venerdì 27 dicembre 2019

Il pensiero anarchico

A cura di Silvia Ferbri


“Vuoi rendere impossibile per chiunque opprimere un suo simile? Allora, assicurati che nessuno possa possedere il potere” (M. Bakunin)


È possibile accostare il pensiero anarchico alla filosofia? Se “filosofia” significa amore per il “sapere”, ricerca mai conclusa del “sapere”, del “conoscere”, del “comprendere”, forse non sono molte le correnti filosofiche dall'età moderna in poi, pur così nominate, a poter rivendicare per sé questa qualifica in senso pieno. La maggior parte di esse si limita infatti ad offrire una specifica visione del mondo o dell'uomo, spesso dettagliata e argomentata, il più delle volte considerata un punto di arrivo. Non è anche l'anarchia una particolare dottrina politica, legata a un determinato momento storico? Se approfondiamo un poco la conoscenza di questo pensiero, ci renderemo conto che una definizione più corretta può essere invece “dottrina etico-politica” (molti pensatori anarchici si sono occupati di problemi etici, basti l'esempio di Kropotkin), e se andiamo ancora avanti nella nostra esplorazione, alla fine arriveremo a concludere che può essere ancora più opportuno riconoscerla come “filosofia etico-politica”, e attribuirle quindi lo spazio a cui ha pieno diritto all'interno del pensiero filosofico in senso lato. Potremmo anche dire, rifacendoci ad Aristotele, che si tratta di una “filosofia pratica”, in quanto caratterizzata dall'azione, sia come scopo che come oggetto.
Ma per rispondere con maggiore certezza a simili domande e affrontare con la massima apertura e disponibilità questa ricerca, occorre innanzitutto abbandonare i vari pregiudizi, chiarirci il più possibile le idee, e cioè partire dall'inizio. Il termine “anarchia” è infatti ancora un po' troppo avvolto nella confusione. Muoviamo allora dalle origini, dal significato della parola “anarchia”.
Il termine “an-archia” deriva dal greco “αναρχία”, parola composta dalla radice α-(a-), senza, e dalla radice αρχ- (arch), governo, dominio, e viene solitamente tradotto con le espressioni “senza-comando”, “senza-potere”, “senza-autorità”. “Archi” (archi), primo termine di numerosi composti, deriva dal verbo “archein”, archein, comandare. Così “archia”, archia, da “archos”, archos, “arca”, nelle parole composte dotte significa “governo”, “dominio” (mon-archia, olig-archia) e “an-archos”, an-archos, può essere pertanto tradotto “senza un superiore”. Ma si considera anche, come secondo termine, “arch ”, arché, che unito alla radice α- diviene “an-arch”, an-arché.  “Arché” però, prima ancora di “comando”, “potere”, “autorità”, significa “principio”, “origine e fine di tutte le cose”, perciò “anarchia” può anche voler dire “senza principio”, “senza divinità”, “senza dogmi”.
Una delle definizioni del pensiero anarchico (in forma sintetica) è infatti “né Dio né padrone”. Sébastien Faure disse: “Chiunque neghi l'autorità e combatta contro di essa è un anarchico”. Definizione molto semplice, e per questo incompleta e alla fine fuorviante. Il pensiero anarchico è in realtà un pensiero complesso, policromo, talvolta contraddittorio. Semplificarlo non aiuta a conoscerlo e a liberarsi dalla confusione cui accennavamo prima. E' un pensiero che ha una sua storia peculiare e un proprio originale nucleo teorico-concettuale, che lo distingue da altre dottrine politiche, come il socialismo o il liberalismo, e che lo rende in un certo senso più ampio di queste, in quanto tende ad occuparsi dell'intera vita umana e non soltanto della gestione politica o di quella economica. Ma ciò che soprattutto lo distingue dalle altre dottrine politiche, è che per l'anarchismo non esiste una “umanità astratta” (di cui invece trattano tanto il liberalismo quanto il socialismo di stato e il comunismo autoritario), ma singoli uomini concreti. Il pensiero anarchico pertanto, diversamente dalle altre dottrine politiche, non ritiene di aver compreso per via filosofica la “natura” dell'uomo, e non si considera legittimato a prescrivere un codice morale e un'etica di comportamento che implichino diritti e doveri uguali per tutti gli uomini. Nell'anarchia è di fondamentale importanza l'autodeterminazione dell'individuo, di ogni singolo individuo, che è unico e diverso da tutti gli altri, e il suo totale e pieno diritto di scelta, di consenso o di rifiuto. Potremmo provare a definirla quindi una filosofia della libertà. Ma anche così otteniamo una definizione in un certo senso riduttiva e vaga al tempo stesso. Quello anarchico non è un pensiero che rimane tale: è un pensiero legato strettamente all'azione, dando immediata origine all'”anarchismo”. Precisando meglio, l'anarchismo non deriva da riflessioni astratte di qualche intellettuale o filosofo, ma dalla lotta diretta dei lavoratori contro il capitalismo, dalla ribellione degli oppressi contro i loro oppressori, dai bisogni e dalle necessità di questi uomini e dalle loro aspirazioni di libertà ed eguaglianza. I pensatori anarchici, quindi, come Bakunin o Kropotkin, non inventarono l'idea dell'anarchismo, semplicemente la scoprirono nelle masse oppresse e sfruttate e la rafforzarono, la chiarirono e la divulgarono. E' l'azione pertanto che dà origine al pensiero. Il fine ultimo dell'anarchismo è infatti quello di un cambiamento sociale. L'anarchia critica la società esistente, di conseguenza non respinge il potere terreno in base a considerazioni prettamente filosofiche o religiose (come i mistici o gli stoici, ad esempio).
Per inciso, si può, senza eccedere in fantasia, tanto per quanto riguarda il pensiero anarchico come per altri pensieri “moderni”, fare accostamenti in alcuni punti con correnti filosofiche più antiche, e in questo caso quindi rilevare alcune somiglianze tra il pensiero anarchico e lo stesso stoicismo, ad esempio, per la sua visione cosmopolita,  o ancora meglio lo scetticismo, per il suo rifiuto di ogni dogma, o l'epicureismo, per la sua concezione materialistica e atomistica, per il suo contatto con la realtà concreta, per la scelta della situazione, delle persone e dei fatti che meglio si armonizzano con la costituzione intellettuale dell'individuo, per l'esclusione delle sterili dispute sulle questioni “supreme”, per la pluralità delle ipotesi, per la vita piacevole accompagnata però dalla rinuncia “al più”, quindi la semplicità e non lo spreco, per il suo rifiuto dell’attività politica fine a se stessa, o, ancora, si può accostare il pensiero e il sentire anarchico ad alcuni aspetti del libertinismo, per il suo richiamo alla dignità e all'autonomia della ragione dell'uomo, per il suo volersi emancipare da ogni forma di servitù intellettuale e per la sua ribellione morale alla legge e alla tradizione invecchiata, a tutto ciò che non permette all'uomo di liberare la sua creatività, quindi per quel suo spirito innovativo, scanzonato e ribelle. Portiamo dentro di noi in vari modi l'intera storia del pensiero che ci ha preceduti, che spesso riemerge in forme nuove.
Riprendendo il filo del discorso, l'anarchia, come abbiamo osservato, non sogna un mondo ultraterreno. Si occupa di questo, dove ora ci troviamo a vivere. Non si esaurisce in desideri o fughe individuali. Né si è mai considerata un pensiero elitario. E’ un pensiero concreto e radicato nel mondo che lo circonda, aperto a tutti quanti gli uomini. Esistono infatti sia il pensiero anarchico che il movimento anarchico, nelle sue varie fasi, forme ed espressioni. E sono qualcosa di inscindibile. Uno non può esistere senza l'altro. L'anarchia in senso astratto non ha senso per gli anarchici, ciò che essi desiderano è realizzarla concretamente, qui e ora. Le idee da sole non significano nulla: vanno messe in pratica nella vita di tutti i giorni, in quella pubblica come in quella privata (per gli anarchici non esiste questa distinzione, così come non esiste distinzione tra i mezzi e il fine che si vuole raggiungere; non si può voler ottenere la libertà, ad esempio, restringendola o negandola), tentando di realizzare in ogni gesto, singolarmente e in comunione con gli altri, quel mondo più umano, più libero, più giusto, che è al centro dell'ideale anarchico. A questo punto è necessario osservare come invece nell'immaginario della maggioranza degli individui il termine “anarchia” venga associato al caos, al disordine, alla violenza. O all'individualismo e all'egoismo. Oppure, anche riconoscendola come dottrina socio-politica, si tende ad accostarla al “nichilismo” o al “terrorismo”. Tutto questo avviene perché tanto la storia del pensiero anarchico quanto quella del suo movimento sono ben poco conosciute e sono sempre state tenute in ombra. Non è facile così riuscire a capire che anarchia non significa affatto disordine: caso mai il suo contrario, nel senso che gli anarchici tentano di ritrovare, di ricostituire quello che per loro è l'”ordine naturale” delle cose e della vita, deformato e stravolto nel tempo dalle varie forme di sopraffazione, di dominio, di sfruttamento e di potere. Come pensare che uomini come Tolstoj e Godwin, Thoreau e Kropotkin, le cui teorie sociali sono state definite anarchiche, volessero portare nient'altro che il caos, il disordine, la violenza nella società? Altrettanto difficile è in genere comprendere come il rispetto per la libertà dell'individuo, del singolo, visto spesso, in modo errato, unicamente come esaltazione del singolo, come puro egoismo, possa unirsi alla solidarietà nei confronti degli altri, in particolare nei confronti degli ultimi, degli emarginati, degli oppressi.
L'immagine distorta dell'idea anarchica ha diverse cause. Una può forse essere imputata agli stessi anarchici o a una parte di loro, e cioè a quella propaganda che poneva principalmente l'accento sugli aspetti distruttivi della dottrina. Ma non è mancata in realtà neppure la propaganda contraria, quella propositiva e costruttiva, sostenuta costantemente, tra l'altro, da concreti esempi di vita. La ragione principale, invece, parrebbe essere la versione spesso faziosa, in ogni caso superficiale, fornita da sempre dalla storiografia, tanto di destra quanto di sinistra (con grosse responsabilità da parte dei marxisti, a cominciare da Marx in persona, che qualificò l'anarchismo come una ideologia piccolo borghese, espressione immatura, disorganica e unicamente individualistica di ceti sociali in crisi per la disgregazione del mondo contadino e artigiano, e non ancora inseriti nel processo di produzione capitalistico, senza considerare lo scontro di potere all'interno della Prima Internazionale dei Lavoratori). Non di certo ultima, un'altra ragione è il fatto in sé evidente che il pensiero anarchico non piace a chi è al potere (o a chi il potere lo ama o lo condivide): anarchia e potere sono nemici da sempre. (Così come anarchia e gerarchia, anarchia e autoritarismo, anarchia e verticismo). Gli anarchici non vogliono conquistare il potere (neppure in “nome del popolo”), vogliono eliminarlo. In altre parole si può dire che vogliono frantumarlo  e ridistribuirlo in migliaia e migliaia di piccole unità, tante quanti sono gli esseri umani. I governi perciò, di qualsiasi colore, hanno sempre dato la caccia agli anarchici, hanno cercato di metterli a tacere, hanno sempre tentato di accusarli di ogni atto di terrorismo o violenza e di ogni azione nei confronti della ricchezza e della proprietà privata, così come nei confronti del capitalismo di stato e della sua burocrazia tirannica, tutte cose che gli anarchici desiderano abolire e che i governi e le loro polizie intendono invece difendere ad ogni costo. L'ineguale distribuzione della ricchezza e la proprietà privata, così come il potere di pochi sulla vita dei molti, sono alla base stessa dell'esistenza dei governi e della polizia, secondo l'analisi anarchica ma non solo. Nei nostri tribunali si dovrebbe amministrare la giustizia. Ma come si può considerare giusto, equo, il mondo in cui viviamo? Questo è quanto gli anarchici si chiedono e mettono da sempre in discussione.
Quali sono dunque i caratteri fondamentali del pensiero anarchico? Quali i suoi valori di riferimento? Prima di tutto: quando hanno cominciato ad essere effettivamente utilizzate le parole “anarchia”, “anarchismo”, “anarchico”?
Durante la Rivoluzione francese il girondino Brissot definiva anarchici il movimento degli Enragés, e nel 1793 dava questa definizione dell'”anarchia”: “Leggi non tradotte in effetto, autorità prive di forza e disprezzate, il delitto impunito, la proprietà minacciata, la sicurezza dell'individuo violata, la moralità del popolo corrotta, nessuna costituzione, nessun governo, nessuna giustizia: queste  le caratteristiche dell'anarchia.” Definizione quindi del tutto negativa, rafforzata in seguito dal Direttorio, che sarebbe sceso addirittura alle ingiurie: “Per «anarchici» il Direttorio intende quegli uomini carichi di delitti, macchiati di sangue, impinguati dalle ruberie, nemici di tutte le leggi che non sono state fatte da loro, di tutti i governi in cui loro non governano...”
Possiamo invece attribuire una prima riconoscibile e coerente formulazione del pensiero anarchico all'illuminista inglese William Godwin (1756-1836), quando venne data alle stampe nel 1793 la sua opera Enquiry Concerning Political Justice (che si basa su di un assunto di matrice liberal-libertaria, già sviluppato tra gli altri da Thomas Paine, John Locke e Thomas Jefferson, e cioè la contrapposizione tra la società, considerata naturale e buona, e il governo, lo stato, ritenuto artificioso e malvagio, nato in un'epoca di immaturità della ragione e che si basa unicamente sulla forza, al di là delle varie giustificazioni mitiche sulle quali pretende di reggersi) mentre il primo ad adottare orgogliosamente per sé il termine “anarchico” fu il pensatore francese socialista Pierre Joseph Proudhon, nel suo Che cos'è la proprietà? che uscì nel 1840. “Quale dev'essere la forma del governo nel futuro? Sento alcuni dei miei lettori rispondere: «Ma via, come puoi fare una domanda simile? Tu sei un repubblicano.» Un repubblicano! Si, ma questa parola non dice ancora nulla di preciso. Res publica significa la cosa pubblica; chiunque si interessi alla condotta della cosa pubblica, sotto qualsiasi forma di governo, può dunque chiamarsi repubblicano. Persino i re sono repubblicani. «Ma tu sei un democratico.» Neanche per sogno....«Che cosa sei allora?» Sono un anarchico!”. Proudhon, convinto che nella società operi una legge naturale d'equilibrio, ritenne l'autorità nemica  e non amica dell'ordine, e ribaltò così le accuse rivolte agli anarchici, rivolgendole a sua volta ai fautori del principio autoritario.
Possiamo citare come valori di riferimento quelli emersi dalla Rivoluzione francese: libertà, eguaglianza, solidarietà. (Valori che non hanno poi trovato, a seguito di quella lunga e sanguinosa vicenda, la loro vera e piena applicazione e realizzazione, essendo si in questo caso espressione dell'emergente borghesia, o almeno essa se ne impadronì e li adoperò per i propri interessi).
Anche il liberalismo e il socialismo fecero propri questi valori, ma l'interpretazione anarchica è profondamente diversa: se per il socialismo il valore principale di riferimento è l'uguaglianza e per il liberalismo la libertà, per l'anarchismo tali valori sono del tutto inscindibili e non possono che darsi contemporaneamente. Non vi può essere libertà senza uguaglianza né uguaglianza senza libertà. E la solidarietà verso gli oppressi è sempre presente. L'anarchismo quindi fa riferimento a questi valori, ma in un modo ben preciso, rigoroso e totale. Ciò che è importante rilevare è che l'affermazione anarchica della libertà, individuale e sociale, è radicale e completa, e si unisce all'altrettanto radicale critica nei confronti del principio di autorità, nei confronti del potere e del dominio in quanto tale.
L'anarchismo ne ha combattuto perciò ogni manifestazione storica, in particolare la forma politica assunta dal dominio nella società moderna: lo stato. La critica anarchica non nasce isolata: pensiamo alle svariate espressioni di lotta al potere, tanto religioso che politico, tanto culturale che economico- sociale che percorrono l'era moderna, fino a giungere alla decapitazione di un re sulla piazza della Rivoluzione a Parigi. Ma la critica anarchica appare l'approdo ultimo e quello più radicale e completo, che non accetterà mai compromessi e continuerà a negare ogni tipo di società scissa in governanti e governati. Continuerà a criticare e combattere l'autoritarismo in ogni sua forma, le gerarchie, le istituzioni oppressive nemiche dell'autodeterminazione e della libertà, le disuguaglianze e le ingiustizie sociali, quindi la proprietà privata, l'appropriazione della ricchezza, lo sfruttamento del lavoro altrui, e in tempi più recenti lo sfruttamento delle risorse naturali e ambientali, lo sfruttamento animale, l'inquinamento e lo spreco. Gli anarchici allora, ci si può chiedere, sono contro o a favore del progresso? La risposta è semplice: l'anarchico non concepisce il progresso come continuo e sfrenato aumento della ricchezza materiale e del consumo, dello sfruttamento tanto del lavoro quanto delle risorse, come distruzione dell'ambiente, come incremento della complessità della vita, ma piuttosto come moralizzazione della società attraverso l'abolizione dell'autorità, dell'ineguaglianza, dello sfruttamento economico e ambientale, e, insieme, come offerta ad ogni singolo essere umano, e a tutti quanti gli uomini, delle stesse possibilità di sviluppo individuale in termini di benessere, cultura, qualità della vita, senza privilegi o discriminazioni di sorta (economiche, etniche, razziali, di genere...). L'anarchismo critica inoltre le barriere nazionali e le disuguaglianze tra i popoli, e il concetto di patria, in nome della quale troppi uomini hanno perduto inutilmente la vita. Non le guerre tra i popoli, tra gli oppressi, quindi, ma un'unica guerra agli oppressori, ai potenti, che per i loro interessi hanno sempre sacrificato la vita dei giovani, dei lavoratori, dei proletari.
A fianco della critica e della lotta, il sogno e il progetto di una società di liberi ed uguali. Una società armonica, che ritrovi il suo proprio equilibrio e quello con la natura intorno a sé.
Come deve essere composta, organizzata la società secondo il pensiero anarchico?
Innanzitutto, nessuna divisione tra governanti e governati, come abbiamo visto.
L'amministrazione degli affari sociali ed economici sarà affidata a piccoli gruppi locali, libere associazioni tra individui, senza regie dall'alto, senza padroni o capi di alcun genere. Quindi federazioni di comuni e di lavoratori, coordinate tra loro in modo circolare e orizzontale, fondate sull'autogestione e la cooperazione, una rete organica di interessi che si equilibrano a vicenda, basata sulla naturale tendenza degli uomini ad aiutarsi reciprocamente, senza necessità alcuna di schemi artificiali di coercizione (mutualismo ed associazionismo, ad esempio, fanno parte della storia del movimento anarchico). La produzione sarà il più possibile locale e differenziata a seconda del terreno, l'industrializzazione non sarà sfrenata e massiccia, avrà grande importanza l'artigianato, il lavoro concreto, bello, creativo, gli oggetti fatti per durare e non “usa e getta” come è nella logica del consumismo. L'impatto ambientale dovrà essere il più basso possibile. L'anarchia non è una forma estrema di democrazia: se nella democrazia sovrano è (teoricamente) il popolo, per gli anarchici “sovrano” deve essere l'individuo, che non ha alcun bisogno di delegare ad altri la gestione dei suoi interessi né di essere “rappresentato”, e che ha pieno diritto di scelta. Inoltre, il pensiero anarchico nega il diritto di qualsiasi maggioranza di imporre la sua volontà a una minoranza. Nega quindi valore in sé alle leggi degli uomini. “Qualsiasi legge deve comparire prima di tutto davanti al tribunale della nostra coscienza.” disse Elisée Reclus, geografo anarchico francese protagonista della Comune di Parigi. “V'è un solo potere”, scrisse Godwin, “al quale posso prestare un'obbedienza convinta: la decisione della mia intelligenza, il comando della mia coscienza.”. L'anarchismo rifiuta poi, oltre a qualsiasi forma di monopolio dei mezzi di produzione e dei prodotti, così come del sapere, la divisione gerarchica del lavoro (intellettuale e manuale) e qualsiasi dicotomia e antagonismo tra città e campagna, tra mente e corpo. Né può l'anarchismo essere qualificato come “ideologia”, perché sempre aperto, mai dogmatico, contrario da sempre a qualsiasi astratta norma morale e a qualsiasi servitù del pensiero.

Questo sogno e questo progetto sono stati descritti e rincorsi in modi diversi: l'anarchismo non possiede una sola anima, al suo interno hanno sempre convissuto approcci differenti, tra cui quello rivoluzionario tout court, che considera legittimo il ricorso alla violenza per distruggere gli istituti del dominio, quello gradualista, basato principalmente sulla costruzione graduale e pacifica, quello educazionista o “pedagogico”, che mette al primo posto l'educazione del popolo, la diffusione di una cultura libertaria e il risveglio delle coscienze, anche se queste distinzioni sono in qualche modo arbitrarie e discutibili, un po' perché i confini non sono così netti e poi perché l'anima più profonda è in realtà una sola, ed è l'amore per la libertà nella sua espressione più alta. Solo una autentica libertà in questa vita e in questo mondo può rendere felici gli uomini e in grado di sviluppare al meglio le loro qualità di esseri umani. A questo ideale di libertà (tutt'altro che egoistico) molti anarchici hanno dedicato o sacrificato la propria vita. Tutti questi modi, o correnti, rappresentano in ogni caso un progetto che in sé è sempre rivoluzionario. L'utopia anarchica, lungi dal rifugiarsi in un mondo fantastico, perduto in un remoto passato o in un ipotetico e improbabile futuro, è essenzialmente concreta, perché si fonda e muove da una approfondita critica dell'esistente, ed è l’esistente a dover essere capovolto e trasformato.
La rivoluzione, per gli anarchici, è da intendersi prima di tutto rivoluzione sociale, non meramente politica. E’ la rivoluzione del popolo. Ed è proprio per questo che ad ogni rivoluzione del popolo (che ne fosse promotore o partecipe con altre classi sociali) è sempre stato impedito di andare avanti oltre un certo punto, è per questo che ogni rivoluzione che voleva essere rivoluzione sociale oltre che politica è stata soffocata e tradita. Il potere e i privilegi (contro cui il popolo lottava) non dovevano scomparire, infatti, ma solo passare di mano. E la lotta del popolo è servita a questo, è stata strumentalizzata a questo scopo da chi di volta in volta ha assunto la regia della rivoluzione. La rabbia e la volontà di lotta e di cambiamento sociale espresse dal popolo sono state usate finché potevano essere utili, poi messe da parte, tradite o punite duramente quando non ve ne era più bisogno. Questa vicenda si è ripetuta più di una volta nella storia, con le varie differenze dovute al contesto, al luogo e al periodo, che si tratti della rivoluzione inglese, francese, messicana, russa, spagnola. E’ una storia poco conosciuta e compresa, e che solo gli anarchici hanno raccontato fino in fondo.
Per quanto riguarda l'uso della violenza, bisogna innanzitutto osservare che anarchia significa non-violenza, dal momento che significa non-imposizione dell'uomo sull'uomo, come sottolineava l'anarchico Errico Malatesta (1853-1932). La società alla quale tende l'anarchismo è infatti una società pacifica. Le differenze sono emerse nel momento di scegliere (a seconda anche delle circostanze e del momento storico contingente, ad esempio sotto una dittatura, o appunto nel corso di una rivoluzione) quali mezzi adoperare per raggiungere o avvicinarsi alla società desiderata, quindi ci sono stati coloro che hanno adottato l'uso individuale della violenza, altri invece un suo uso di massa, ma sempre come unica scelta possibile all'interno della realtà concreta e determinata in cui si sono trovati a dover agire. E la violenza da usare è sempre soltanto quella necessaria, niente di peggio o di più.

Per quanto riguarda invece l'educazione libertaria, si tratta di un approccio che mette al primo posto un rapporto paritario e non gerarchico tra l'adulto e il bambino e tra ogni educatore e i suoi allievi, e la possibilità offerta al bambino e ad ogni essere umano di realizzare completamente se stesso, di svilupparsi liberamente, senza imposizioni, costrizioni, premi, castighi. Quindi rifiuto dell'autorità, rispetto della libertà e delle propensioni individuali, progettualità autogestionaria, libertà di pensiero e di giudizio, “educazione integrale”, inserendo così l'educazione libertaria in una più ampia visione politica. Uno dei primi sostenitori dell'autonomia e dell'indipendenza del bambino fu proprio William Godwin, respingendo ogni tipo di coercizione nel processo educativo ed evidenziando la necessità di svincolare l'istruzione dal controllo dello stato, affinché l'istruzione non sia uno strumento del controllo sociale e un mezzo per rafforzare la visione e l'impostazione gerarchica e anti-libertaria della società. Temi analoghi li ritroviamo in Charles Fourier (1772-1837), secondo il quale nell'azione educativa occorre ridurre al minimo l'esercizio dell'autorità e permettere lo sviluppo di tutte le potenzialità della persona e in Max Stirner (1806-1865). Il concetto fourieriano di “educazione integrale” (un'educazione che comprenda in egual misura attività manuali ed intellettuali) verrà ripreso da molti pensatori anarchici, tra cui Pëtr Kropotkin (1842-1921) Altri anarchici che si sono interessati all'importanza dell'educazione libertaria sono stati gli italiani Errico Malatesta (1853-1932) e Camillo Berneri (1897-1937), vittima quest'ultimo come tanti altri della persecuzione da parte dello stalinismo nei confronti degli anarchici, in questo caso durante la rivoluzione spagnola del 1936. Gli esempi di scuole libertarie e antiautoritarie sono stati numerosi. La prima esperienza del genere è da attribuirsi a Lev Tolstoj (1828-1910), a Jasnaja Poljana tra il 1859 e il 1862, anno in cui la sua scuola verrà chiusa dalle autorità. Poi l'orfanotrofio francese di Cempuis diretto tra il 1880 e il 1894 da Paul Robin, esempio seguito da Sébastian Faure (1857-1942) con la sua scuola libertaria La Ruche (L'alveare), istituita fuori Parigi nel 1904, attiva fino al 1914, e poi ancora l'esperienza del libertario spagnolo Francisco Ferrer y Guardia (1859-1909) che fondò nel 1901 la sua Escuela Moderna a Barcellona, scuola laica e mista, con lo scopo di permettere ai ragazzi di diventare persone indipendenti, capaci di creare e vivere in una società libertaria (Ferrer verrà fatto fucilare dal governo spagnolo nel 1909), l'Université Nouvelle di Bruxelles fondata nel 1894 insieme ad altri dal geografo anarchico francese Elisée Reclus (1830-1905), che si terrà  a lungo in contatto con Ferrer, con il quale collaborerà per i suoi programmi educativi in particolare riguardo l'insegnamento della geografia (nel 1896 uscì un Manifesto europeo anarchico per la fondazione di scuole libertarie, tra i primi firmatari troviamo Reclus e Kropotkin), la scuola libera di Summerhill fondata nel 1921 da Alexander S.Neill (1883-1973) nel Suffolk, fino ad arrivare al movimento delle Free Schools negli anni successivi al 1960 negli Stati Uniti e in Europa, che si richiamavano ai principi di Tolstoj, Neill e Paul Goodman (basate su principi libertari quali la cooperazione, l'autogestione del progetto da parte di tutti i soggetti coinvolti, il rifiuto di un'organizzazione burocratica e gerarchica, l'assenza di un'autorità formale), poi alle Freie Schulen in Germania a partire dagli anni Settanta, e ai vari esperimenti di licei autogestiti in particolare in Francia fino al caso più recente di Bonaventure, sorta sempre in Francia nel 1993 nell'Ile d'Oleron, scuola per bambini dai tre ai dieci anni.

Per quanto riguarda l'”individualismo anarchico”, occorre dire che rispetto all'anarchismo che si è espresso in Europa nell'età contemporanea è una acquisizione abbastanza recente. Se fino agli anni Ottanta dell'Ottocento il termine “individualista” era adoperato in chiave polemica nei confronti di ideologie di derivazione liberale, in seguito tale significato si modifica, in particolare a causa delle trasformazioni della società, che diviene poco a poco una società di massa. All'uniformità che si va imponendo, si contrappone per contrasto l'individualità, che non intende sottomettersi alle norme e alle convenzioni “borghesi”, termine, quest'ultimo, che non aveva all'epoca un vero e proprio significato classista. Certe forme di individualismo infatti si ricollegavano a una lunga tradizione di ribellismo letterario, piuttosto che appartenere all'associazionismo operaio o essere in continuità con l'Internazionale anarchica. Si tratta inoltre di un fenomeno tutt'altro che unitario, presentando tendenze ed espressioni alquanto disomogenee. All'interno del movimento anarchico comincia così a manifestarsi la propensione all'atto isolato o ad opera di piccoli gruppi, frutto di una scelta individuale o espressione orgogliosa di una totale autonomia, rispetto anche all'organizzazione anarchica, intorno alla quale si dibatteva significativamente in quegli anni, anche se il passaggio dall'individualismo antiorganizzatore tradizionale a quello che venne definito individualismo d'azione non è così automatico. Quest'ultimo infatti costituiva una tendenza minoritaria all'interno del movimento anarchico, tendenza che ebbe il suo culmine in tutta una serie di azioni dimostrative fino ai tragici attentati della fine dell'Ottocento. Veniva intanto precisata una teorizzazione dell'individualismo d'azione, tramite la parola d'ordine “propaganda mediante il fatto”. In seguito questi filoni anarcoindividualisti andarono perdendo vitalità. Alla vigilia della prima guerra mondiale ci fu tra di essi chi scelse l'interventismo, chi invece si oppose (come il movimento anarchico nel suo complesso) alla costrizione alla violenza da parte degli stati.

Esistono altre anime o sfumature dell'anarchismo. Tra queste ricordiamo l'anarcosindacalismo, i cui maggiori ispiratori furono Émile Pouget (1860-1931), Fernand Pelloutier (1867-1901), Paul Delasalle (1870-1848) e il danese Cristian Cornelissen (1864-1943). Molti anarchici italiani militarono nell'Unione Sindacale Italiana, U.S.I., sindacato di ispirazione anarco sindacalista il cui segretario fu Armando Borghi (1882-1968) nel corso del primo ventennio del Novecento e furono protagonisti di importanti lotte operaie. Stessa cosa avvenne in altri paesi europei e non solo. Molti anarchici e libertari militano tutt'oggi in diverse organizzazioni sindacali, tra cui la stessa USI, ricostituita alcuni anni dopo la seconda guerra mondiale, e altre organizzazioni all’estero, alla ricerca di un sindacalismo realmente autogestionario, un sindacato dei lavoratori, non compromesso politicamente, che sia anche in appoggio ad ogni altra categoria di persone in difficoltà, lavoratori precari, disoccupati, extracomunitari, senza tetto, non ponendo al primo posto quindi la difesa di interessi di tipo corporativo, ma lavorando sempre nell'ambito di una più ampia visione di trasformazione sociale. Ricordiamo ancora l'anticlericalismo, l'antimilitarismo, il femminismo, l’antipsichiatria, l'utopia, l'ecologia sociale, la lotta contro l'istituzione carceraria e contro il razzismo (attualmente contro i centri di permanenza per gli extracomunitari ad esempio, e in generale contro tutte le gravi discriminazioni e persecuzioni a cui sono soggetti gli uomini che nascono nelle zone meno fortunate del mondo), la lotta contro le discriminazioni sessuali (la difesa della piena libertà di scelta, tra cui la scelta omosessuale), gli esperimenti di comuni autogestite, laboratori dove mettere in pratica l'utopia e la libertà (esempio tipico la Colonia Cecilia, fondata da Giovanni Rossi con un gruppo di circa centocinquanta lavoratori italiani in Brasile, nel Paranà, nel 1890, ma tanti altri esperimenti hanno continuato ad avere luogo e tutt'ora continuano).


I PRINCIPALI PENSATORI ANARCHICI

Non è facile un’esposizione dei pensatori anarchici o una scelta tra di essi. Occorre anche tenere presente che la maggior parte di loro non visse soltanto di pensiero ma soprattutto di azione, inserendosi a vari livelli nel movimento anarchico e nelle lotte sociali, le cui opere scritte vanno quindi in qualche modo a completare una testimonianza offerta innanzitutto con la propria vita. Quello che segue qui non è che un elenco del tutto ridotto e incompleto, che esclude forzatamente alcune grandi figure che si sono distinte in numerosi e drammatici eventi rivoluzionari, tra cui l'Ucraina machnovista (da Nestor Machno, leader del movimento ucraino) nel contesto della rivoluzione russa,  la rivoluzione messicana (un nome dobbiamo farlo, ed è quello di Ricardo Flores Magón), la Catalogna libertaria durante la guerra civile spagnola, senza contare la partecipazione del movimento anarchico alla lotta contro il fascismo e alla Resistenza.
Dopo William Godwin (1756-1836) e Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865), cui abbiamo già accennato, e Max Stirner (pseudonimo di Johann Caspar Schmidt, 1806-1865), l'autore di Der Einzige und sein Eigentum (L'Unico e la sua proprietà) che uscì nel 1843, ricordiamo Michail Bakunin (1814-1876), grande rivoluzionario e pensatore russo, promotore dell'Internazionale Antiautoritaria dopo la rottura con Marx, autore di numerose opere tra cui Stato e Anarchia (1873), Pëtr Kropotkin (1842-1921), di cui sono da menzionare in particolare Il Mutuo Appoggio e L'Etica, (Kropotkin in maniera approfondita si è occupato tra il resto di problemi etici, muovendo da una rivisitazione critica del darwinismo ed elaborando il suo concetto del mutuo appoggio come fondamentale fattore evolutivo per tutte le specie viventi compreso l’uomo), quindi i francesi Elisée Reclus (1830-1905) e Jean Grave (1854-1939), vicini a Kropotkin insieme all’italiano Riccardo Mella (1861-1925). E ancora, per l’anarchismo italiano: Carlo Cafiero (1846-1892), Andrea Costa (1851-1910), Errico Malatesta (1853-1932), fondatore del quotidiano anarchico Umanità Nova e promotore dell'Unione Anarchica Italiana, Francesco Saverio Merlino (1856-1930), Pietro Gori (1865-1911), Luigi Fabbri (1877-1935), Camillo Berneri (1897-1937), uomini che insieme a tanti altri hanno dedicato la propria vita, in anni estremamente difficili, alla causa dell'emancipazione e della libertà, nel nostro paese e nel mondo intero. (E non ne abbiamo citato che alcuni). Purtroppo ancora oggi non sono in molti a sapere che cosa furono davvero quegli anni, a conoscere la portata del contributo anarchico e ad attribuire agli anarchici il posto che spetta loro nella storia politica e sociale della società italiana, per i motivi che abbiamo esposto in precedenza. Occorre quindi ricordare che la Prima Internazionale italiana fu principalmente anarchica, così come il primo socialismo italiano, e che solo in seguito esso diventò un socialismo riformista e parlamentarista. La storia del movimento anarchico italiano si sviluppa dalla nascita della Prima Internazionale allo scontro con i mazziniani prima (il nemico non appare più lo straniero, il nemico ora è il nemico di classe) e con i seguaci di Marx poi (contro l'autoritarismo e la gestione centralista), attraverso l'emergere delle correnti individualiste, nell'ambito dell'associazionismo operaio e del nascente sindacalismo di classe fino all'opposizione alla prima guerra mondiale, un movimento di grande ricchezza culturale e politica, che ha sempre lottato per la libertà e l'uguaglianza, per un grande ideale che doveva essere il “sol dell'avvenire” per l'intera società, soggetto pertanto costantemente alle persecuzioni più dure. Dopo le drammatiche vicende del periodo fascista, la seconda guerra mondiale e la partecipazione alla Resistenza, il movimento anarchico si ricostituisce in forme sempre nuove, dovute alle trasformazioni che si susseguono incessanti nel corso degli anni e al panorama sociale, politico ed economico che muta enormemente, continuando a portare avanti la sua ricerca della libertà e a tenere in vita il suo ideale di un mondo che sia davvero a misura d'uomo.
Storie in parte diverse hanno avuto gli anarchici negli altri paesi europei ed extraeuropei. Ricordiamo ad esempio il maggio francese del 1968, ma ovunque si lotti per la libertà, contro le oppressioni e le ingiustizie, contro le guerre e le occupazioni militari dei territori, gli anarchici non possono fare a meno di essere presenti. L'anarchismo continua a vivere oggi, sempre nel mirino della repressione, in una situazione e in un contesto che mutano e si trasformano ma soltanto in apparenza, perché il nodo centrale del dominio non è ancora stato sciolto. Il mondo odierno è gestito dalla pubblicità e dalla menzogna, dalle multinazionali, dal potere finanziario e militare, è un mondo molto più difficile da decifrare e comprendere rispetto a quello di un tempo, dotato di un controllo totale e onnipervasivo nei confronti degli esseri umani come mai prima, un mondo solo apparentemente democratico e libero, che propaganda in ogni modo la sua missione di difendere la “sicurezza” dei “cittadini”, ma che è invece ormai del tutto privo di libertà.

Molti intellettuali e artisti che si sono espressi in campi diversi da quello della riflessione politico-sociale in senso stretto possono essere compresi a buon diritto in questo sommario elenco, avendo mostrato una sensibilità affine in vari modi a quella anarchica. Nel campo della letteratura ricordiamo i poeti inglesi Samuel Coleridge (1772-1834), William Blake (1757-1827), Percey Bysshe Shelley, discepoli di Godwin, William Morris (1834-1896), autore del romanzo utopico News from Nowhere (Notizie da nessun luogo, 1891), Oscar Wilde (1854-1900), autore tra le altre sue opere di un breve saggio dove è evidente l'influenza di Kropotkin, L'anima dell'uomo sotto il socialismo, Lev Tolstoj (1828-1910), già ricordato, lo scrittore statunitense David Thoreau, autore di un trattato sulla disobbedienza civile, Franz Kafka, che espresse con forza un odio assoluto per il potere e la burocrazia, Henri Miller (1891-1980), libertino e libertario, in contatto con Emma Goldman (1869-1940), grande figura di donna anarchica e rivoluzionaria, le opere di George Orwell (1903-1950), Ignazio Silone (1900-1978), Albert Camus (1913-1960), e trascureremo qui gli autori della controcultura degli anni Sessanta, in particolare la beat generation e il Living Theatre. Anche nelle arti figurative c'è stato un fecondo incontro con l'anarchismo: Camille Pissarro, Carlo Carrà, André Breton, Enrico Baj ne sono un esempio. Nel cinema due nomi soprattutto sono significativi: Jean Vigo e Luis Buñuel. E ancora (dopo la pedagogia, già trattata): Lewis Mumford, Carlo Doglio, Giancarlo De Carlo per l'urbanistica, Pierre Clastres e Marc Augé per l'antropologia, Paul Feyerabend per la filosofia della scienza, Henri Laborit per la biologia, Thomas Szasz e Giorgio Antonucci per l'antipsichiatria.
Infine, in ordine sparso: Rudolf Rocker (1873-1958), intellettuale anarchico, i chansonniers francesi Brassens e Ferré, Paul Goodman (1911-1972) e Noam Chomsky (1928), Michel Foucault (1926-1984), Murray Bookchin (1921-2006), grande teorico dell'ecologia sociale, così definita in quanto afferma e dimostra che una vera trasformazione ecologica non può che basarsi su profonde trasformazioni sociali.

Ci si può davvero perdere nel tentativo di riconoscere temi e sentimenti anarchici: l'anarchia è infatti un modo di sentire e di essere, e alcuni suoi tratti o aspetti potrebbero essere scoperti un po' ovunque e teoricamente in chiunque.
Ma torniamo all’ambito più strettamente filosofico, rispetto al quale, a questo punto, un interrogativo forse un po’ azzardato sembra presentarsi da sé e portarci a concludere questa breve esposizione.
Proviamo a considerare le principali caratteristiche della filosofia contemporanea. Come prima cosa rileviamo il carattere antimetafisico di gran parte di essa, essendo ormai venuto meno l'atteggiamento della tradizione filosofica che intendeva la conoscenza della “verità” come guida dell'azione umana e innanzitutto dell'azione morale e politica. Oggi si nega che l'esistenza dell'uomo possa avere un qualsiasi “fine” stabilito necessariamente dal posto assegnatogli “di diritto” nell'ordine dell'universo, e si riconosce invece che i fini dell'uomo sono soltanto quelli che egli sceglie liberamente: non ci troviamo più di fronte alla richiesta della contemplazione della verità del mondo, ma alla necessità della sua trasformazione pratica in base a progetti liberamente scelti e costruiti dall'uomo, nonché alla necessità di un'etica, ovvero di una responsabilità che occorre assumersi in questo mondo lacerato dai dolori e dalle ingiustizie. Se consideriamo poi che la filosofia ha un’altra fondamentale caratteristica, e cioè quella di mettere ogni cosa in dubbio e non prendere mai niente “per buono” (secondo Aristotele, come “scienza fine a se stessa” e non asservita ad altro, è l’unica a poter essere davvero libera), e che l'autentico filosofo è colui che è sempre alla ricerca, che pensa liberamente e autonomamente, che non si sottomette ad alcuna autorità di pensiero, non si arresta, non si accontenta e non si piega a una sola verità, che continua a porre in discussione qualsiasi presunta certezza, non ci viene spontaneo allora dedurne che non si può essere davvero filosofi, senza essere al tempo stesso anche un po' anarchici?

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

William Godwin, La giustizia politica, Trimestre, Chieti, 1994
Carlo Pisacane, La rivoluzione, Cosenza, Brenner, 1989
Nello Rosselli, Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), Einaudi, Torino, 1967
Michail Bakunin, Libertà, uguaglianza, rivoluzione, Antistato, Milano, 1976
Michail Bakunin, Stato e anarchia, Milano, Feltrinelli, 1996
Pëtr Kropotkin, Campi fabbriche e officine, a cura di Colin Ward, Antistato, Milano, 1975
Pëtr Kropotkin, Il mutuo appoggio, Salerno, Roma, 1982
Pëtr Kropotkin, L'Etica, La Fiaccola, Ragusa,, 1990
Errico Malatesta, Rivoluzione e lotta quotidiana, Antistato, Milano, 1982
Emma Goldman, Anarchismo e altri saggi, La Salamandra, Milano, 1976
Pierre-Joseph Proudhon, Filosofia della miseria, Anarchismo, Catania, 1975
Pierre-Joseph Proudhon, Che cos'è la proprietà, Laterza, Bari, 1967
Max Stirner, L'Unico e la sua proprietà, Adelphi, Milano, 1991
Daniel Guerin, Né Dio né padrone, Jaca Book, Milano, 1970
George Woodcock, L'anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari, Milano, Feltrinelli, 1966
David Henry Thoreau, La disobbedienza civile, Mondadori, Milano, 1993
Pier Carlo Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta (1862-1892), Rizzoli, Milano, 1969
Pier Carlo Masini, Storia degli anarchici italiani nell'epoca degli attentati, Rizzoli, Milano, 1981
Pier Carlo Masini, Maurizio Antonioli, Il sol dell'avvenire. L'anarchismo in Italia dalle origini alla prima guerra mondiale, Pisa, B.F.,S., 1999
Max Nettlau, Bakunin e l'Internazionale in Italia, Savelli, Roma, 1975
James Guillaume, L'Internazionale, documenti e ricordi (1864-1878), Centro studi libertari, Chieti, 2004-2006
Murray Bookchin, L'ecologia della libertà, emergenza e dissoluzione della gerarchia, Eleuthera, Milano, 1996
Murray Bookchin, Democrazia diretta, idee per un municipalismo libertario, Eleuthera, Milano, 1993
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Colin Ward, Anarchia come organizzazione, Antistato, Milano, 1976
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Daniel Guerin, Borghesi e proletari nella rivoluzione francese, La Salamandra, Milano, 1979
Camillo Berneri, Pietrogrado '17-Barcellona '37, La Fiaccola, Ragusa, 1990
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Arthur Lehning, Marxismo e anarchismo nella rivoluzione russa, Antistato,Cesena, 1973
Volin, La rivoluzione sconosciuta, Franchini, Carrara, 1976
Hans Erich Kaminski, Quelli di Barcellona, Il Saggiatore, Milano, 1966
Pietro Ferrua, Ricardo Flores Magón  e la Rivoluzione Messicana, Ed. Anarchismo, Catania, 1975
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Martin Buber, Sentieri in utopia, Comunità, Milano, 1981
William  Morris, Notizie da nessun luogo, Garzanti, Milano, 1989
Joel Spring, L'educazione libertaria, Eleuthera, Milano, 1988
Arthur Lehning, L'anarcosindacalismo, BFS, Pisa, 1994
Bertrand Russel, Socialismo, Anarchismo, Sindacalismo, Longanesi, Milano, 1968
Erich Mühsam, Ragion di stato, Salerno, Roma, 1980
Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino 1972
Antonin Artaud, Per farla finita con il giudizio di dio, El Paso, Torino, 1991
Arturo Schwarz, Anarchia e creatività, La Salamandra, Milano, 1981
Pierre Clastres, La società contro lo stato, Feltrinelli, Milano, 1977
Gino Cerrito, L'antimilitarismo anarchico in Italia, RL, Pistoia, 1968





Alcuni aforismi e pensieri anarchici


“E’ ricercando l’impossibile che l’uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva loro come possibile, non hanno mai avanzato di un solo passo.”  M. Bakunin

“Se venisse meno la sottomissione, il padrone cesserebbe d’essere.”  M. Stirner

“Organo e funzione sono termini inseparabili. Levate ad un organo la sua funzione: o l’organo muore o la funzione si ricostituisce. Mettete un esercito in un paese in cui non ci siano né ragioni né paure di guerra interna o esterna, ed esso provocherà la guerra, o, se non ci riesce, si disfarà. Una polizia dove non ci siano delitti da scoprire e delinquenti da arrestare, inventerà delitti e delinquenti, o cesserà di esistere.”  E. Malatesta

“Quando i governi opprimono e sfruttano fanno il loro mestiere e chiunque gli affida senza controllo la libertà non ha il diritto di meravigliarsi che la libertà sia immediatamente disonorata. Se la libertà è oggi umiliata o incatenata, non è perché i suoi nemici hanno usato il tradimento, ma perché i suoi amici hanno dato le dimissioni.”  A. Camus

“Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, noi vogliamo che gli uomini affratellati da una solidarietà cosciente e voluta cooperino tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza (…)”.  E. Malatesta

“Siccome fu pensato che un governo era necessario e che senza governo ci sarebbe solo disordine e confusione, era naturale e logico che l'anarchia, che vuol dire assenza di governo, suonasse come assenza d'ordine. (...)
Cambia opinione, convinci il pubblico che il governo non solo non è necessario, ma estremamente dannoso, e poi la parola anarchia, proprio perché significa assenza di governo, diventerà per tutti: ordine naturale, unione di bisogni ed interesse di tutti, completa libertà entro completa solidarietà.”  E. Malatesta

“La libertà senza socialismo è privilegio, ingiustizia; il socialismo senza libertà è schiavitù, barbarie.”  M. Bakunin

“La morale non ha altra sorgente, altro stimolante, altra causa, altro oggetto che la libertà. Essa stessa non è altro che libertà. Tutte le restrizioni che sono state imposte a quest’ultima allo scopo di proteggere la morale si sono dunque volte a detrimento di questa.”  M. Bakunin

(….) “Ma io non sono uno accanto ad altri, bensì l’io esclusivo: io sono unico. Perciò anche i miei bisogni sono unici e così pure le mie azioni, insomma tutto di me è unico. E io mi approprio di tutto solo in quanto sono questo io unico, così come agisco e mi sviluppo solo in quanto tale: io non mi sviluppo in quanto uomo e non sviluppo l’uomo, ma, in quanto sono io, sviluppo me stesso.”
M. Stirner

“L'utopista accende delle stelle nel cielo della dignità umana, ma naviga in un mare senza porti.”
 C. Berneri

“Essere governato significa essere guardato a vista, ispezionato, spiato, diretto, legiferato, regolamentato, incasellato, indottrinato, catechizzato, controllato, stimato, valutato, censurato, comandato, da parte di esseri che non hanno né il titolo, né la scienza, né la virtù. Essere governato vuol dire essere, ad ogni azione, ad ogni transazione, a ogni movimento, quotato, riformato, raddrizzato, corretto. Vuol dire essere tassato, addestrato, taglieggiato, sfruttato, monopolizzato, concusso, spremuto, mistificato, derubato, e, alla minima resistenza, alla prima parola di lamento, represso, emendato, vilipeso, vessato, cacciato, deriso, accoppato, disarmato, ammanettato, imprigionato, fucilato, mitragliato, giudicato, condannato, deportato, sacrificato, venduto, tradito, e per giunta, schernito, dileggiato, ingiuriato, disonorato, tutto con il pretesto della pubblica utilità e in nome dell'interesse generale. Ecco il governo, ecco la giustizia, ecco la sua morale.”

Pierre-Joseph Proudhon

mercoledì 25 dicembre 2019

La nascita di Cristo

Gesù non è nato il 25 dicembre. Non solo la bibbia non menziona la sua data di nascita ma da come descrive quel giorno e lo scenario in cui nacque fa capire molto chiaramente che non può essere nato in inverno ma bensì a fine estate inizio autunno,infatti la bibbia menziona la data della sua morte e facendo il calcolo a ritroso di 33 anni e mezzo si arriva al possibile mese della sua nascita quello di ottobre. -Il natale è una festa pagana che veniva festeggiata ancora prima che Gesù nascesse da popoli pagani che non avevano niente a che fare con Dio,una festa che adorava il dio sole festeggiata dai romani e altri popoli pagani che celebravano il solstizio invernale e il natale del sole invitto proprio a dicembre -I simboli usati per festeggiare il natale hanno un origine pagana e un significato legato a superstizioni e all'adorazione di oggetti. -Ne Gesù, ne i suoi discepoli e ne i primi cristiani festeggiavano il compleanno di Gesù -La chiesa cattolica nata dall'impero romano pagano per far convertire altri popoli pagani cambiò la festa del natale del sole invitto al natale della nascita di Gesù mischiando falsamente per opportunismo e convenienza il sacro al profano dando alla nascita di Gesù una data falsa il 25 dicembre -Si inizio a festeggiare il natale nella chiesa cattolica il 25 dicembre solo 3 secoli dopo la morte di Gesù Cristo -Gesù non disse mai di festeggiare la sua nascita di cui non si conosce nemmeno la data precisa ma comandò ai cristiani di ricordare e commemorare la sua morte di cui conosciamo la data riportata nella Bibbia secondo il calendario ebraico -Lo spirito delle festività natalizie caratterizzato dal consumismo ,da baldorie e gozzoviglie non ha nessuna relazione con la vita e l'insegnamento di Gesù -L'amore ,la pace , l'essere buoni e la generosità non possono in maniera riduttiva essere relegate solo ad un giorno o un periodo dell'anno ma devono fare parte della vita del cristiano tutti i giorni -Gesù non è più un bambinello come ogni anno ci viene riproposto da questa festa ma è il re del regno di Dio che presto interverrà distruggendo Satana e il suo sistema malvagio insieme a tutti coloro che in esso confidano e risolverà tutti i problemi ora esistenti portando innumerevoli benedizioni all'umanità ubbidiente -L'adorazione a Dio basata su dottrine inventate da uomini non è accettata da Dio,quindi qualsiasi credenza,festa,tradizione basata su falsità và contro la volontà di Dio che è un Dio di verità. 

 FONTI: la Sacra Bibbia,New Catholic Encyclopedia,Dizionario della Bibbia,La Piccola Treccani,Encyclopedia Americana, La Cyclopedia di McClintock e Strong ,The World Book Encyclopedia,La Grande Enciclopedia GE 20,L’Encyclopædia Britannica,l’Encyclopedia of Religion,Wikipedia

giovedì 28 novembre 2019

La reversibilità non si tocca

Pensioni di reversibilità: monta la protesta. Il governo nazionale la vuole togliere o quantomeno rapportarla al certificato Isee. E i sindacati insorgono e chiedono che venga cancellato il disegno di legge che fa riferimento a prestazioni di natura previdenziale. Il progetto (già ci aveva provato l'esecutivo guidato da Renzi) appare come un passepartout per aprire una delle ultime casseforti degli italiani: la pensione di reversibilità. In altre parole si andrebbe a toccare i "soliti" senza intaccare quei trattamenti che fanno capo ai soliti "noti". Se il provvedimento andasse avanti lo Stato potrà attingere a piene mani dalle cifre che sono impegnate per i pensionati dei coniugi superstiti. Perché toccare le contribuzioni previdenziali versate durante il periodo lavorativo che vanno a favore di vedovi e vedove? Non sarebbe meglio rivedere le pensioni d'oro e fare cassa? Altra novità (si fa per dire): concedere la pensione di reversibilità legandola non più al reddito ma all'Isee e quindi tenere conto anche del patrimonio di tutta la famiglia. Si tratta di una vera e propria carognata. La sforbiciata sulle reversibilità affonderebbe le sue radici sul Pil depresso e sul fallimento della spending review ai raggi x dei controlli europei. Logica vuole che quei soldi, che non sono un regalo ma il prodotto dei versamenti di una vita, non vengano toccati. Si generebbe di fatto una disuguaglianza: da un lato i già garantiti, pronti alle barricate nelle strade qualora  vengano toccati i loro trattamenti, e dall'altro quelli che che con l'attuale sistema e con il loro lavoro mandano avanti la "baracca". A quest'ultimi sembra che si possa togliere di tutto. E' lapalissiano che il governo nazionale vuole evitare il confronto, non avendo il coraggio delle proprie idee, e far passare due parolette di contrabbando ai danni dei cittadini. Con il provvedimento lo Stato vuole fare cassa ai danni dei coniugi superstiti, appropriarsi dei contributi versati e considerare le prestazioni assistenziali alla stregua di quelle previdenziali. La Cgil parla di bufala che sta circolando sui social, ma siamo sicuri che lo Stato non pensi di fare cassa con i soldi degli italiani in questo e in altri mille modi? Vedremo. La notizia risale al 2016 ma a volte a pensare male ci si azzecca. Governo attenzione che gli italiani si sono rotti i coglioni di voi e anche dei vostri oppositori. Fino alla fine arriveranno le sardine che hanno già depositato il simbolo o qualche altro movimento che sbaraglierà tutti voi.

mercoledì 6 novembre 2019

I rossoblu contro la Reggina hanno fatto “miao”


Dopo novanta minuti il Potenza calcio è uscito dal Viviani facendo miao. Contro la Reggina forse nulla si poteva, soprattutto contro una società che ha messo sul piatto della bilancia dieci milioni di euro contro il milione del presidente rossoblu. Ma prendere tre “pappine” in casa non è una bella cosa. La maggior parte delle testate giornalistiche si sono limitate alla cronaca altre hanno approfondito lo schema tattico dei leoncini del Potenza suscitando qualche malumore  nell'ambiente rossoblu. I leoncini , d'altronde,hanno dovuto subire una Reggina ben piazzata in campo e capace di travolgere una squadra nella circostanza dimostratasi mediocre. In realtà è stata una passeggiata per gli amaranto di Reggio Calabria che hanno mostrato di avere le potenzialità per salire in serie B e lasciare i “micini” (felini anch’essi come i leoni) a  un ridimensionamento  delle proprie celate ambizioni. Il dato concreto è che la vetta della classifica si allontana sempre di più ed è forse  arrivato il momento di dare un'occhiata al prossimo mercato per operare qualche acquisto di qualità. Si pensa alla realizzazione del nuovo stadio senza tenere presente che questa realizzazione potrebbe  avere positive ripercussioni, non nell'immediato, ma in prospettiva, tenuto conto dell'attuale livello della squadra. E’ lapalissiano che rispetto all’anno scorso il campionato di serie C è molto più competitivo e vede grandi società “combattere” per raggiungere i primi posti in classifica e giocarsi i play off; per i rossoblu l'obiettivo è sicuramente fare un altro giro nella serie professionistica delle serie C. Rispetto a queste problemat iche i giornalisti svolgono una funzione importante e devono poter esprimere le loro opinioni, senza l'ausilio delle veline d'altri tempi, anche contestando la gestione tattica degli incontri, essendo “controcorrente” o più realistici del “re”. Come scriveva Honoré Balzac la malattia del nostro tempo è la superiorità. Ci sono più santi che nicchie. La Reggina ha fatto la sua partita portando a casa tre punti con tre gol e ridimensionando i rossoblu. Il Potenza ha dovuto subire una compagine ben messa in campo, cinica e che ha annichilito i suoi avversari. Il  leone rampante  sarà sempre uno squadrone ma contro chi? Una domanda che al momento non trova risposta.  il Potenza non ha le risorse, siano esse economiche che calcistiche, ma allora qual è il fine che si vuole raggiungere? Navigare a vista a centro classifica può essere anche un obiettivo concreto, ma all'inizio l'entusiasmo ha portato a fare tanto rumore per nulla, in considerazione di ciò che  si sta manifestando in queste ultime giornate, per non parlare dei punti persi contro squadre che lottano per evitare la retrocessione. La libertà di raccontare tutte queste storie , secondo l'interpretazione della realtà, m'induce ad affermare che io posso scrivere le mie opinioni,  senza offendere alcuno, ma solo limitandomi a cogliere i malesseri sottaciuti di chi vuol vedere il calcio sotto un’altra luce: da analista e non da tifoso. E voglio sempre sostenere i giornalisti  che scrivono ciò che vedono e non si limitano a dire: che peccato,però, tre gol sono troppi.  Forse susciterà polemiche quanto scritto ma occorre una mossa d’orgoglio e decidere il futuro del Potenza calcio. Finalmente dopo lustri si è tornati in serie C ma almeno si cerchi di fare qualche bella figura soprattutto per i tanti tifosi affezionati ai colori sociali, che non vorrebbero mai allontanarsi dai colori  rossoblù. E’ questo che si vuole?  Non credo. Ricordo quando andavo a scuola, se non si era al passo con il programma di studi o riparavi a settembre qualche materia oppure ripetevi l’anno. Nel calcio l’esame di riparazione è nel prossimo mercato. Altrimenti si ripete l’anno. Un pensiero va ai tanti tifosi che sostengono con forza il Potenza, nonostante tutto, e alzano i propri vessilli in ogni occasione. Forza ragazzi di ogni età perché il Potenza è sempre uno squadrone… da appurare per quale categoria. Apprezzamento anche per il presidente Caiata che con grande signorilità gestisce una società nei modi migliori. Forza rossoblu.

venerdì 30 agosto 2019

Un mare di sangue: la verità sulla Russia bolscevica


Una versione editata di: Un Mare di Sangue: la verità sulla Russia bolscevica (A Sea of Blood: the Truth about Bolshevik Russia), un opuscolo di 12.000 parole pubblicato in origine a Monaco (1926) e scritto da un rifugiato politico russo conosciuto come "Dr. Gregor".

1. Introduzione

Nove anni sono già trascorsi dall'inizio di quell'indescrivibile crimine contro l'umanità che fu la Rivoluzione Bolscevica del 1917. Oggi, al suo nono anno, esiste un governo che si dichiara il governo degli operai e dei contadini, ma ai suoi vertici non ci fu mai ne un operaio ne un contadino.
Per nove anni si è fatto uso della tortura in nome della democrazia, come strumento ufficiale dello stato. E nel nome del socialismo milioni di persone per bene sono state assassinate, fatte morire di fame, oppure esiliate dalle loro case e dalle loro terre in lontani angoli del mondo.
Nel nome del proletariato, il popolo russo è stato soggiogato da stranieri di rango, il suo appello è stato messo a tacere e i loro corpi spediti in fosse comuni, con l'acclamazione della Terza Internazionale Ebraica.
Un vecchio detto russo dice: "Non ci sono così tante bugie come prima di una guerra e dopo una partita di caccia". E infatti la Grande Guerra (Prima Guerra Mondiale) non ebbe mai un vero armistizio, in realtà non ebbe mai una fine. E la caccia a più teschi umani, ovviamente di cristiani e ariani, continua sulla base di un sinistro e sistematico progetto. Così la grande menzogna continua a fiorire, in effetti una forma di culto del Padre delle menzogne da parte di quella canea internazionale che si fanno chiamare Bolscevichi.
Mundus vult decipi!  Il mondo vuole essere ingannato!

Crede alle bugie sovietiche, ai racconti di fantasia e partecipa persino a questa commedia malata, inviando delegazioni di persone ben note, di sinistra ovviamente, incapaci di comprendere la lingua russa e a sostegno degli obiettivi della terza Internazionale!
La Terza Internazionale era la terza grande conferenza tenuta dagli ebrei ultra-radicali ed i Marxisti nel 1919 per coordinare le attività comuniste nel mondo.
Ora questi ospiti stranieri vanno nella Russia Sovietica per "studiare" la situazione. Questi tizi non hanno alcuna idea di cosa fosse la Russia prima dei Bolscevichi e cosa sarebbe potuta diventare nel frattempo senza di loro! Inoltre, i nuovi amici dell'Unione Sovietica dimostrano buona conoscenza ed apprezzamento per il nostro caviale e la vodka! Il caviale è buono, la vodka brucia come fuoco quando va giù e nei cervelli annebbiati della buona volontà democraticaci si dimentica dei fiumi di sangue, i frammenti umani sparsi e lo sferragliante rumore di milioni di catene di schiavi.
Così a democrazia internazionalista festeggia il suo rito sacrificale. L'agnello cristiano è sgozzato e Anna e Caiaphas (leaders ebraici nel Sanhedrin che condannarono a morte Gesù), che oggi rappresentano il capitale azionistico internazionale, sono gli ospiti d'onore alla festa.
Nota di Isabella Fanfani:
Marx, Engels, Lenin e Trotsky furono i quattro ebrei che collaborarono alla distruzione della Russia cristiana degli Zar e sostituirla con un Comunismo ateo durante il quale 66 milioni di cristiani russi perirono nei gulag gestiti dalla Cheka.

2. La sistematica distruzione della Russia


I figli dello Zar Romanov  Nicola IIº nel 1906. La Gran Duchessa Olga, nata nel 1895, Tsarevich Alexei,nata nel 1904, Gran Duchessa Tatiana, nata nel 1897, Maria, nata nel 1899, Anastasia, nata nel  1901. Tutti assassinati dai comunisti.
La vecchia Russia non esiste più.
Al suo posto abbiamo un enorme deserto: il 90% della sua intellighenzia annientata, la sua classe media distrutta, la sua classe operaia fatta ridiventare ancora serva, ma questa volta servi in fabbriche statali,operai che al solo uso della parola "sciopero" possono essere messi al muro! In quanto al contadino, questi non è altro che una bestia da soma, un cammello nel Sahara sovietico, che lavora per i suoi sfruttatori ebraici e quasi senza paga.
Per una persona inesperta deve essere completamente incomprensibile come un così potente impero, apparentemente in una notte di rivoluzione, abbia potuto incendiarsi ai suoi quattro angoli ed essere distrutto.
Comunque non è successo tutto in una notte.
Gli avvenimenti del Marzo 1917, il rovesciamento dello Zar da parte della classe media di Kerensky, e del Novembre 1917, il golpe bolscevico contro il governo di Kerensky, furono soltanto il risultato visibile di anni di pazienza e attività sotterranee da parte dell'Internazionale Ebraica: un lavoro che non cominciò nelle menti criminali di Marx, Kautsky e Engels, ma in una precedente alleanza dell'ebraismo con i più alti gradi della Massoneria mondiale.
 Questi eccelsi "idealisti" hanno torturato e ucciso in nome degli operai e dei contadini russi, e secondo le loro proprie statistiche, il seguente numero di vittime nei primi quattro anni della gloriosa rivoluzione russa: 28 vescovi della Chiesa, 1,215 sacerdoti e 6.000 monaci. Perché? Soltanto perché erano vescovi, sacerdoti e monaci e perché credevano in Dio, il quale è solamente una superstizione usa e getta della classe media.
Dopodiché fu la volta di 8.800 dottori cristiani e i loro assistenti. Perché rappresentavano la classe media della medicina non ebraica.
 Poi toccò agli ufficiali: 54.650 dell'esercito e della marina, 10.500 funzionari di polizia (dal grado di tenente in su) e 48.500 poliziotti di grado inferiore. E per quale ragione?
Perché erano ufficiali di polizia e dell'esercito e tutti noi sappiamo che il "militarismo" non è più ammissibile per qualsiasi popolazione bianca nazionalistica e consapevolmente ariana. E' solo ammissibile ai banditi Rossi che si autodefiniscono proletari e che scavano una fossa comune al vero proletariato.
Poi ci sono 260.000 soldati del vecchio esercito fedeli alla bandiera, tutti fucilati. Ma anche questa è una statistica trascurabile.
Ora è il turno della intellighenzia: insegnanti, professori, ingegneri, impresari edili, scrittori e giudici, specialmente giudici, perché essi erano i più pericolosi per uno stato governato da criminali condannati.
A questi dobbiamo aggiungere avvocati, procuratori distrettuali e tutti quei mestieri derivanti da lauree universitarie, per raggiungere il numero di 361.825 assassinati fra i membri delle professioni più quotate.
Non mi soffermerò sulla classe di proprietari terrieri, consistente in un numero di 12.950 persone, anch'essa annientata.
E quando qualcuno mi chiede come l'intellighenzia russa può sopportare il giogo bolscevico, gli rispondo sempre che l'intellighenzia russa o si trova a sei piedi sotto terra oppure è in esilio e che quel poco che è rimasto ha sofferto una tale e sistematica umiliazione da parte del rullo compressore comunista da giocarsi anche l'ultimo battito di autostima e di onore personale.
Arriviamo infine al modesto numero di operai e contadini condannati a morte dallo stato degli operai e dei contadini. Questi ammontano a 192.350 operai e 815.000 contadini.
Tutti questi dati sono statistiche ufficiali pubblicate dalla Cheka (precursore del KGB) e stampati su giornali bolscevichi dell'epoca quando le forze anti-comuniste della Russia Bianca combattevano Trotsky e l'Armata Rossa (1917-1921).
Tutti questi fatti possono essere verificati nei volumi completi informativi o estratti pubblicati nel 1922 dal Ministero degli Affari Interni del Regno di Serbia, l'unico paese in Europa che sta combattendo senza sosta contro la malattia del comunismo.
Persino questo enorme numero di vittime è piccolo se paragonato alle persone mentalmente malate che se ne vanno in giro libere per la Russia Sovietica, 4.800.000 di loro. Ma non c'è da stupirsi. Nemmeno la vecchia Russia aveva abbastanza ospedali e sanatori per loro. Ora tutto il paese è diventato un manicomio.
Le uccisioni continuano ed il sangue continua a scorrere ma solo sangue cristiano e ariano.
Quando, durante la carestia del 1922, 30.000 esseri umani morivano ogni giorno, il leader ebraico Trotsky fece la seguente nota sarcastica: "Tanto meglio, guardiamo al lavoro cartaceo che ci viene risparmiato!"

3. Gli Zar assassinati dagli ebrei

Dopo Nicola Iº, salì al trono il figlio Alessandro IIº, un vero amico del suo popolo. Nel 1861 egli abolì la servitù e diede la terra ai contadini. Questa riforma avvenne grazie all'accordo mir delle comunità rurali, un'istituzione molto più vicina ad un vero e onesto comunismo che non ad un sistema capitalistico e di tassazione come vediamo nella Russia Sovietica di oggi.
Quello stesso Zar, Alessandro IIº, che nel 1864 diede al suo popolo un nuova procedura processuale per il sistema giudiziario, a quel tempo la più equa e moderna in Europa, fu oggetto di sette attentati alla sua vita, finché un ottavo attentato perpetrato da Goldmann, Liebermann e Zuckermann (si può forse sbagliare la loro razza?) portò in porto con successo i desideri di Londra.
(La Gran Bretagna, a quel tempo, era sotto il controllo dei banchieri ebrei della City di Londra)
Alessandro IIº, il grande benefattore della sua nazione, fu fatto saltare con la dinamite il 1º Marzo 1881, il giorno in cui avrebbe conferito al suo paese una nuova forma di governo costituzionale.
Alessandro IIº non c'era più.
Alessandro IIIº divenne Zar. Per quanto riguarda questo monarca, che mantenne la pace europea, noi russi eravamo tutti convinti che quando morì nel 1894, la causa fosse stata una malattia, in questo caso un infezione acuta dei reni.
Come fu grande in seguito il nostro stupore quando apprendemmo, in fuga, in esilio e da fonti ebraiche, che anche questo Zar era caduto vittima delle menti criminali della tribù di Giuda.
L'ebreo Edgar Saltus esulta di questo fatto nel suo libro The Imperial Orgy (L'Orgia Imperiale), pubblicato a New York nel 1920, nel suo delirio da bava alla bocca circa il successo avuto nella caduta del mondo Cristiano-Ariano, egli spiega nel libro come gli Ebrei, lavorando per le potenze dell'Intesa, Inghilterra, Francia, Stati Uniti e Italia, si sbarazzarono degli Zar uno dopo l'altro.
Egli afferma inoltre che, mentre le chiese russe pregavano per la salute dello Zar, questi veniva maledetto nelle sinagoghe.
Al capezzale dello zar malato fu chiamato il suo medico personale, Zakharin. Un buon nome perfettamente russo, e ora..un Ebreo. Quando arrivò a visitare lo Zar a Livadiya, aveva tutte le medicine pronte nella tasca della sua giacca. Che tipo di medicine è facile da immaginare: un biglietto di sola andata per l'altro mondo.
Dopo che lo Zar aveva trangugiato la medicina in buona fede e si torceva dal dolore nel letto, secondo Saltus, Bakharin si piegò su di lui con un espressione di ghigno diabolico.
Lo Zar chiese soffocatamente: "Chi siete Voi?"

E la risposta di Zakharin: "Sono un Ebreo!"  E con un enorme faccia di bronzo si girò verso l'imperatrice e i ministri dello Zar e disse: "Non preoccupatevi, sua maestà sta solo delirando!"
Poi si curvò nuovamente sul morituro e gli ghignò:"State esalando l'ultimo respiro e noi abbiamo vinto!"
Queste parole provengono direttamente dal libro L'Orgia Imperiale dell'Ebreo Edgar Saltus.

4. L'uccisione di  milioni di cristiani da parte della Cheka

E venne la rivoluzione russa.
Chi erano questi amici della gente comune che nel nome della libertà, uguaglianza e democrazia iniziarono ad annientare la popolazione Cristiano-Ariana?
Tra di loro c'erano senza dubbio dei veri idealisti che credevano veramente di poter usare l'assassinio ed il massacro, la rapina e il furto per creare un mondo più felice ed un nuovo paradiso di uguaglianza.
Il ben noto risultato, comunque, fu un inferno vivente fatto di fame, privazioni, disperazione e un uguaglianza solo in un senso, quello di essere uccisi dalla Cheka (precursore del KGB) controllata dagli ebrei.
La parola "Cheka" non è solo un acronimo in russo che sta per "Commissione Speciale per la Lotta alla Controrivoluzione" ma anche un espressione Yiddish che sta per macellazione animale.Come fu indovinata questa espressione!
Noi cristiani, che veniamo chiamati "goyim" o bestiame, agli occhi degli ebrei non siamo altro che animali. Il Dio Yahweh ci avrebbe dato delle sembianze umane per risparmiare agli ebrei l'incombenza di avere servi che somigliassero agli animali.
Il primo governo provvisorio (dopo l'abdicazione dello Zar Nicola IIº e subito prima della Rivoluzione Bolscevica del 1917) era composto esclusivamente da Massoni di iniziazione di lingua romanza, dalla Francia o dall'Italia e sovvenzionati da denaro inglese. L'aspetto criminale di questo "governo provvisorio" non conobbe limiti perché fece la cosa più deplorevole che un governo possa fare: ignorò le promesse, i fini e gli ideali per i quali ascese al potere e per i quali aveva abbattuto lo Zar, capo dello stato.
I nove mesi di questo "governo" non furono altro che un periodo di gestazione, e la Russia orrendamente gravida partorì all'aborto dell'inferno il 27 Ottobre 1917. Si può senz'altro affermare che il potere giaceva là inerme ed i bolscevichi non hanno fatto altro che raccoglierlo.
Per fornire una sceneggiata alle democrazie amiche all'estero, ci dovevano essere combattimenti di strada in Russia. E così il primo ministro Kerensky, un mezzo ebreo il cui vero nome era Kirbis, che significa "zucca", inviò deliberatamente un battaglione di donne e giovani ufficiali cadetti nelle fauci di una canea vociante ed assassina, dalla quale furono sadicamente annientati. Nel frattempo, Kerensky, vestito in divisa da marinaio, scappò a San Pietroburgo.
Appena prima Kerensky aveva firmato, per ragioni pubblicitarie, un mandato di arresto contro il "traditore Trotsky" (il cui vero nome era Lev Davidovich Bronstein). Ma quando il Generale Polovtsev si presentò con i suoi Cosacchi nell'appartamento di Trotsky per arrestarlo, seduto su una poltrona di pelo con trotsky stava proprio Kerensky, che sorseggiavano un liquore. Prese il mandato di arresto dalle mani dell'attonito generale, stracciandolo in modo teatrale e poi mandò via il generale a fare la rivoluzione, un uomo al quale mancò semplicemente il coraggio di arrestare questa feccia.
In tutti i modi il pubblico russo e quello straniero doveva vedere le scene di guerriglia urbana e bagni di sangue.
Sangue Ariano, naturalmente.

5. Lenin, uno psicopatico sifilitico

I Menscevichi, o "popolo maggioritario", volevano uno stato, sociale, socialista e pacifico e proprietà statali industriali limitate come in Svezia.
I Bolscevichi, o "popolo minoritario" (cioè in maggioranza Ebrei) volevano un regno di terrore e di totale nazionalizzazione sotto Lenin e Trotsky.
I Menscevichi misero solo una condizione: che Lenin si spieghi in merito alle accuse di furto dal Partito.
Quando la conferenza iniziò e Lenin fu sfidato a dare un resoconto, egli si alzò, infilò le mani nelle tasche e proclamò che la sua posizione nel partito era così elevata che non doveva nessuna risposta ad alcuno.
Quando Lenin arrivò in Russia dalla Germania, era già in stato di demenza a causa della sifilide non curata o malamente curata.
Con questo rammollimento del cervello, una specie di gommosità dei tessuti, aveva ora tutte le qualità per rovesciare le sue fantasie criminali nelle orecchie della folla schiumante.
La Russia era già in fiamme mentre la malconcia banda di briganti veniva infiammata dallo slogan di Lenin "riprendetevi ciò che loro ci hanno rubato!".
E così la canea inferocita si gettò su quello che erano i miseri resti della società russa. Sotto  il gioioso gracchiare dell'Ebraismo, la Madre Russia fu sommersa.
La malattia mentale che affliggeva Lenin continuava nel suo corso. Dal suo governo nascevano di continuo idee malsane una dopo l'altra. I più rinomati dottori in Germania arrivarono a bordo di aerei nel tentativo di rimettere in sesto questo decrepito statista truffatore, ma la sua confusione mentale peggiorava costantemente. Si dice che prima della sua morte ebbe alcuni momenti di lucidità mentale durante i quali andava a carponi sul tappeto e pietosamente piagnucolando diceva: "Perdonami, Signore, Perdonami!"
Il "proletariato internazionale" può esserne davvero orgoglioso: il suo leader un ladro, il suo profeta un sifilitico, il suo più grande uomo un assassino di massa.
Invece di guidare il genere umano nella brillante luce sopra le nuvole, ha affondato l'umanità nella fogna e non è una coincidenza che il mausoleo, con la "Tomba di Lenin" assomiglia oggi ad una latrina.


Di Isabella Fanfani scrittrice free-lance, Losanna, Svizzera.

Il fascismo




Alcuni dati sugli anni in cui l’Italia era guidata da Benito Mussolini:
– Mussolini ha tolto la libertà ai cittadini: libertà di voto, di associazione, di sciopero e di opinione
– Mussolini eseguiva regolarmente pene di morte: 42 fucilati nel ventennio su sentenza del Tribunale Speciale
– 27.735 anni complessivi di carcere e confino politico
– 4.596 condannati dai tribunali speciali, di cui 697 minorenni
– 80.000 libici sradicati dal Gebel con le loro famiglie e condannati a morire di stenti nelle zone desertiche della Cirenaica
– 700.000 abissini uccisi nel corso della impresa Etiopica e nelle successive operazioni di polizia
– 350.000 militari e ufficiali italiani caduti o dispersi nella Seconda Guerra mondiale
– di cui 3.000 italiani morti in Spagna
– di cui 140.000 italiani morti in Russia
– di cui 30.000 italiani morti in Grecia
– 110.000 caduti nella Lotta di Liberazione in Italia e all’estero
– migliaia di civili sepolti vivi tra le macerie dei bombardamenti delle città.
– innumerevoli combattenti degli eserciti avversari ed i civili che morirono per le aggressioni fasciste.
– 45.000 deportati politici e razziali nei campi di sterminio, 15.000 dei quali non fecero più ritorno
– 8.500 ebrei italiani di cui 7.800 sono morti
– 40.000 internati militari nei lager tedeschi
– 600.000 prigionieri di guerra italiani che languirono per anni rinchiusi in tutte le parti del mondo.

È imbarazzante vedere tanti italiani inneggiare al duce: l’apologia del fascismo è un grave reato previsto dalla legge 20 giugno 1952, n. 645, anche detta Legge Scelba, che prevede reclusione da 6 mesi a 2 anni e multa da 206 a 516 euro e sanziona:
« chiunque pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche ».
Anche se la legge mira a vietare la ricostituzione di un partito, ispirato al disciolto partito fascista e che quindi sia finalizzato al ritorno di una dittatura fascista, è specificato che il reato si configura quando:
« un’associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista »


Ma l’incapacità di analisi critica, l’analfabetismo funzionale e a volte la becera ignoranza, imbarazza ancor di più quando avviene sulla base di una vera e propria mistificazione dei fatti e della Storia. È opinione comune sui social network che il fascismo fosse un regime caratterizzato da rettitudine morale, ma neanche questo è vero. L’omicidio Matteotti, rivendicato in parlamento da Mussolini, aveva come movente la scoperta delle ricche tangenti pagate dalla società petrolifera Sinclair Oil ai gerarchi fascisti. E il fascismo non ha inventato lo stato sociale, né gli si possono attribuire i meriti che solitamente gli sono ascritti nella cultura popolare. Più precisamente:

1. Mussolini non ha creato le pensioni: la previdenza sociale nasce nel 1898 con la fondazione della “Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai“, e all’epoca Mussolini aveva 15 anni.
L’iscrizione a tale istituto diventa obbligatoria solo nel 1919, durante il Governo Orlando, anno in cui l’istituto cambia nome in “Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali”. Nel 1933 venne rinominata “Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale“. La pensione sociale venne introdotta solo nel 1969, e Mussolini in quella data era già morto da 24 anni.

2. Mussolini non ha istituito la cassa integrazione: la “Cassa Integrazione Guadagni” è stata creata il 12 agosto 1947 con DLPSC numero 869, ed era una misura finalizzata al sostegno dei lavoratori dipendenti da aziende che durante la guerra erano state colpite e non erano in grado di riprendere normalmente le attività. La cassa integrazione nasce per rimediare ai danni causati dal fascismo e della guerra che hanno causato milioni di disoccupati.

3. Mussolini non ha istituito l’indennità di malattia: nata invece con decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato nr.435 del 13 maggio 1947, è stata estesa nel 1968 a tutti i lavoratori, anche coloro che dipendevano da imprese private. E per un po’ di storia – che non guasta mai – con Legge 23 dicembre 1978 nr. 833, all’indennità retributiva in caso di malattia veniva aggiunto anche il diritto all’assistenza medica, con la costituzione del “Servizio Sanitario Nazionale“.

4. Mussolini non istituì la tredicesima mensilità per tutti: venne istituita soltanto per i lavoratori dell’industria pesante. E’ dopo la caduta del fascismo che le mensilità aggiuntive divennero appannaggio dei lavoratori, con un “Accordo Interconfederale per l’Industria” del 27 ottobre 1946 e con il D.P.R. 28 luglio 1960 n. 1070.

5. Mussolini non diede il voto alle donne: le donne erano ammesse alle votazioni solo per piccoli referendum locali mentre erano escluse al voto per le elezioni politiche, che tra l’altro Mussolini stesso abolì nel 1925 instaurando la sua dittatura. La prima volta che le donne furono ammesse al voto fu al referendum del 1946.

6. Con Mussolini i treni non erano poi così puntuali: il giornalista George Seldes nel 1936 commentò: “E’ vero: la maggioranza degli espressi su cui salgono i turisti stranieri sono in genere in orario, ma sulle linee minori i ritardi sono frequenti“. L’inglese Elisabeth Wiskemann, sempre nel 1936: “Ho preso molte volte il treno e spesso sono arrivata in ritardo“. Lo storico Denis Mack Smith sostenne che “la puntualità dei treni durante il periodo fascista è uno dei miti accettati del fascismo“. Nella realtà tra le due guerre l’Italia possedeva una rete ferroviaria inadeguata e arretrata (qui articolo originale dall’Indipendent: http://www.independent.co.uk/voices/rear-window-making-italy-work-did-mussolini-really-get-the-trains-running-on-time-1367688.html).

7. Ai tempi del Duce gli italiani non erano ricchi: l’Italia stava preparando l’entrata in guerra e tutte le industrie e l’artigianato che direttamente o indirettamente fornivano l’esercito, lavoravano a pieno regime. Per contro, il 27 maggio 1933 l’iscrizione al partito fascista fu dichiarata requisito fondamentale per il concorso a pubblici uffici, e dal 3 giugno 1938 non si poteva lavorare se non si aveva la tessera.
Ma a seguito delle sanzioni internazionali irrogate all’Italia per aver invaso l’Etiopia, il 18 novembre 1936 venne indetto il “Giorno della fede” in cui gli italiani furono invitati, in teoria, a donare tutto il proprio oro alla Patria ricevendo in cambio anelli in ferro con la scritta “Oro alla Patria – 18 NOV.XIV” che qualche anziano possiede ancora. La verità era che chiunque venisse colto a possedere oro proprio in casa, veniva perseguito come traditore e nemico della patria dalle squadre del Fascio Littorio.
Altro esempio sono le “Misure di Autarchia” per sostenere la guerra in Eritrea: tutti i prodotti di importazione vennero soppressi. La maggior parte del grano utilizzato per la pasta fu sostituito dal riso; il caffè fu sostituito dalla cicoria tostata; il the dal karkadè.
Infine, era disposto il sequestro della produzione agricola ai contadini: furono anni in cui calò l’allevamento dei maiali, animale ingombrante, oneroso da mantenere, visibile e quindi facilmente sequestrato, in favore dell’allevamento del coniglio, più piccolo e più discreto. Una misura talmente impopolare che nel paese di Santa Sofia di Romagna (provincia di Forlì – Cesena), tutta la collina della frazione di Camposonaldo, zona impervia da esplorare, divenne prima che territorio e base dei partigiani luogo di allevamento abusivo dei conigli.

8. Il Duce non amava l’Italia: «Mi serve qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative» enunciò il Duce il 26 maggio 1940 (fonte: “L’Italia nella seconda guerra mondiale“, Mondadori, 1946: pag. 37).
Nella disastrosa “Campagna di Russia“, solo per compiacere Hitler con una presenza italiana del tutto male equipaggiata, persero la vita ufficialmente 114.520 militari sui 230.000 inviati al fronte, a cui aggiungere i dispersi, ovvero le persone che non risultavano morte in combattimento ma nemmeno rientrate in patria, che fonti “Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia” stimano in circa 60.000 uomini, la maggior parte morti in prigionia.
Esempio lampante sono poi le “Leggi Razziali Antisemite“, introdotte nel 1938 sempre per compiacere l’alleato nazista: ma in Italia gli ebrei, a differenza della Germania, non avevano un’importanza rilevante nel sistema economico né averi di cui la dittatura volesse provvedere all’esproprio. Furono istituiti 259 campi di prigionia: alcuni erano campi di detenzione, altri campi di smistamento in attesa della deportazione in Germania e Polonia (Chełmno, Bełżec, Sobibór, Treblinka, Majdanek e Auschwitz-Birkenau), altri dotati di forno crematorio come la Risiera di San Sabba a Trieste (con il quale si stimano siano state soppresse 3.000 persone).

9. Durante il fascismo la corruzione dilagava: l’azienda americana Sinclair Oil, pur di ottenere il contratto di ricerche petrolifere in esclusiva sul suolo italiano, pagò tangenti a membri del governo e ad Arnaldo Mussolini, per oltre 30 milioni di lire. Giacomo Matteotti fu rapito ed ucciso il 10 giugno 1924 perché denunciò questi traffici di tangenti, assieme a quelli per apertura di nuovi casinò, speculazioni edilizie, di ferrovie, di armi: affari in cui era coinvolto il futuro Duce e suo fratello Arnaldo.
I documenti scoperti e mostrati da storici di assoluto valore come Mauro Canali, Mimmo Franzinelli, Lorenzo Benadusi, Francesco Perfetti, Lorenzo Santoro presso l’Archivio Centrale dello Stato mostrano speculazioni, truffe, arricchimenti improvvisi, carriere strepitose e inspiegabili di gerarchi, generali, della figlia Edda, dell genero Galeazzo Ciano e di Mussolini stesso. Qui il documentario Rai “Fascismo: dossier, ricatti, tradimenti

Squadrismo, violenza politica, repressione tramite il Tribunale Speciale, squadrismo, deportazione, guerra.
Questa l’escalation sul territorio Italiano, di cui qualche aneddoto è riportato più sotto.
Sono dati da non mescolare con quel che è accaduto nei Paesi dell’Est Europa sotto altre ideologie, durante la Seconda Guerra Mondiale oppure anche durante la Prima Repubblica in Italia.
La prossima volta che vi imbattete in una immagine che inneggia alla saggezza del Duce e di come potrebbe essere la salvezza dell’Italia fatevi una ricerca sulla storia del fascismo.

Marco Infussi

Squadrismo e violenza politica

Fra le attività “qualificanti” del fascismo del primo periodo vi è il sistematico ricorso alla violenza contro gli avversari politici e le loro sedi. Torture, olio di ricino, umiliazioni, manganellate.
Un calcolo approssimativo induce a calcolare in circa 500 i morti causati dalle spedizioni punitive fasciste fra il 1919 e il 1922.
Don Giovanni Minzoni fu assassinato in un agguato da due uomini di Balbo nell’agosto del 1923.
Giacomo Matteotti venne rapito e assassinato con metodo squadrista nel giugno 1924, e il gesto sarebbe stato esplicitamente rivendicato da Mussolini in un discorso nel gennaio dell’anno successivo.
Piero Gobetti, minato dall’aggressione subita nel settembre 1924, morì due anni dopo, in esilio.
Giovanni Amendola spirò per le ferite riportate in un’aggressione fascista subita nel luglio 1925.

La repressione: il Tribunale speciale per la difesa dello Stato

Assunto il potere Mussolini si poté giovare dell’apparato di repressione dello Stato.
Con la nascita dell’OVRA (Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione dell’Antifascismo) venne razionalizzata la persecuzione degli antifascisti, con tutti i mezzi: legali e illegali, compreso l’omicidio politico in paese straniero.
Arturo Bocchini, capo della polizia, venne incaricato dallo stesso Duce e dal ministro degli Esteri Galeazzo Ciano di eliminare fisicamente Carlo Rosselli che allora risiedeva a Parigi. Il 9 giugno 1937, a Bagnoles-de-l’Orne, un commando di cagoulards (gli avanguardisti francesi) compì la missione: bloccata l’auto sulla quale viaggiavano i due fratelli Carlo e Nello, questi furno pestati e poi accoltellati a morte.
Lo strumento ufficiale della repressione fascista fu invece il Tribunale speciale per la difesa dello Stato.
L’attentato di Anteo Zamboni a Mussolini, il 31 ottobre 1926, offrì l’occasione di una serie di misure repressive.
Tra queste la “Legge per la Difesa dello Stato” n. 2008 del 25 novembre 1926, che stabilì la pena di morte per chi anche solo ipotizzava un attentato alla vita del re o del capo del governo. La normativa istituì il Tribunale Speciale, via via prorogato fino al luglio 1943, quindi ricostituito nel gennaio 1944 nella Rsi.
Nel corso della sua attività, il Tribunale Speciale emise 5619 sentenze e 4596 condanne, tra cui 122 donne e 697 minori. Le condanne a morte furono 42, delle quali 31 furono eseguite mentre furono 27.735 gli anni di carcere.
Antonio Gramsci morì in carcere nel 1938.
Michele Schirru fu fucilato nel 1931 solo per avere espresso “l’intenzione di uccidere il capo del governo”.
Il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini passò sei anni di prigione, venne trasferito a Ponza come confinato politico e il 20 settembre 1940, pur avendo ormai scontato la sua condanna, giudicato comunque «elemento pericolosissimo per l’ordine nazionale» e riassegnato al confino per altri cinque anni da trascorrere a Ventotene, dove incontrò Altiero Spinelli, Umberto Terracini, Pietro Secchia, Ernesto Rossi, Luigi Longo, Mauro Scoccimarro, Camilla Ravera e Riccardo Bauer.

Il confino

Il confino di polizia in zone disagiate della Penisola fu una misura usata con straordinaria larghezza. Il regio decreto 6 novembre 1926 n.1848 stabilì che fosse applicabile a chiunque fosse ritenuto pericoloso per l’ordine statale o per l’ordine pubblico. A un mese dall’entrata in vigore della legge le persone confinate erano già 600, a alla fine del 1926 oltre 900: tutti in isolette del Mediterraneo o in sperduti villaggi dell’Italia meridionale.
A finire al confino furono importanti nomi della futura classe dirigente: da Pavese a Gramsci, da Parri a Di Vittorio, a Spinelli. Gli inviati al confino furono, complessivamente, oltre 15.000.
Ben 177 antifascisti morirono durante il soggiorno coatto.

Deportazione

La politica antiebraica del regime fascista culminò nelle leggi razziali del 1938.
Alla persecuzione dei diritti subentrò, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, anche la persecuzione delle vite. La prima retata attuata risale al 16 ottobre 1943 a Roma: degli oltre 1.250 ebrei arrestati in quell’occasione, più di 1.000 finirono ad Auschwitz, e di essi solo 17 erano ancora vivi al termine del conflitto.
Il Manifesto programmatico di Verona del 14 novembre 1943 sancì che gli ebrei erano stranieri e appartenevano a “nazionalità nemica”. Di lì a poco un ordine di arresto ne stabilì il sequestro dei beni e l’internamento, in attesa della deportazione in Germania. Il regime fascista gettò circa 10.000 ebrei nelle spire della “soluzione finale” hitleriana.
Oltre alla deportazione razziale, fra le responsabilità del regime di Mussolini c’è anche la deportazione degli oppositori politici e di centinaia di migliaia di soldati che, dopo l’8 settembre, preferirono rischiare la vita nei campi di concentramento in Germania piuttosto che aderire alla Rsi.

La guerra

Fuori dai confini i morti contano forse meno? Non sono uomini come noi gli Etiopi uccisi con il gas durante la guerra per l’Impero, o i Libici torturati e impiccati durante le repressioni degli anni Venti e Trenta, o gli Jugoslavi uccisi nei campi di concentramento italiani in Croazia?
Mussolini trascinò in guerra l’Italia il 10 giugno del 1940, per partecipare al banchetto nazista.

I risultati, per l’Italia, furono questi.
Fino al 1943, 194.000 militari e 3.208 civili caduti sui fronti di guerra, oltre a 3.066 militari e 25.000 civili morti sotto i bombardamenti alleati.
Dopo l’armistizio, 17.488 militari e 37.288 civili caduti in attività partigiana in Italia, 9.249 militari morti in attività partigiana all’estero, 1.478 militari e 23.446 civili morti fra deportati in Germania, 41.432 militari morti fra le truppe internate in Germania, 5.927 militari caduti al fianco degli Alleati, 38.939 civili morti sotto i bombardamenti, 13.000 militari e 2.500 civili morti nelle file della Rsi.
A questi vanno aggiunti circa 320.000 militari feriti sui vari fronti per l’intero periodo bellico 1940/1945 e circa 621.000 militari fatti prigionieri dalle forze anglo-americane sui vari fronti durante il periodo 1940/1943.