sabato 15 agosto 2020

Sars-Cov-2. Arriva il vaccino di Putin: “Sputnik 5”. Tutti i dubbi del mondo scientifico

 

A due giorni dall’annuncio in pompa magna da parte del presidente russo Vladimir Putin di aver registrato il primo vaccino al mondo efficace contro il virus Corona, Sars-Cov-2, la portata scientifica della notizia risulta piuttosto ridimensionata. Su Sputkin 5, il farmaco anti Covid-19 messo a punto dall’istituto nazionale di epidemiologia e microbiologia Nikolai Gamaleya di Mosca, c’è infatti una così esigua quantità di informazioni disponibili da credere che non sia né più promettente né in anticipo rispetto alle più di 200 altre soluzioni vaccinali in fase di studio a livello globale. Oltre al nome, evocativo dei grandi successi spaziali dell’Unione Sovietica a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, del vaccino è stata data enfasi più ai retroscena simil-gossip (sarebbe stato somministrato a una delle figlie di Putin) che ai dettagli rilevanti a livello scientifico. Secondo la ricostruzione offerta da Nature, la formulazione di Sputnik 5 prevederebbe due dosi da somministrare a un certo tempo di distanza, costituite da soluzioni terapeutiche diverse. La prima sarebbe basata sull’adenovirus ricombinante Ad26, mentre la seconda (che farebbe da potenziatore della risposta immunitaria generata dalla prima iniezione) sarebbe basata sull’adenovirus Ad5. Curioso, però, che entrambe le soluzioni paiano analoghe ad altre già notoriamente in fase di sperimentazione e sviluppate rispettivamente da multinazionali farmaceutiche statunitensi e cinesi, e dunque l’unica novità della formulazione russa consisterebbe nell’uso combinato dei due farmaci. Dal punto di vista del percorso di sperimentazione, le informazioni attualmente disponibili lasciano intendere che ci si trovi alla fine della fase 2 (condotta su piccoli campioni di persone) ma che debba essere ancora condotta la fase 3, ossia quella decisiva per valutare il bilancio rischi-benefici, determinare l’efficacia del farmaco e scongiurare la presenza di effetti collaterali rilevanti. Secondo i documenti ufficiali forniti, in particolare, avrebbero ricevuto la doppia dose di vaccino (con una buona risposta immunitaria) un totale di 38 persone, mentre le fonti di stampa parlano di 38 civili volontari e 38 militari in una prima fase, e di altre 100 persone in una fase successiva. Nature “parla” di 76 volontari divisi in due gruppi, riferendosi probabilmente agli stessi trial clinici, e le informazioni sembrano essere compatibili con altre indiscrezioi già apparse a luglio. Quello che evidentemente manca, però, è la parte di sperimentazione su larga scala, che a quanto emerge sarebbe iniziata proprio la settimana scorsa (o questa settimana, secondo altre fonti) su un ampio campione di cittadini russi, dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi Uniti e di altri paesi. Anche qui però mancano le conferme, dato che non c’è alcun protocollo sperimentale da consultare e tutto ciò che abbiamo sono dei semplici annunci orali o a mezzo stampa. Che la corsa al vaccino sia questione non solo di salute pubblica ma anche di competizione geopolitica internazionale non è certo una novità. Non a caso i grandi proclami, spesso rivelatisi poi troppo ottimisti rispetto al reale stato dell’arte, hanno interessato moltissimi paesi negli ultimi mesi. Lo stesso è accaduto in questo caso con la Russia, che ha già annunciato di aver già ricevuto ordini per più di un miliardo di dosi da parte di 20 diversi stati da tutti i continenti, e ha detto di essere già al lavoro per la produzione di 500 milioni di dosi. Dal punto di vista delle evidenze scientifiche, però, il vaccino russo sembra non essere affatto in vantaggio rispetto al resto del mondo, ma anzi accusa un certo ritardo rispetto a chi al momento pare più avanti. Altri concorrenti, infatti, hanno già avviato la fase 3 fornendo tutte le relative informazioni. E questa fase della sperimentazione, per la quale Sputnik 5 è appena all’inizio, è quella più complessa e che corrisponde alla maggior probabilità di fallimento. Se l’ideazione di una soluzione vaccinale e i primi test di non-tossicità sono alla portata di molti, è proprio quando si arriva all’analisi degli effetti su larga scala, al confronto in doppio cieco con un placebo e alla valutazione delle reazioni avverse meno comuni che possono emergere criticità insormontabili. E per questo, prima di aver portato a termine con successo la fase 3, converrebbe essere molto cauti con i proclami. Anche se in effetti nessuna autorità internazionale potrebbe impedire alla Russia di produrre e distribuire (almeno internamente) il proprio vaccino, la comunità scientifica è già in allerta per i possibili danni che un vaccino non adeguatamente testato potrebbe generare. L’assenza di pubblicazioni e pre-pubblicazioni su Sputnik 5, in particolare, fa temere che possano generarsi effetti collaterali come reazioni asmatiche o aggravamenti dell’infezione in chi ha ricevuto il vaccino, come è accaduto in passato per altre soluzioni candidate contro la Sars ma poi escluse per questi motivi durante la fase 3. Se al momento gli unici effetti indesiderati associati allo Sputnik 5 sono febbre, mal di testa e irritazione cutanea, solo una sperimentazione su migliaia di persone potrebbe far emergere altre reazioni meno frequenti ma più gravi. Secondo i documenti di registrazione resi pubblici, le dosi saranno a disposizione a partire da gennaio 2021. E il ministero della Salute russa ha già formalmente approvato il farmaco, permettendo a Putin di autoproclamarsi vincitore della corsa al vaccino. Tuttavia, nei quattro mesi e mezzo che mancano è improbabile riuscire a completare la fase 3 di sperimentazione con tutti i crismi del caso, e per questo diversi esperti e giornali parlano di una ‘sperimentazione troppo accelerata’’ o direttamente di “sperimentazione saltata”. In queste condizioni, prevedere una vaccinazione di massa potrebbe rappresentare un pericolo per la popolazione ancora maggiore di quello dovuto al Sars-Cov-2, che al momento in Russia ha determinato 900mila contagi e oltre 15mila decessi. Infine, una certa preoccupazione è stata espressa anche dalla stessa agenzia russa che si occupa di gestire le sperimentazioni farmacologiche, che ha evidenziato per voce della direttrice Svetlana Zavidova come nel paese sia poco efficiente il sistema di segnalazione delle reazioni avverse. Qualora davvero il vaccino avesse problemi di sicurezza, insomma, il rischio è che questi non emergano nemmeno.