di Carmine Luigi Ferraro
L’andamento
degli ultimi anni in campo medico-sanitario impone, credo, una riflessione su
quelli che sono i fondamenti bio-etici cui si ispira l’etica medica, ad
iniziare da quello a noi contemporaneo. Faremo poi, a ritroso, un percorso alla
scoperta dei paradigmi più remoti per poterli ricostruire e tracciarne le
differenze ed eventuali affinità con l’attualità più cogente.
La
nascita del mondo moderno è contraddistinta dalla concezione della persona e della comunità come realtà morali e non fisiche. E’ solo a partire dal
secolo V, ed in seguito alle dispute teologiche che nascono in questo periodo,
che nasce il concetto di persona,
contrapposto al concetto greco di natura.
Cos’è la persona? E’ un modo della
sostanza, il modo razionale. Boezio la definisce: sostanza individuale di natura razionale; una definizione che pur
individuando nella razionalità un modo
della sostanza e, quindi, qualcosa di interno alla stessa, lascia tuttavia la
persona all’interno di una concezione naturalistica. Solo nel XII secolo
troviamo una definizione nuova di persona con Riccardo di San Vittore, nel suo
libro sulla Trinità: la persona è intellectualis naturae, incommunicabilis
existencia. Se è vero che esistono le cose naturali, esistono però delle
cose che sono fuori dalla natura, al di sopra e contrapposte ad essa. Quindi la
persona è ex-centrica rispetto alla natura; le persone non sono natura, ma hanno
natura. Con ciò, Riccardo può affermare che la persona non è sub-stantia, ossia qualcosa che è al di
sotto della natura, ma è ex-sistencia:
qualcosa che è fuori ed al di sopra della natura. L’uomo è un’esistenza
individuale di natura razionale; di fronte alla natura, che è comune, la
persona è il non-comune, il peculiare. Sarà poi nel mondo moderno che si
riuscirà a vedere come quell’incommunicabilis
existentia arrivi a identificare nella persona una realtà morale, contrapposta a quella puramente naturale. Nel XVI secolo, grazie alla
scolastica spagnola di Francisco Suárez, viene attribuita importanza all’individuale, rispetto alla tradizionale
tirannide dell’universale. Tutte le
cose esistenti sono sia sostanze, sia accidenti: le prime hanno la capacità di esse per se (perseità); mentre gli accidenti sono caratterizzati dall’esse in alio. La perseità è propria anche dell’uomo che, oltre ad essere unum per se physicum, è anche razionale. Rispetto allora ai due autori
precedenti, per Suárez la persona non è definita in termini di substantia o existentia, ma di subsistentia:
un termine equidistante dai due precedenti, ma capace di assumerne le virtualità.
Quindi la persona umana gode di individualità, ma è anche razionale; l’ordine
dell’intelligenza apre l’uomo ad un nuovo livello: le realtà morali che, non sono solo operative, ma hanno anche le loro
strutture. Ad esempio: la società è una struttura che deriva dalla libera
associazione di persone, per cui ha unità morale. Quindi la società non è
semplice conglomerato di individui, ma gode di autentica unità o perseità: come esiste
una perseità fisica, ne esiste anche
una morale. Ciò determina conseguenze
a livello politico: la comunità politica di Suárez ha un carattere libero e morale accentuato rispetto alla concezione naturalistica del pensiero greco e della scolastica medioevale (S.
Tommaso d’Aquino). A fondamento della comunità morale o dell’unione politica vi
è il patto, o contratto che deve essere accettato da tutti i membri della
comunità e consiste nel mutuo aiuto.
L’origine prossima dello Stato è quindi nel popolo, mentre la sua origine
remota risale a Dio. Suárez pone Dio fra il popolo ed il principe; il popolo è
il mezzo attraverso cui il principe riceve la potestas da Dio. Senza il consenso della volontà degli uomini, non
c’è Stato o comunità civile, o politica che possa nascere. Tuttavia, una volta
che lo Stato è costituito, esso ha consistenza ontologica e morale superiore a
quella di tutti i suoi membri costituenti. Ciò significa anche che il
potere che esercita è diverso e
superiore alla legge naturale; per cui obiettivo del potere non è il
conseguimento del bene di ogni individuo, ma del bene della comunità, o bene
comune. La riflessione di Suárez mostra però la sua dissonanza con il pensiero
moderno quando afferma che la potestas,
una volta trasferita al governante, non può più essere tolta, purchè ne vengano
osservati i principi. Una volta concessa la potestas,
tutti e ogni individuo hanno l’obbligo di obbedire al principe, anche qualora
venga ordinato qualcosa che vada contro il bene particolare di uno, di alcuni o
di molti, salvo il caso in cui arrechi danno al bene comune. Se ciò evidenzia
una sicura concezione democratica dello Stato, la cui potestas viene concessa dal popolo in nome del bene comune, in assenza del cui perseguimento il popolo ha il
diritto e perfino il dovere di recuperare la propria sovranità; per altro
verso, Suárez ha modo di affermare anche che il popolo può concedere tutto il
suo potere e rinunciare totalmente alla sua libertà politica.
La
scoperta della modernità per la quale l’uomo è la realtà fisica o naturale per
antonomasia e fonte dell’ordine morale, porta come conseguenza una nuova
definizione del concetto di natura. Una revisione questa che viene fatta dai
filosofi nelle discussioni sullo stato di
natura, a partire da un evento completamente estraneo alla tradizione
antica o medioevale: la scoperta dell’America.
La
narrativa degli esploratori convince gli europei che le società indie
dell’America non obbediscono agli schemi concettuali elaborati dai filosofi
greci, sia sull’uomo ed il suo processo di sviluppo, sia sulle istituzioni sociali,
politiche e culturali. La sorpresa rispetto a ciò fu tale da indurre a considerare
queste popolazioni come esseri non
razionali. Gli indios americani
erano diversi dagli europei per trovarsi ancora allo stato di natura. A partire da ciò, ragioneranno alcuni filosofi,
primo fra i quali T. Hobbes (Leviatano),
il quale distingue fra stato di natura, o selvaggio, nel quale non vi sono
ancora istituzioni politiche, perché la vita propriamente civile non è ancora iniziata; per ciò tale stato è uno stato di
guerra. Quando invece sorge lo Stato civile, il solo ad essere legittimato
all’uso della violenza, gli uomini passano dallo stato di guerra a quello di
pace. Pace che è quindi conquista morale e politica; essa consente l’industria,
la coltivazione delle terre, la navigazione, l’uso delle merci… . Per altro
verso, nello stato di natura, l’uomo ha il diritto (jus naturale) di usare il proprio potere come vuole, per la conservazione della propria natura. Da tale diritto nasce
una legge (lex naturalis) che
proibisce all’uomo di compiere atti contro la sua vita, o distrugga i mezzi di conservazione
della stessa. Questa legge generale si articola poi in altre più specifiche, ma
tutte convergenti sul principio: Non fare
agli altri ciò che non vorresti venisse
fatto a te. Leggi queste che vanno applicate in foro interno, mentre in foro
externo si applicano quando gli uomini rinunciano al diritto di fare tutto
ciò che vogliono e stipulano un contratto. Contrariamente ad Hobbes, altri
autori come B. de las Casas, V. de Quiroga…, ritengono che la tendenza naturale
porterebbe l’uomo a riconoscere l’obbligo di amare se stesso tanto quanto ama
gli altri, visto che devo fare agli altri ciò che voglio che essi facciano a
me. Basterebbe quindi uno stato di natura puro,
per determinare una vita individuale e comunitaria, armoniosa e felice.
J.
Locke cerca di mediare fra le due posizioni e nel Trattato sul governo (1689) pone le basi per una teoria moderna dei
diritti umani. Partendo: dall’assunto per cui nei tempi primitivi tutto il
mondo era una specie di America ed in condizioni ancora più primitive da quelle
che essa offriva in quei tempi, visto che non si conosceva nulla di simile al
denaro; dall’affermazione di Hobbes per cui nello stato di natura l’uomo ha il
diritto di difendere la propria vita, Locke ritiene che la prima legge naturale
è il diritto alla vita, da cui deriva
il diritto alla salute, all’integrità
fisica ed il conseguente divieto ad attentare a tale integrità. Lo stesso vale
per la proprietà, perché acquisita
con il lavoro che è prolungamento del corpo; così come per la libertà che è base dell’autonomia personale.
Il diritto alla vita, alla salute, all’integrità fisica, alla libertà ed alla
proprietà, sono diritti umani ed
individuali, perché la loro realizzazione dipende in via esclusiva ed unica
dall’iniziativa individuale, ed hanno vigenza già nello stato di natura. Con
ciò Locke dà un duro colpo alla teoria del paternalismo,
prima di lui vigente. Locke è cosciente di un diritto paterno legittimo, quello
dei genitori per curare il corpo dei propri figli, perché essi possano godere
il prima possibile di tutti i diritti che per natura ad essi competono, essendo
esseri razionali. Ma il potere paterno termina con il raggiungimento della
maggiore età; quando si travalica tale limite si è nel puro paternalismo che,
in campo medico, Locke riconosce solo in casi patologici.
La
riflessione di J. Locke fa da prodromo alle prime dichiarazioni dei diritti
umani. Nel 1774, negli Stati Uniti si riconobbe il diritto alla vita, alla libertà
ed alla proprietà degli abitanti
delle colonie inglesi nordamericane, per le leggi immutabili della natura, per i
principi della costituzione inglese e per vari scritti e patti. La Corona
inglese considerò tale dichiarazione un atto di ribellione, scatenando una
cruenta guerra, con il risultato che diversi Stati promulgarono costituzioni,
precedute da dichiarazioni di diritti (Dichiarazione
dei Diritti del Buon Popolo della Virginia, 1776), in cui si ribadisce che
tutti gli uomini sono liberi, indipendenti ed hanno determinati diritti innati, della cui podestà non possono
essere spodestati per nessun motivo. Da La
Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino (24/06/1793), ricordiamo
alcuni articoli:
1. Gli
uomini nascono e permangono liberi e uguali nei diritti.
2. Lo
scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e
imprescindibili dell’uomo. Questi diritti sono: la libertà, la proprietà, la
sicurezza e la resistenza all’oppressione.
3. L’origine
della sovranità risiede nella nazione.
4. La
libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non sia di danno agli altri.
Tutti
questi diritti diventano la base della vita giuridica, politica ed etica e si
fondano sul principio di autonomia:
ogni essere umano possiede originariamente una completa libertà di agire e di
disporre delle sue proprietà e della sua persona secondo la sua volontà, nei
limiti imposti dalla legge naturale, senza che le sue decisioni possano
dipendere dalla volontà di nessun altro. Questo è un punto dirimente con l’etica tradizionale europea che riteneva
l’amore per l’individualità e l’autonomia come un vizio che è egoismo. Al
contrario, A. Smith ritiene che l’uomo sia naturalmente egoista e che l’egoismo
sia imprescindibile per la vita. Non ci sarebbe vita umana senza una ricerca
egoistica del proprio interesse nel lavoro, nella diligenza, nell’economia… .
Quando l’uomo opera in questo modo è condotto, da una specie di mano
invisibile, a produrre effetti virtuosi altruistici (Indagine sulla natura e causa della ricchezza delle nazioni, 1776).
Tale egoismo è così importante che non deve essere coartato specie in ambito
economico, per cui l’intervento dello Stato in tale settore deve essere minimo.
Tuttavia Smith, al pari di Hume, ritiene che al di sopra della vita naturale
dell’uomo esiste la sua vita morale che non è governata dal principio
dell’egoismo, bensì da quello della simpatia.
L’egoismo economico ha un contrappeso morale: il sentimento di compassione, o
simpatia, che sorge dal mettersi al posto dell’altro. I due sentimenti non sono
tuttavia in contrapposizione, ma si compensano e si completano (Teoria dei sentimenti morali, 1759).
Se
A. Smith è il pontefice dell’economia liberale, per cui la libertà economica
del singolo produce il massimo beneficio per tutti; il liberalismo economico ha
poi bisogno, per esprimersi, di una particolare istituzione politica che sia
liberale, democratica e parlamentare, retta dalla carta dei diritti umani,
civili e politici. Oltre al fatto che il liberalismo economico e politico ha
bisogno di una cultura e di un’etica liberale, risultato dello sviluppo del
diritto alla libertà di coscienza,
che colloca in primo piano il principio
di autonomia. Un principio elaborato da I. Kant ( Critica della Ragion pratica, 1788) alla fine del XVIII secolo e,
in seguito, da J. Stuart Mill (Della libertà,
1859), che stabilisce l’immoralità di qualsiasi sistema che non sia liberale;
ossia che non contempli la libertà civile, e che non sia quindi
anti-paternalistica. La libertà di una persona non può essere coartata, se non
attenta alla libertà o benessere di altre persone. Tutto ciò, quali risvolti ha
avuto in medicina? Al di là delle dispute fra A. Smith e W. Cullen sulle leggi
dell’offerta e della domanda in ambito sanitario e sulla dicotomia fra mestiere e professione, nella pratica medica,
il malato, fra il 1890 ed il 1920, inizia ad essere considerato come persona
adulta, autonoma, capace di essere informata e, a partire dalle informazioni
ricevute, libera di prendere le decisioni che ritiene opportune per il suo
corpo, per la sua salute e per la sua vita. Questa è l’autonomia del malato, come quella di qualsiasi altro uomo. Il
medico deve comunque comunicare la verità
al malato: questa si configura come un obbligo morale del medico, anche se ciò
non include dei casi difficili, in cui la comunicazione della verità può
abbreviare la vita del paziente. In questo caso, è prevista la riserva del privilegio terapeutico come unica
eccezione. Ora, si può affermare che il diritto dei malati ad essere informati
ed a decidere autonomamente del proprio corpo è stato imposto ai medici dai
tribunali, specie in area anglosassone, visto che in area europea i tribunali
si limitano all’applicazione delle leggi esistenti. Quindi il principio di autonomia, estraneo alla tradizione medica, è passato alla medicina
per l’etica giuridica. Se, in primo luogo, ha avuto un impatto sui chirurghi,
per la loro condizione di artigiani, operatori manuali, con condizione sociale
inferiore a quella del medico, ma con impatto superiore e conseguenze rilevabili
sul corpo dell’ammalato; ai medici, inizialmente, veniva imputata solo la
negligenza professionale, imperizia o imprudenza, spesso legate alla valutazione
del medico e non punibili qualora si tenesse conto del principio del maggiore
interesse del paziente, e si provasse la sua incapacità e inidoneità a
decidere. Fra il 1890 ed il 1920 succede che i tribunali americani vengono
assediati da pazienti che denunciano i propri medici di aggressione, e non di
negligenza, ossia- secondo la legislazione nordamericana- di un intervento
intenzionale sul corpo di una persona, senza il suo permesso. Permesso che
poteva essere ignorato solo nei casi urgenti, in cui non è dato conoscere la
volontà del malato.
Quindi
il medico non ha carta bianca per operare
solo perché consultato dal paziente sulla cura più utile al suo caso; serve un
consenso esplicito per qualsiasi intervento chirurgico. Agendo in assenza di
tali preliminari, per cui si richiede comunque il consenso di persona capace di
valutare rischi e pericoli, specifiche autorizzazioni, si commette il reato di
aggressione. Tutto ciò mira all’affermazione del diritto del paziente all’autodeterminazione, che include il
diritto all’inviolabilità della propria persona, e la relativa scelta medica in
base alla quale, senza un consenso medico esplicito, si può configurare il
reato di aggressione, anche quando l’intervento sia eseguito alla perfezione
con effetti benefici. Non venivano comunque specificate quante e quali
informazioni il paziente dovesse ricevere per esprimere il diritto
all’autodeterminazione in modo adeguato. Accade nel 1931 che il Ministero della
Sanità del Reich promulga una
normativa rigida per la sperimentazione sugli esseri umani di nuovi prodotti
terapeutici in medicina. Su quattordici articoli di cui consta la legge, che di
fatto è in qualche modo il primo codice etico sulla sperimentazione clinica,
quattro si riferiscono al tema del consenso informato. Il consenso deve essere
dato dal soggetto stesso o, se impossibilitato, dal suo rappresentante legale in modo chiaro e inequivocabile.
Sappiamo che questa norma non venne applicata agli ebrei, gitani, russi e restarono
lettera morta nei campi di concentramento per tutta la seconda guerra mondiale.
Alla fine della guerra si scoprono gli esperimenti sugli esseri umani compiuti
per anni sui prigionieri, per i quali venti medici e tre amministratori
finiscono sul tavolo degli imputati al processo di Norimberga come: assassini, torturatori ed altre atrocità
commesse in nome della scienza medica. Procedure condotte da persone
incompetenti senza motivazioni scientifiche ed in condizioni fisiche indegne.
Esperimenti che produssero sofferenze inutili, senza o con pochissime
precauzioni per salvaguardare la salute degli esseri umani, che patirono
mutilazioni, enormi dolori e la morte (R.R. Faden – T.L. Beauchamp, A History and Theory of Informed Consent,
Oxford 1986).
Contro
ciò la Corte rendendosi conto dell’importanza del consenso informato nella
realizzazione di esperimenti su esseri umani e nelle prove cliniche, decide di
fissare i principi fondamentali che devono essere soddisfatti per quelle
finalità: il Codice di Norimberga. Il
codice impone che ogni esperimento clinico su esseri umani deve essere fatto
con l’informazione ed il consenso del soggetto sul quale verrà effettuato
l’esperimento. Si formula quindi il principio del consenso informato, anche se
non risulta chiaro se deve fondarsi sul principio della beneficità o dell’autonomia,
forse perché si riteneva che ciò dovesse restare aperto alla successiva analisi
dei ricercatori. La novità principale sta quindi nell’obbligo di ottenere il consenso dal paziente e nel
dovere di informare adeguatamente il
paziente prima che decida. Da allora diverse denunce sono state fatte da
pazienti nei confronti dei medici per danni irreversibili ricevuti in
conseguenza di analisi sperimentali sul proprio corpo. Le sentenze scaturite
–in particolare in area anglosassone- hanno stabilito in primis che al paziente
deve essere data la comunicazione
completa dei dati necessari, senza altri criteri particolari sulla qualità
e quantità della comunicazione, affidata alla discrezione del medico ( T.L.
Beauchamp – L. B. McCullough, Etica
Médica. Las responsabilidades morales de los médicos, Barcelona 1987). Poi
con altra sentenza si stabilisce che ciò che va rivelato al paziente non è ciò
che la Comunità scientifica ritiene ragionevole, ma tutte le notizie di cui ha
bisogno una persona, in possesso delle sue facoltà, per formarsi un giudizio
con piena cognizione di causa Qualora la conoscenza di certi particolari sia così
importante da indurre il paziente a cambiare decisione, questi devono essere
rivelati per legge, non secondo la discrezionalità del medico, per arrivare a
quella persona ragionevole capace di
decidere in base alla libertà ed alla propria responsabilità. Nonostante le
sentenze risalgano al 1972, nemmeno negli stessi Stati Uniti, dove le sentenze
sono state emesse, c’è un rispetto univoco di quella norma. A seconda dello
Stato in cui viene emessa una sentenza in ambito medico, si tiene conto della discrezione del medico, o del principio della persona ragionevole. La disputa e le alterne vicende della stessa ha comunque
il merito di aver promosso nel 1973, da parte di un’Associazione americana
degli ospedali, un primo codice dei diritti del paziente, dalla lettura del
quale si rivela che i suoi dodici punti sono specificazioni del diritto generale
al consenso informato. Il consenso
deve essere un diritto umano individuale
correlato al diritto alla vita, alla salute, alla libertà ed alla proprietà. È
un diritto nuovo, non una specificazione del diritto alla salute – che lo
riporterebbe ad una mentalità solo beneficiale- intimamente legato al diritto
alla riservatezza, al diritto di morire con dignità, sempre basati sul rispetto
del principio di autonomia della
persona. Si agisce autonomamente quando vi è l’intenzionalità, la conoscenza
e non vi è controllo esterno. Se la
prima condizione è assoluta, per gli altri due sono invece ammessi dei gradi;
perché un’azione sia autonoma rispetto alla conoscenza,
deve essere compresa dall’agente, comprendere cioè sostanzialmente tutte le
proposizioni, espressioni che contribuiscono a valutare la situazione in base
alla natura dell’azione e le prevedibili conseguenze che possono
scaturire dall’azione stessa. Il controllo
esterno è spesso confuso con l’intenzionalità,
per cui si è portati a considerare non intenzionale ogni azione diretta dal di
fuori. Se una persona è assolutamente obbligata a compiere un atto, può
tuttavia agire intenzionalmente nell’eseguirlo:
tuttavia il controllo vero e proprio si configura quando è accompagnato da: 1) coercizione, ossia la pressione, la
minaccia esercitata intenzionalmente ed effettivamente da qualcuno per indurre
un altro ad agire per evitare conseguenze dannose. 2) Manipolazione, ossia l’influenza intenzionale ed effettiva verso
una persona, con mezzi non coercitivi, alterandone la scelta reale alla sua
portata, o alterandone la percezione delle scelte. 3) La persuasione, ossia l’influenza intenzionale e compiuta per indurre
una persona, attraverso procedimenti razionali, ad accettare liberamente
opinioni, valori, intenzioni o azioni del persuasore. Questi sono i mezzi di
controllo esterno; esistendo, tuttavia, dei mezzi di controllo interno, il più
delle volte dovuti a nevrosi coercitive, ossessive…, si è introdotto anche un
quarto criterio a stabilire l’autonomia dell’azione, ossia l’autenticità. In base a questo criterio,
è autentica l’azione compiuta se è coerente con il sistema di valori ed atteggiamenti generali di fronte alla vita, assunti
razionalmente e coscientemente da una persona. E’ l’autenticità a farci scoprire se l’azione intenzionalmente compiuta
sia libera da qualsiasi coercizione o manipolazione.
Tutto
ciò, in campo clinico non è scevro di problematiche: la conoscenza non può
essere la stessa per tutti i pazienti, come non tutti – per patologie proprie-
possono agire intenzionalmente; come pure, l’adesione ad alcune religioni rende
inefficace il criterio dell’autonomia della persona, che viene regolata da
dettami/dogmi religiosi. Per fare un solo esempio, è il caso dei Testimoni di
Geova che rifiutano la trasfusione sanguigna. Ed allora, al principio di beneficità (che regola l’azione del
medico e della famiglia) ed a quello dell’autonomia
della persona, si è aggiunto il principio di giustizia, sul quale si basano le terze parti e che è alla radice
della nascita e sviluppo della bioetica. Secondo David Ross (The Right and the Good, Oxford 1930) i
tre principi, essendo diversi fra
loro –i primi riguardano il bene
individuale della persona, mentre il terzo il bene comune- ed essendo la giustizia
(bene comune) superiore ad altri principi per cui è virtù generale, come pure l’autonomia
è superiore alla beneficità, si
rileva una conflittualità fra i tre principi della bioetica. Pur tuttavia, il
conflitto fra i tre principi non sempre deve essere risolto in senso
gerarchico; bisogna tener conto delle conseguenze. In alcuni casi, la gerarchia
aprioristica deve essere sostituita da un’altra reale ed effettiva: la beneficità,
ad esempio, deve essere prioritaria in caso di malati incapaci e bambini; in
altri casi è invece l’autonomia a dover
prevalere, come per tutte le decisioni private.
Il
progresso nel rapporto fra medico e paziente ha portato anche alla formulazione
di una Carta dei diritti fondamentali
della persona dell’Unione Europea (cfr https://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf);
nell’articolo 3 (Diritti all’integrità
della persona) è previsto: 1. Il diritto dell’individuo alla propria
integrità fisica e psichica. 2. Il rispetto, in ambito medico e biologico, del consenso libero ed informato della
persona interessata, con la relativa comunicazione sui rischi derivanti dalle
terapie proposte ed eventuali effetti avversi che si potrebbero verificare
immediatamente, a breve o lungo periodo. Ancora, la Dichiarazione di Helsinki – riconosciuta parte integrante del
diritto UE- sui principi etici per la ricerca medica precisa che: la
partecipazione alla ricerca medica da parte di persone capaci di dare il
consenso deve essere volontaria. Inoltre, la sperimentazione clinica su persone
umane –come riconosciuto da Direttiva UE 2021/20- deve basarsi sulla protezione dei diritti umani e della dignità
dell’essere umano, per l’applicazione della biologia e della medicina, così
come affermato nella Dichiarazione di Helsinki (cfr.: https://www.evidence.it/articoli/pdf/e1000059.pdf),
modificata nel 1996, la quale prevede che “la protezione dei soggetti della
sperimentazione è garantita dalla valutazione dei rischi basata sui risultati
degli studi tossicologici, prima dell’inizio di ogni sperimentazione clinica,
dalle revisioni dei comitati etici e delle autorità competenti degli Stati
membri, e dalle disposizioni sulla protezione dei dati personali”. Come si
può notare, i principi relativi ai requisiti per il consenso alle
sperimentazioni cliniche della Dichiarazione
risalgono al Codice di Norimberga che
unito alla Carta fondamentale dell’Unione
europea, che esprime la tutela del diritto alla vita, alla salute, alla
dignità ed autodeterminazione della persona, stabilisce che nessun trattamento
sanitario può essere iniziato o proseguito, se privo del consenso libero ed informato della persona interessata. Quindi ogni persona, capace di
agire, ha il diritto di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario ( artt. 3 e 5
della legge 219/2017).
Ora,
fatta questa sia pur breve storia sulla nascita e sviluppo della bioetica fra
il XVIII ed il XXI secolo, proviamo a calare i principi che la regola nella
nostra quotidianità più attuale.
Prendiamo
in considerazione il tema della pandemia
Covid19 ed il tema correlato della ‘vaccinazione’, la cui scelta è
apparentemente libera – tranne per alcune categorie di lavoratori (docenti,
sanitari, forze armate)- ma che di fatto
è indotta per tutta una serie di provvedimenti governativi, che escludono dalla
vita sociale chi decide, in autonomia e
libertà, di non sottoporsi all’esperimento di massa che va sotto il nome di
vaccinazione.
Il
siero anti Covid 19, sappiamo tutti che ha avuto il nulla osta per l’utilizzo
da parte della FDA, dall’EMA e poi dall’AIFA (enti responsabili della farmacovigilanza
degli Usa, dell’Europa e dell’Italia) per motivi di urgenza, legati alla
pandemia. Questo siero ha avuto una sperimentazione posticcia, visto che il
tempo normalmente impiegato per lo sviluppo di un vaccino, sul fronte della
ricerca preliminare, è almeno di cinque anni. Mentre per arrivare allo sviluppo
completo del prodotto, e quindi la commercializzazione, possono passare anche
dieci anni, perché deve esserci la totale
sicurezza della sua efficacia e sulla sua sicurezza. Una volta decifrato il
genoma del virus, il suo patrimonio genetico, ci sono tre fasi di test clinici;
nella prima fase si ha la somministrazione del vaccino ad un ristretto numero
di volontari per valutarne la sicurezza ed il dosaggio ed avere la conferma di
un effettivo stimolo al sistema immunitario. Nella seconda fase, si somministra
il vaccino a centinaia di volontari (bambini ed anziani compresi) suddivisi in
gruppi differenti, al fine di comprovarne l’efficacia sull’induzione di una risposta
immunitaria e sulla sicurezza del vaccino. Infine, nella terza fase, il vaccino
viene testato su decine di migliaia di volontari, la cui risposta al virus
viene comparata a quella di altri volontari, ai quali viene somministrata una
sostanza placebo. In questo caso, viene testata l’effettiva efficacia del
vaccino nell’indurre resistenza all’infezione e non solo la risposta immunitaria.
Quindi, il vaccino deve in prima istanza produrre una mancata infezione se si
entra in contatto con il virus; in seconda battuta, se l’infezione avviene, il
sistema immunitario indotto dal vaccino, deve produrre una risposta di difesa,
in modo che non si generi/sviluppi la malattia. Anche in questa terza fase, si
verifica la sicurezza in un’ampia popolazione, valutando la presenza di effetti
collaterali rari, che potrebbero essere sfuggiti nelle fasi precedenti. Solo
dopo i risultati della terza fase, gli organi deputati all’approvazione del
vaccino valutano se permettere o meno la diffusione del vaccino. Tuttavia,
anche dopo l’immissione sul mercato, si continua a sorvegliare l’efficacia e la
sicurezza per identificare dei problemi rari.
Ora,
in merito ai vaccini ad mRNA per il Covid19, la loro velocità di sviluppo –poco
più di un anno- potrebbe essere spiegata sostenendo l’esistenza di ricerche
sviluppate in passato sulla tecnologia a RNA messaggero, oltre che per gli
studi già fatti in passato sui Coronavirus umani. La tecnologia a mRNA è stata
usata per sviluppare dei vaccini anti-tumorali, che comunque non hanno avuto
successo. Ci sono stati inoltre indubbi investimenti –soprattutto pubblici- che
hanno messo a disposizione, in poco tempo, ingenti risorse umane ed economiche.
Tuttavia: le varie fasi di valutazione e studio del vaccino sono state condotte
in modo parallelo, anziché seguire in modo progressivo le stesse; la
valutazione delle agenzie regolatorie sui risultati ottenuti è avvenuta mentre
i risultati venivano prodotti, anziché a studi completati. Per questo, nel caso
concreto del vaccino anti-Covid, l’autorizzazione data dalle agenzie
regolatorie, vista l’emergenza pandemica, è un’autorizzazione condizionata della durata di un anno. Ciò significa
che il ‘vaccino’ è ancora ampiamente sperimentale e si aggiunge a questo, che
la farmaco vigilanza è di genere passivo, non attiva. Ossia chi viene inoculato
non è sorvegliato in modo attivo per rilevare eventuali effetti avversi ed
intervenire per tempo, ma è l’inoculato che li deve segnalare al medico di base
che valuterà se inserire una segnalazione di effetto avverso.
Il
fatto stesso che chi si inocula debba firmare il consenso informato e che gli
operatori sanitari preposti all’inoculazione abbiano preteso uno scudo penale
per non poter essere responsabili degli eventuali effetti avversi sui pazienti,
ci conferma ampiamente il grado di sperimentazione di questo vaccino, oltre ad
una situazione che Agamben definisce moralmente
e giuridicamente abnorme (cfr. https://www.youtube.com/watch?v=03Xm7ibYXMU&feature=youtu.be),
data l’obbligatorietà surrettizia che viene introdotta per il vaccino con i
provvedimenti sul green pass. Ma, se lasciamo da parte gli effetti avversi, e
consideriamo la sua beneficità, ci
accorgiamo che non fornisce – come invece per altri vaccini- immunità: la malattia si sviluppa
nell’inoculato come in chi non ha assunto quel medicinale e lo sviluppo della
malattia può essere altrettanto nefasto.
In
un’audizione di esperti in Commissione Affari Costituzionali al Senato della
Repubblica tenutasi nella prima metà di ottobre 2021, in merito al Decreto
Legge 127/21 (introduzione del green pass), il Prof. Marco Cosentino (Medico
Chirurgo, Dottore di Ricerca in Farmacologia e Tossicologia e professore
ordinario di Farmacologia nella Scuola di Medicina dell’Università degli Studi dell’Insubria) ha sottolineato
che:
“ – Il contagio sintomatico è di fatto documentato
in vari casi a partire da poco dopo il completamento del ciclo vaccinale…anche
con conseguenze gravi, specie se in presenza di fattori di rischio…, e si fa
sempre più probabile man mano che trascorrono le settimane, fino a tornare a
condizioni analoghe all’assenza di vaccino dopo cinque-sei mesi… Che poi un
vaccinato contagiato possa a sua volta contagiare altri, vaccinati o meno, è
altrettanto ampiamente documentato… Talora anche in veste di portatore
asintomatico.
- … c’è ormai diffuso consenso sul fatto che le
cariche virali, considerate indicatori di contagiosità, specie con la variante
Delta oggi prevalente, non siano diverse tra contagiati vaccinati e non
vaccinati… Con la variante Delta in particolare è stata suggerita l’assenza di
differenza fra vaccinati e non vaccinati per frequenza di positività e carica
virale.
-
Riassumendo, già a distanza dal completamento del ciclo vaccinale è possibile
contagiarsi e contagiare e nel giro di alcune settimane, in particolare con la
variante Delta oggi prevalente il rischio non pare essere molto differente fra
vaccinati e non vaccinati.”
E’
insomma pericolosa l’equivalenza vaccinati = immuni, e tantomeno vaccinati =
non contagiosi. (https://www.youtube.com/watch?v=mOYXjruMXg8) .
Altro
medico ad essere audito è stato il Prof. Mariano Bizzarri (Associato di
Patologia Clinica dell’Università La Sapienza di Roma, Istituto di Medicina
Sperimentale, Patologo ed Oncologo), il quale oltre a rilevare l’inefficacia
del vaccino, e l’abuso dei test PCR (tampone) con la conseguente creazione di
un enorme numero di falsi positivi, dichiara:
“Stiamo
esponendo ad una sperimentazione di massa la popolazione. Non hanno mai fatto
studi per scoprire la canceroginità e mutagenicità di questo vaccino” (cfr.: https://www.youtube.com/watch?v=JdDvSodJ2iE – e https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_co
mmissione/files/000/421/377/prof._Bizzarri.pdf) .
E’
stata audita anche la Prof.ssa Maria Luisa Chiusano (Biologa Molecolare
dell’Università degli Studi di Napoli Federico II), la quale dopo aver evidenziato
la pericolosità d’infondere nella popolazione la fiducia in false sicurezze (i
vaccinati non sono tutelati), che possono indurre a discriminazioni infondate,
per cui la vaccinazione è una scelta personale
e non altruista perché comunque non
ne previene la diffusione; afferma:
“Inutile
vaccinare chi non ne ha bisogno per non far diffondere una malattia, anche
considerato: che una tossina a dosaggio incontrollato può produrre effetti
collaterali più rischiosi della malattia stessa con danni a lungo termine, non
ancora stimati, e impatto socio-sanitario e costi non ancora stimabili, ma già
riscontrabili come da rapporto AIFA… (casi anche gravi in aumento nella fascia
al di sotto dei 70 anni. Presumibile anche una maggiore difficoltà di riscontro
dopo i 70 anni)”.
La
studiosa ha ribadito la tossicità della proteina Spike contenuta nei vaccini e
di cui non si sa quanta ne entri nelle cellule umane e per quanto vi permanga,
come non si conosce l’efficienza di produzione e smaltimento delle componenti
vaccinali nei singoli individui. Di fatto, il disegno sperimentale è mirato ad
allungare la permanenza nel corpo umano; introduce modifiche ingegnerizzate
nella struttura delle molecole (DNA, RNA); ha un’alta predisposizione ad essere
integrato nel genoma umano e ad interferire con l’espressione di geni umani
cruciali. Infine, tutti i vaccini basati su produzione della tossina Spike
possono riprodurre gli effetti della patologia Covid-19. Da qui l’auspicio a
che l’Europa e l’Italia possano offrire altre opportunità vaccinali presenti
nel mondo. (cfr.: https://www.youtube.com/watch?v=hTyosXaVsC0; https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_co
mmissione/files/000/421/413/D.ssa_Maria_Luisa_Chiusano.pdf) .
Ricordiamo
infine che nei testi delle deliberazioni della Commissione Europea, negli
allegati acclusi, vengono riportati i dati su migliaia di morti e centinaia di
migliaia di gravissimi eventi avversi dopo la somministrazione dei vaccini a
mRNA, rilevabili nei documenti aggiornati sull’autorizzazione condizionata all’uso
degli stessi. Andando sul sito internet della Banca dati europea delle
segnalazioni di sospette reazioni avverse ai farmaci (www.adrreports.eu/it/) si possono
visionare i dati ufficiali sui vari vaccini disponibili a livello europeo. Si
possono vedere effetti avversi, (gravi o gravissime) sul sistema linfatico, sul
sistema cardiaco, occhi, sistema riproduttivo, gravidanza e puerperio, neonati,
neoplasie, sistema immunitario …; oltre alle segnalazioni di morte
post-vaccino.
Eppure,
nonostante tutto ciò, i vaccini vengono spacciati per sicuri da governanti,
pseudo-esperti, medici che non attendono –a nostro parere- al giuramento
d’Ippocrate (primum non nocere), mass
media per la maggior parte allineati e fiancheggiatori di quello che potremmo
definire un regime sanitario. Tutto ciò non genera certo una corretta
informazione a partire dalla quale chi dovesse decidere di vaccinarsi possa
esprimere un consenso informato, oltre che libero. Per dar conto di una
ulteriore contraddizione sulla sicurezza dei sieri: sebbene non si possa
mettere in discussione la loro affidabilità, tuttavia la società di Assicurazioni Unipol, offre una polizza
per effetti avversi (dal ricovero all’invalidità) e nella quale si prevede un
risarcimento che spetterebbe allo Stato (cfr. F. Bonazzi, Vietato parlare di rischi dei vaccini. Però Unipol ti assicura per i
danni, in “La Verità”, 12/12/2021 p.5). Inoltre, in ordine all’efficacia
del siero, stando ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità, nel periodo 22
Ottobre – 21 Novembre 2021, i ricoverati in Ospedale vaccinati sono stati 4532,
mentre 4402 sono le persone senza dose; tutto ciò di fronte all’84,8% di
persone vaccinate (P. Floder Reitter, Ennesima
conferma dei dati dell’ISS. Più certificazioni verdi, più contagi, in “La Verità”, 12/12/2021,
p. 2).
Ma
visto che abbiamo parlato di consenso informato, andiamo ad esaminare il modulo
stilato a tal proposito dall’azienda
farmaceutica che produce il vaccino più utilizzato: Pfizer-BiNTech
(cdn.onb.it/2020/12/all-1-consenso.pdf).
Già
al punto 4 della ‘Nota informativa’ che viene fornita al vaccinando per
esprimere il consenso, troviamo: Il
vaccino non può essere somministrato alle donne in gravidanza e in fase di
allattamento. Vediamo cosa invece afferma l’AOGOI (Associazione Ostetrici
Ginecologi Ospedalieri Italiani): “Nessun aumento di rischio trombotico nelle
donne, anche per quelle che assumono contraccettivi estroprogestinici”
(22/03/2021, cfr.: aogoi.it/media/7709/comunicano-sigo-aogoi-agni-22-marzo2021-last-min.pdf).
Al
punto 6 dell’informativa troviamo: “… il vaccino potrebbe non proteggere
completamente tutti coloro che lo ricevono. Infatti l’efficacia stimata dalle
sperimentazioni cliniche (dopo due dosi di vaccino) è del 95% e potrebbe essere
inferiore in persone con problemi immunitari. Anche dopo somministrazione di
entrambe le dosi di vaccino, si
raccomanda di continuare a seguire scrupolosamente le raccomandazioni delle
autorità locali per la sanità pubblica, al fine di prevenire la diffusione del
Covid-19”.
Tradotto:
il vaccino può non essere efficace, il vaccinato si può infettare e può essere
infettivo per gli altri. Ciò basta per contraddire, non solo la narrativa della
maggior parte dei mass media sull’efficacia dei vaccini, e la sicurezza che ne
deriva per i vaccinati- contribuendo a manipolare
l’autenticità del consenso informato-, ma rivela anche l’infondatezza delle
politiche governative su Green pass e
Super Green pass: chi ha il certificato verde può accedere ai luoghi di
lavoro e continuare la vita sociale perché, sicuramente, non è un untore. Paradossalmente però il termine untore viene proprio utilizzato dal
prof. Leopoldo Salmaso, medico chirurgo, specialista in Malattie Infettive e
Tropicali nonché in Igiene e Medicina Preventiva, per indicare piuttosto i
vaccinati, nella sua audizione presso la Commissione Affari Costituzionali del
Senato il 07/10/2021. Il professore infatti afferma: “La vaccinazione dei
lavoratori e degli studenti è non solo
pericolosa per i diretti interessati, ma addirittura controproducente per la
comunità, perché la persona vaccinata diventa un untore particolarmente
pericoloso per tanti motivi, ed in particolare: 1°. Perché elabora e diffonde
varianti non naturalmente adattate e quindi pericolose. 2°. Perché ciò avviene
con probabilità prossima al 100%, invece che di 1 su 18.000, com’è per il
poveretto che si infetta naturalmente. 3°. Perché nutre per se stesso e
condivide con gli altri un falso senso di sicurezza”. (cfr.: https://www.youtube.com/watch?v=V2T217KVhPQ. Inoltre: https://webtv.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/421/445/prof._Salmaso.pdf).
Tutte queste misure, dalla vaccinazione alla
carta verde o green pass, sono state varate dal governo per “favorire”
un’uscita dall’emergenza covid, che doveva durare fino al 31/12/2021. Nello
stesso mese di Dicembre 2021, il governo decide di prorogare il periodo di
emergenza fino a Marzo 2022. Stanzia 50 milioni di euro da destinarsi al
Commissario straordinario per l’attuazione ed il coordinamento e contrasto
dell’emergenza epidemiologica covid. Tale misura è contenuta nell’emendamento
alla legge di bilancio che il governo ha presentato nella commissione Bilancio
del Senato il 17/12/2021. Quindi, oltre
a non essere fuori dall’emergenza nonostante la strategia vaccinale, dei
controlli e delle limitazioni alle libertà personali (che non sono più un
diritto naturale) –creando oltretutto discriminazione fra popolazione vaccinata
e non-, si ammette implicitamente il fallimento di tale strategia univoca
adottata, quando si è a 42.879.423 di persone vaccinate con doppia dose (cfr.:
vaccinocovid.wired.it/?refresh_ce=).
Ma
c’è di più. Il 14/12/2021, il Ministero della Salute emana un’ordinanza
(pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 297 del 15/12/2021) nella quale si prevede
che tutti i cittadini UE che vogliano accedere al nostro territorio debbano
esibire, oltre alla certificazione verde, anche l’esito negativo di un tampone
molecolare. Nel caso di cittadini non
vaccinati, essi saranno comunque sottoposti ad isolamento fiduciario per cinque
giorni, nonostante un test molecolare negativo.
Se
analizziamo le disposizioni ministeriali a partire dalla loro razionalità,
dalla logica, dovremmo dire che si sconfessano in un colpo solo sia la validità
e l’efficacia dei vaccini (considerato che sono gli stessi in tutta l’UE e che
la somministrazione è uguale), ma anche quella del test molecolare (tampone).
Sui vaccini abbiamo già avuto modo di esporre i pareri di alcuni illustri
studiosi. Il dott. Domenico Mastrangelo, medico specialista in ematologia,
farmacologia clinica e oftalmologia, in una audizione in Commissione Affari
Costituzionali al Senato ha modo di affermare che il test impiegato per la
diagnosi di positività al Covid-19 (tampone) non permetterebbe di effettuare
una distinzione tra Sars-Cov-2 e gli altri virus responsabili delle malattie
respiratorie. In conseguenza, sarebbe stata realizzata una completa falsificazione
dei dati epidemiologici, con uno sproposito incremento dei numeri di casi di
Covid-19. Inoltre, evidenzia, come gli attuali tamponi saranno ritirati entro
il 31/12/2021 dalla FDA per i motivi sopra riportati, oltre a sottolineare che
in un Congresso dell’American Hard Association (dal 13 al 15 Novembre 2021) si
è dimostrato che il vaccino a mRNA somministrato ai bambini di 5 anni,
raddoppia il rischio di sviluppare la sindrome coronarica acuta (minore
afflusso di sangue al muscolo cardiaco, con conseguente infarto dei miocardio)
dopo la seconda dose.
La
risposta a questo monito è l’avvio della vaccinazione per i bambini in età
pediatrica.
Cosa
ci dice tutto ciò? Appare evidente che sull’argomento non ci sono i presupposti
di beneficità con cui dovrebbe agire
il medico; non è rispettata l’autonomia
della persona, perché siamo –di fatto- di fronte ad un obbligo vaccinale
surrettizio (se non ti vaccini non puoi lavorare, né partecipare alla vita
sociale); non vi è il rispetto del diritto naturale dell’uomo, ossia la libertà, condizionata dall’inoculazione
del siero, che ha anche una scadenza temporale, a seconda di quanto si ritenga
valida l’efficacia del siero.
Ed
allora ci troviamo nel paradigma personalista della bioetica, faticosamente
conquistato a partire dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri?
Appare
del tutto evidente un passo decisamente al contrario di diversi secoli; più che
essere nel paradigma personalista, siamo in quello paternalistico, sviluppatosi nell’antica Grecia e che si fonda
sull’etica aristotelica. Secondo quanto sviluppato da Aristotele nell’Etica Nicomachea (III, 5:114 a 25-30),
gli aristocratici, giovani e sani, devono prendersi cura degli altri, come un
padre si occupa del figlio. Ciò si riverbera nel rapporto medico-malato; ed
infatti per i medici greci, il malato è un in-firmus,
soggetto privo di forza, non solo fisica o biologica, ma anche morale, per cui
il medico lo tratterà come un bimbo piccolo, compiendo le funzioni di padre.
Tutto ciò è rilevabile anche negli scritti ippocratici: il medico deve volere
il maggior bene del malato, senza contare sulla sua volontà, visto che è
sprovvisto, per principio, di autonomia morale. Il medico ippocratico considera
i malati degli inabili morali, quindi come persone che non possono, né devono
decidere sulla propria malattia. Tale paternalismo
ha anche come suo principio distintivo: primum
non nocere, ossia –a partire dalle proprie conoscenze- non adottare
pratiche che possano produrre effetti nocivi sui malati. Un principio che resta
fondamentale anche nell’attuale formula dello stesso giuramento.
NOTA
BIBLIOGRAFICA
Oltre
ai testi citati direttamente nel testo, sono stati consultati:
D.
Gracia, Fondamenti di Bioetica, Cinisello Balsamo 1993
P.
Laín Entralgo, Primum non nocere: El
principio de no-maleficencia como fundamento de la ética médica (a
cura di D. Gracia), Madrid 1990
P.
Laín Entralgo, Sobre la amistad,
Madrid 1986
P.
Laín Entralgo, Antropología médica para
clínicos, Barcelona 1984. Sul web scaricabile all’indirizzo: file:///E:/Utente/Downloads/antropologia-medica-para-clinicos.pdf
P.
Laín Entralgo, La relación médico-enfermo : Historia y teoría, Madrid 1964. Sul web scaricabile
all’indirizzo: file:///E:/Utente/Downloads/la-relacion-medico-enfermo-historia-y-teoria.pdf
A. M.
Valli, Monsignor Viganò e Massimo Citro / Risposta all’articolo di Gwyneth A.
Spaeder, in: https://www.aldomariavalli.it/2021/12/28/monsignor-vigano-e-massimo-citro-risposta-allarticolo-di-gwyneth-a-spaeder/