del treno. Un incendio. I vigili del fuoco intervengono in base alle procedure stabilite nelle gallerie. La prima squadra è responsabile per localizzare le vittime e gli incendi. Il secondo per spegnere il fuoco e il terzo salvataggio. In superficie, la polizia ha bloccato il traffico intorno alla rotonda Schuman. Il Brussels Schuman Control Room è operativa 24 ore su 24. L'operatore ha una visione di circa 170 telecamere distribuite nella stazione come il tunnel. In caso di incidente, la posizione del treno è indicato per gli 10 metri. È inoltre in grado di individuare i fuochi attraverso una fibra ottica che attraversa il tunnel e che fonde le esotermici. Uno scenario di soccorso si attiva automaticamente in base a questi dati. Esso comporta l'accensione dell'illuminazione batteria e l'attivazione dei sistemi di estrazione fumi. Per ricapitolare, il tunnel Schuman-Josaphat è un lavoro di 1.250 metri di lunghezza che permetterà l'accesso diretto dal quartiere europeo - e quindi anche delle stazioni sulla linea 161 Namur / Ottignies-Bruxelles - Bruxelles-Airport, in transito attraverso la linea 26 che costeggia est di Bruxelles.
IL FATTO
22 marzo 2016

Prima l’aeroporto, poi la metropolitana: Bruxelles è sotto attacco terroristico (leggi l’analisi). Alle otto “due kamikaze” dopo avere “gridato in arabo” si sono fatti esplodere nello scalo internazionale di Zaventem devastando la sala partenze internazionali e uccidendo 15 persone, mentre altre ottanta sono rimaste ferite gravemente. Un’ora dopo sono scoppiati ordigni in metropolitana, tra le stazioni di Maelbeek e Schuman, nel cuore del quartiere che ospita le istituzioni Ue.

Una rete locale di terroristi dietro agli attentati di Bruxelles

di Jason Burke

Dal quotidiano britannico The Guardian




È stata una vendetta? La prova dell’esistenza di una nuova cellula terroristica e dell’incompetenza dei servizi di sicurezza belgi? Un segno che la rete di Salah Abdeslam, responsabile logistico degli attentati a Parigi dello scorso anno e arrestato a Bruxelles venerdì 18 marzo, è ancora attiva? Oppure, data la scarsità di dettagli sugli eventi di questa mattina, nessuna di queste ipotesi è plausibile?
Gli attentati di Bruxelles evidenziano alcuni punti fondamentali.
Il primo è che, come è ovvio, la minaccia jihadista in Europa può diminuire o crescere, ma non scompare solo perché un singolo esponente è stato arrestato, per quanto attesa fosse la sua cattura. “L’importante colpo” inferto venerdì, come lo hanno definito vari politici di spicco, adesso appare meno importante.
Il secondo punto è che sia i terroristi sia quelli che tentano di fermarli cercano di mantenere l’iniziativa. La cosa ha degli aspetti pratici e psicologici. Le agenzie di controterrorismo cercano di ottenere informazioni abbastanza velocemente da poter organizzare dei blitz e neutralizzare i sospetti prima che abbiano il tempo di capire chi di loro è stato catturato e chi potrebbe aver parlato, e ovviamente anche prima che possano pianificare un nuovo attacco. Le reti terroristiche si disgregano facilmente se sottoposte a una simile pressione costante, come è stato mostrato in Iraq a metà del decennio scorso.
Per i terroristi, l’obiettivo è mostrare di essere ancora in grado di terrorizzare, agire rapidamente e radicalizzare lo scontro grazie alla violenza. Non si tratta tanto di vendetta, ma più semplicemente di dimostrare che la loro capacità di colpire è intatta. Come se volessero dire: siamo stati colpiti, ma ci siamo ancora.
Una rete organizzata
Il ministro degli esteri belga, Didier Reynders, ha dichiarato domenica che Abdeslam ha detto agli inquirenti che stava pianificando un nuovo attacco nella capitale: “Era pronto a organizzare qualcosa di nuovo a Bruxelles, e potrebbe essere vero poiché abbiamo trovato moltissime armi, armi pesanti, nelle prime indagini, e abbiamo anche scoperto una nuova rete intorno a lui a Bruxelles”, ha spiegato Reynders.
Questa rete potrebbe essere riuscita ad agire prima di venire smantellata dai servizi di sicurezza. È possibile che includesse due altri uomini sospettati di aver avuto un ruolo centrale negli attentati di Parigi e che sono in fuga da novembre.
Mohamed Abrini, 31 anni, un belga di origini marocchine, è scomparso dopo aver avuto un ruolo apparentemente fondamentale nella pianificazione e nella logistica degli attentati di novembre. È un amico d’infanzia di Abdeslam – le loro famiglie erano vicine di casa nel quartiere di Molenbeek, a Bruxelles, da dove provenivano molti degli attentatori di Parigi – e nel suo mandato d’arresto internazionale di quattro mesi fa era descritto come “pericoloso e probabilmente armato”.
La polizia sta anche cercando un sospetto noto solo con lo pseudonimo di Soufiane Kayal. L’uomo ha presentato documenti falsi con quel nome quando è stato controllato alla frontiera tra Austria e Ungheria il 9 settembre. Stava viaggiando con Abdeslam e Mohamed Belkaïd, un algerino di 35 anni ucciso il 15 marzo durante il blitz della polizia a Bruxelles. I tre uomini si erano finti turisti diretti a Vienna per vacanza e non avevano sollevato sospetti.
Questa è la realtà dell’estremismo islamico contemporaneo in Europa. Non si tratta di cani sciolti.
Ma la rete include sicuramente molti altri. È chiaro dal tempo trascorso in fuga da Abdeslam che l’uomo ha ricevuto il sostegno di decine di persone, se non di più. Questa è la realtà dell’estremismo islamico contemporaneo in Europa. Non si tratta di cani sciolti o di attori solitari bensì di un piccolo ma significativo numero di persone inserite in comunità o quartieri più ampi.
Queste persone condividono le opinioni estremiste degli attentatori o, quantomeno, sono pronti ad aiutarli per amicizia, vincoli familiari o entrambe le cose. Alcuni studi hanno mostrato che moltissimi attentatori accennano ai loro piani con le persone appartenenti ai loro circoli sociali ristretti.
Alcune di loro si rivolgono alla polizia. Secondo la stampa francese, sarebbe stata una soffiata giunta dall’interno della comunità ad aver condotto le forze di sicurezza ad Abdeslam la scorsa settimana. Altre invece scelgono di tacere.
Uno dei problemi dei servizi di sicurezza è che gli individui che hanno aiutato gli attentatori senza commettere personalmente azioni violente possono trasformarsi, facilmente e velocemente, in kamikaze o terroristi in alcune circostanze, come l’arresto di una personalità importante della rete o della famiglia o nel caso di ordini provenienti da dirigenti più importanti, magari dall’estero.
Nonostante la visione globale degli ideologi estremisti e la dimensione internazionale attribuita a gruppi come lo Stato islamico o Al Qaeda, questo terrorismo è soprattutto locale.
Negli ultimi decenni, quasi tutti gli attentati in Europa sono stati compiuti da persone del posto che hanno attaccato obiettivi locali con materiali e armi ottenuti localmente. È probabile che sia andata così anche nel caso degli attentati di Bruxelles.