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martedì 8 luglio 2014

Goletta verde: risultati monitoraggio acque

Ancora criticità alle foci dei fiumi Basento, Bufaloria e Sinni
Tre dei quattro punti monitorati da Goletta Verde sono risultati fuorilegge. Anche l’Ue bacchetta la Basilicata: 41 agglomerati urbani in procedura di infrazione per scarichi non depurati adeguatamente
Legambiente: “Sulla depurazione c’è ancora tanto da fare, ma i pericoli arrivano anche dagli attacchi del cemento alla costa. Alla Regione chiediamo di approvare un vincolo di inedificabilità di almeno un chilometro dal mare”
Trasformato irreversibilmente il 27% del paesaggio costiero

Ci sono ancora molte criticità sul fronte della depurazione in Basilicata: su quattro punti critici monitorati da Legambiente ben tre sono risultati fortemente inquinanti, evidenziando come le foci di alcuni fiumi continuano a sversare a mare carichi inquinanti che possono compromettere la qualità del mare lucano. Una criticità evidenziata anche dall’Unione europea che alla vigilia della stagione balneare ha avviato una nuova procedura di infrazione ai danni dell’Italia per la scarsa capacità depurativa che coinvolge ben 41 agglomerati urbani della Basilicata, per un totale di oltre 350mila abitanti equivalenti non serviti da un efficiente sistema depurativo. A preoccupare è però anche il rischio di compromettere l’immenso patrimonio costiero della regione, già trasformato inesorabilmente - secondo il dossier di Legambiente – del 27 per cento che ancora oggi presenta importanti caratteristiche di naturalità. Per questo da Goletta Verde arriva l’appello alla Regione non solo di risolvere al più presto le criticità del sistema depurativo, ma anche di fissare un vincolo di inedificabilità assoluta per tutte le aree costiere ancora libere dall'edificato di almeno 1 chilometro dal mare e approvare un Piano paesaggistico che stralci le previsioni edificatorie previste lungo la costa.
È questa la fotografia scattata dalla celebre campagna di Legambiente dedicata al monitoraggio ed all’informazione sullo stato di salute delle coste e delle acque italiane, realizzata anche grazie al contributo del COOU, Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati, che ha fatto tappa in Basilicata. L’istantanea regionale sulle acque costiere dell’equipe tecnica della Goletta Verde è stata presentata questa mattina, in conferenza stampa a Maratea da Serena Carpentieri, portavoce di Goletta Verde, Marco De Biasi, presidente di Legambiente Basilicata e Valeria Tempone, Legambiente Basilicata. Nel corso dell’incontro è stato presentato anche il dossier “La costa lucana, da Metaponto a Maratea: l'aggressione del cemento e i cambiamenti del paesaggio”.
L’obiettivo del monitoraggio di Goletta Verde è quello di individuare i punti critici di una regione, analizzando il carico batterico che arriva in mare. Anche nel caso della Basilicata, dunque, l’attenzione è stata focalizzata soprattutto alle foci e in tratti “sospetti” segnalati dai cittadini, attraverso il servizio SOS Goletta (www.legambiente.it/sosgoletta). Legambiente, è bene ribadirlo effettua un’istantanea che non vuole sostituirsi ai monitoraggi ufficiali e non assegna patenti di balneabilità. È evidente, però, che i punti critici evidenziati dai nostri monitoraggi meritano un approfondimento da parte degli enti competenti.
“Il nostro Paese vive un vero e proprio deficit depurativo, basti pensare che gli scarichi del 22% della popolazione italiana non vengono correttamente depurati e rischiano di provocare l’inquinamento del mare, dei fiumi e dei laghi afferma Serena Carpentieri, portavoce di Goletta Verde-. L’insufficiente depurazione è purtroppo un problema che non risparmia neanche la Basilicata, come dimostrano i dati di Goletta Verde ma soprattutto così come ci dice anche l’Unione Europea che ha inserito ben 41 agglomerati urbani della Basilicata nella nuova procedura di infrazione per il mancato adeguamento alla direttiva sul trattamento dei reflui che ha colpito l’Italia nei mesi scorsi. Questi agglomerati risultano non conformi all’art.4 in quanto non è stato dimostrato che tutto il carico generato riceve un adeguato trattamento secondario. E di questo siamo preoccupati, da un lato per le salate multe che potrebbero incombere su questa regione e dall’altro perché si rischia di non tutelare a sufficienza territorio meraviglioso che fa del turismo e della sostenibilità una carta vincente per superare la crisi. Ci auguriamo, quindi, che le nostre indagini possano servire da approfondimento e che gli enti preposti, Regioni e Amministrazioni comunali possano dare priorità politica e di intervento al miglioramento del sistema depurativo”.

I prelievi e le analisi di Goletta Verde sono stati eseguiti dal laboratorio mobile di Legambiente il 21 e 23 giugno scorso. I parametri indagati sono microbiologici (enterococchi intestinali, Escherichia coli) e vengono considerati come “inquinati” i risultati che superano i valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia (Dlgs 116/2008 e decreto attuativo del 30 marzo 2010) e “fortemente inquinati” quelli che superano di più del doppio tali valori.
Secondo i monitoraggi di Goletta Verde è risultato “fortemente inquinato” il prelievo effettuato alla foce del fiume Basento, in località Torre a Mare di Metaponto. Un corso d’acqua già fortemente stressato dai carichi inquinanti industriali che riceve nell’ultimo tratto del suo corso che Goletta non analizza, ma che certo non contribuiscono a migliorare lo stato di salute del fiume.
Giudicate "inquinate", invece, le acque campionate a Scansano Jonico (alla foce del canale della Bufaloria a Lido Torre) e a Policoro (alla foce del fiume Sinni, nella zona industriale). Entro i limiti è risultato soltanto il campionamento effettuato a Marina di Maratea (spiaggia nei pressi della stazione).
Oltre al problema della depurazione Legambiente chiede di prestare maggiore attenzione anche all’aggressione del consumo di suolo costiero.
“Per la costa tirrenica, già tutelata dal Sic e per la quale si attende ancora l’istituzione dell’Area marina protetta, e per tutto l’arco ionico è prioritaria la necessità di intervenire con provvedimenti di tutela che evitino l’ampliamento dei centri esistenti verso il mare o la creazione di nuovi complessi – dichiara Marco De Biasi, presidente di Legambiente Basilicata - e di aprire un ragionamento che guardi al futuro risulta fondamentale per la costa lucana. Per questo alla Regione chiediamo di fissare un vincolo di inedificabilità assoluta per tutte le aree costiere ancora libere dall'edificato di almeno 1 chilometro dal mare, e di tutelare il territorio agricolo alle spalle della Pineta nella costa Jonica, attraverso l'approvazione di un piano paesaggistico delle aree costiere con una norma che intervenga anche nei confronti dei piani regolatori vigenti per stralciarne le previsioni edificatorie. Si tratterebbe di una chiara indicazione di tutela che è la precondizione per ragionare in maniera trasparente e condivisa di interventi di riqualificazione delle parti costruite, per valorizzarne le potenzialità turistiche, attraverso interventi che intervengano sulla messa in sicurezza statico, sull’efficienza energetica, sulla qualità ambientale”.
Lo studio di Legambiente, dedicato alla trasformazione del paesaggio costiero lucano, ha analizzato i 70,4 chilometri di coste, divisi tra litorale ionico e tirrenico (rispettivamente di 43 e 27,4 chilometri) e mette in evidenza come il 27% risulta trasformata da usi urbani e infrastrutturali. Più precisamente sono 7,4 i chilometri occupati da tessuti urbani poco densi, 45 chilometri di costa risultano con caratteri naturali e 5,7 chilometri si possono considerare paesaggi. A questa prima analisi si è aggiunta una seconda indagine, riguardante la morfologia della linea di costa: sono 44 i chilometri di spiaggia, mentre 19 sono i chilometri di costa rocciosa, 7,4 i chilometri di costa sono stati trasformati, in maniera irreversibile, con banchine e riempimenti legati agli usi portuali. Grazie allo studio di Legambiente è stato fatto un confronto con quella che era l'occupazione della costa nel 1988. Sovrapponendo le foto satellitari è stato possibile misurare il consumo di costa negli anni intercorrenti tra il 1988 e il 2011: dall'analisi si evince che in questo lasso temporale alcuni centri, come Acquafredda e Marina di Maratea sulla costa tirrenica, sono cresciuti sensibilmente come densità e il porto di Maratea ha visto la trasformazione del suo molo principale. Lungo la costa Jonica di rilevante c’è la costruzione del porto e dell’insediamento turistico di Marinagri, e di tre complessi turistici immediatamente alle spalle della pineta che occupano complessivamente oltre 76 ettari.
Lo studio ha, inoltre, evidenziato che il 25% della costa risulta sotto tutela ambientale. Lungo la costa ionica, neanche la presenza di una vasta fascia di pineta tutelata come Sito d’interesse comunitario (Sic), della Riserva Naturale di Metaponto e della Riserva Regionale tra Policoro e la foce del fiume Sinni, è riuscita a scongiurare interventi edilizi consistenti nel tratto più prossimo al mare come in tutta la fascia alle spalle della pineta e intorno ai fiumi.
Anche quest’anno il Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati, che da 30 anni si occupa della raccolta e del riciclo dell’olio lubrificante usato su tutto il territorio nazionale, è main partner della storica campagna estiva di Legambiente. “La difesa dell’ambiente, e del mare in particolare, rappresenta uno dei capisaldi della nostra azione”, spiega Antonio Mastrostefano, direttore della Comunicazione del COOU. L’olio usato si recupera alla fine del ciclo di vita dei lubrificanti nei macchinari industriali, ma anche nelle automobili, nelle barche e nei mezzi agricoli di ciascun cittadino. “Se eliminato in modo scorretto questo rifiuto pericoloso può danneggiare l’ambiente in modo gravissimo: 4 chili di olio usato, il cambio di un’auto, se versati in mare inquinano una superficie grande come sei piscine olimpiche”. A contatto con l’acqua, l’olio lubrificante usato crea una patina sottile che impedisce alla flora e alla fauna sottostante di respirare. Lo scorso anno in Basilicata il COOU ha raccolto 1.049 tonnellate di olio usato – 664 in provincia di Potenza e 385 in provincia di Matera - evitandone così lo sversamento nell’ambiente.
I RISULTATI DELLE ANALISI DI GOLETTA VERDE DEL MARE IN BASILICATA*
*prelievi effettuati tra 21 e il 23 giugno 2014
PROVINCIA
COMUNE
LOCALITÀ
PUNTO
GIUDIZIO
POTENZA
Maratea
Marina di Maratea
Spiaggia pressi stazione di Marina di Maratea - fine via Calaficarra
Entro i Limiti
MATERA
Metaponto
Torre a Mare
Foce del fiume Basento
Fortemente Inquinato
MATERA
Scansano Jonico
Lido Torre
Foce del canale della Bufaloria
Inquinato
MATERA
Policoro
Zona industriale
Foce del fiume Sinni
Inquinato
Il Monitoraggio scientifico
I prelievi e le analisi di Goletta Verde vengono eseguiti dal laboratorio mobile di Legambiente che anticipa il viaggio dell’imbarcazione a bordo di un laboratorio mobile attrezzato. I campioni per le analisi microbiologiche sono prelevati in barattoli sterili e conservati in frigorifero, fino al momento dell’analisi, che avviene nel laboratorio mobile lo stesso giorno di campionamento o comunque entro le 24 ore dal prelievo. I parametri indagati sono microbiologici (enterococchi intestinali, escherichia coli) e chimico-fisici (temperatura dell’acqua, pH, ossigeno disciolto, conducibilità / salinità). Le analisi chimiche vengono effettuate direttamente in situ con l’ausilio di strumentazione da campo.
Il numero dei campionamenti effettuati viene definito in proporzione ai chilometri di costa di ogni regione.
LEGENDA
Facendo riferimento ai valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia (Dlgs 116/2008 e decreto attuativo del 30 marzo 2010) i giudizi si esprimono sulla base dello schema seguente:
INQUINATO = Enterococchi intestinali maggiori di 200 UFC/100 ml e/o Escherichia Coli maggiori di 500 UFC/100ml
FORTEMENTE INQUINATO = Enterococchi intestinali maggiori di 400 UFC/100 ml e/o Escherichia Coli maggiori di 1000 UFC/100 ml
Su www.legambiente.it/golettaverde sezione Analisi è possibile visualizzare la mappa interattiva del monitoraggio, con i punti di campionamento e i risultati delle analisi. Il dossier è disponibile a questo link: http://www.legambiente.it/contenuti/dossier/il-consumo-di-suolo-nelle-aree-costiere-della-basilicata
il link diretto al dossier
http://www.legambiente.it/sites/default/files/docs/consumo-suolo-basilicata.pdf

(D. P.)

sabato 5 luglio 2014

Dossier Mare Monstrum


Bandiera Nera al Ministro Guidi per le perforazioni in mare Legambiente Basilicata: “Il mare lucano messo in pericolo come il resto del territorio della nostra regione. Pittella superi la logica della mera compensazione a discapito dell’energia pulita, del turismo sostenibile e dell’agricoltura”. Salpa la Goletta Verde per proteggere il nostro ecosistema marino Il 4 e il 5 Luglio tappa a Maratea Il 25 giugno inizierà il viaggio della Goletta dei laghi Si concluderà in Basilicata il 31 luglio al Pertusillo C’è anche il Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi tra gli assegnatari delle 5 bandiere nere che Legambiente ha assegnato quest’anno per i progetti o le iniziative ai danni del mare. Alla Guidi il demerito di aver rilanciato le estrazioni petrolifere nel mare italiano. Nelle ultime settimane, infatti, il ministro è tornata più volte sulla necessità di puntare sui giacimenti di petrolio nazionale e di sbloccare le attività estrattive, tra cui le numerose richieste off-shore che oggi attendono di andare avanti. Prima ancora che le gravi conseguenze ambientali che un’attività di questo tipo in caso di incidente può causare nel bacino del Mediterraneo, è lo stesso ministero, con i dati che pubblica annualmente sulle riserve certe di petrolio, a smentire l’efficacia di questa strategia. Le quantità stimate sotto il mare italiano sono di appena 10 milioni di tonnellate e, stando ai consumi attuali, si esaurirebbero in soli due mesi. Continuare a rilanciare l’estrazione di idrocarburi nel mare Adriatico, nello Ionio, nel Canale di Sicilia e, più in generale, nel Mediterraneo, è solo il risultato di una strategia insensata che non garantisce nessun futuro energetico per il nostro Paese. Un discorso che, tra l’altro, per la Basilicata riguarda purtroppo l’intero territorio e non solo il mare e rispetto al quale non solo continuiamo a dichiararci contrari ma a chiedere al presidente Pittella risposte chiare e posizioni precise. Deve cambiare l’agenda politica dell’attuale governo regionale che individua nel petrolio una risorsa per lo sviluppo della nostra regione, secondo una logica di compensazione che guarda al mero aspetto economico, ai danni dell’energia pulita, del turismo sostenibile e dell’agricoltura. L’assegnazione arriva in occasione della partenza di Goletta Verde e della presentazione del Dossier Mare Monstrum. Tra mare e costa, nel 2013 forze dell’ordine e capitanerie di porto hanno accertato quasi 40 infrazioni al giorno, per l’esattezza 14.504. La pesca di frodo rappresenta il 42% di questa illegalità; le forze dell’ordine hanno sequestrato di più di 1 milione e 600 mila chilogrammi di pescato e le regioni più coinvolte sono Puglia, Campania, Sicilia, Calabria e Veneto. Più del 22% dei reati (3.264) riguarda, invece, lo scarico abusivo in mare per colpa di mala depurazione e scarichi fognari e per lo sversamento di idrocarburi. Quasi il 19% (2.742 reati) è stato registrato nel campo della violazione del codice della navigazione e il 16,6% nel ciclo del cemento, con la bellezza di 2.412 reati messi a verbale. Questi dati, contenuti nel dossier di Legambiente Mare Monstrum 2014, confermano l’aumento del numero di reati che è stato costante negli ultimi 4 anni. Rispetto al 2012 si registra un incremento complessivo del 7,3%, mentre l’aumento più significativo di reati si è riscontrato nel settore della depurazione con un’impennata del 26%. L’unica eccezione riguarda il ciclo illegale del cemento, calato del 15,8%, ma che registra la cifra più alta del business del “mare illegale”, oltre 266 milioni di euro, su un totale di quasi mezzo miliardo di euro accumulato commettendo eco-crimini fra mare e terraferma. E per completare il quadro del “mare inquinato”, occorre sottolineare ancora una volta i problemi strutturali del sistema di depurazione in Italia, che copre solo il 78,5% della popolazione. Un dato decisamente troppo basso rispetto agli obiettivi europei, che, dopo due sentenze di condanna già pervenute, ci è valso nel 2014 l’apertura della terza procedura d’infrazione per il mancato rispetto della direttiva europea del 1991 sul trattamento delle acque reflue urbane. Per questo, la Goletta Verde di Legambiente effettuerà un monitoraggio di 200 punti critici legati a problemi di depurazione. La storica imbarcazione, con il laboratorio mobile che la accompagna via terra, farà 32 tappe lungo la costa, svolgendo sui campioni d’acqua prelevati le analisi previste dalla legge e fornendo i risultati in tempo reale, ma si occuperà anche di consumo di suolo costiero e di trivellazioni offshore. Il giro si concluderà il 14 agosto in Friuli Venezia Giulia. In Basilicata la Goletta farà tappa a Maratea il 4 e 5 luglio prossimi. Del monitoraggio degli ambienti lacustri e del danno rappresentato anche in questo caso da abusivismo e illegalità di vario genere si occuperà invece la campagna di Legambiente Goletta dei laghi che partirà il 25 giugno dal Lago d’Iseo. Farà 11 tappe e si concluderà in Basilicata il 31 luglio sul Pertusillo. Attraverso un attento monitoraggio scientifico, anche in questo caso l’obiettivo del viaggio è quello di informare e sensibilizzare i cittadini sui rischi legati agli scarichi inquinanti e sull’importanza di proteggere la biodiversità e l’equilibrio degli ecosistemi dalle aggressioni dell’abusivismo e dell’incuria. Molti laghi italiani infatti sono minacciati da inquinamento, cattiva depurazione, captazioni eccessive, consumo di suolo e sovrasfruttamento. Anche la Goletta dei laghi è realizzata grazie alla collaborazione di COOU (main partner), di Novamont e di Nau! (partner tecnici). Cittadini e turisti possono inviare le loro segnalazioni sull’inquinamento del mare e dei laghi a SOS Goletta scrivendo a sosgoletta@legambiente.it o mandando un sms al 346.007.4114 http://www.legambiente.it/golettaverde http://www.legambiente.it/contenuti/articoli/goletta-dei-laghi-2014

http://www.legambiente.it/golettaverde

http://www.legambiente.it/contenuti/articoli/goletta-dei-laghi-2014

(D.P.)

lunedì 23 giugno 2014

25 mila litri di petrolio sversati, il TAR condanna Eni alla bonifica


Vecchie grane ritornano. A volte.
Nell’ormai lontano anno 2000 e precisamente il 21 Gennaio, lungo la strada provinciale n.54, al km. 1,600 si verificava un grave incidente stradale che vedeva coinvolte due autocisterne che trasportavano petrolio greggio dal pozzo petrolifero Monte Enoc alla raffineria Agip di Taranto. Le vetture circolavano in senso opposto di marcia ed una delle due era a pieno carico, il che significa che a causa dell’urto occorso durante il sinistro si verificava lo sversamento di ben 25 mila litri di petrolio sulla strada e sui terreni circostanti. Il caso volle che il liquame sversato contaminasse anche un pozzo di acqua sorgiva e la falda sottostante, come si apprende anche nella sentenza del Tar n.400 di pochi giorni fa inerente alla controversia sorta sulla vicenda.
Parti in causa, ovviamente, erano l’Eni e ed il Comune di Viggiano, il quale aveva emanato un’ordinanza (la n.5 del 22/1/2000) che intimava alla compagnia petrolifera “l’intervento e la bonifica di un sito interessato da un incidente stradale di due autobotti”. L’Eni proprio non ci stava e alla fine è intervenuto il TAR Basilicata, riconoscendo l’Eni tutt’altro che estranea ai fatti, così come si è sempre dichiarata la compagnia, ed accertandone giudizialmente la responsabilità, in solido con il consorzio che all’epoca dei fatti si occupava del trasporto. “Unici soggetti cui potrebbe ascriversi la responsabilità per l’incidente”, si legge nella sentenza, “in considerazione del fatto che il petrolio sversato era di proprietà dell’Agip e veniva trasportato dal pozzo sito in Val d’Agri alla Raffineria Agip di Taranto”. A ciò si aggiunga – viene precisato nella sentenza succitata -  “il rapporto sussistente fra l’Agip ed il Superconsorzio Trasporti Lucani (al quale appartenevano le autocisterne coinvolte nell’incidente) era dettagliatamente disciplinato da un accordo con relative condizioni generali che prevedeva che il vettore avrebbe risposto in proprio di qualsiasi perdita, mancanza o alterazione della merce trasportata e di qualsiasi danno e spesa che possa arrecare a cose e/o persone oltre che durante il viaggio anche durante lo scarico presso il destinatario della merce (art. 8)”.
Rimboccatevi le maniche dunque!
(Ilda)

giovedì 19 giugno 2014

Miasmi e proteste della popolazione di Pisticci Scalo



Da giorni ormai vanno avanti polemiche e proteste per i miasmi avvertiti in prossimità del Tecnoparco sito in Valbasento, un parco industriale che si sviluppa su di una superficie di 500.000 m² e che produce e distribuisce energia elettrica, termica, gas tecnici e acque industriali per le aziende. Dopo molteplici lamentele rimaste inascoltate, è scattato il sit-in della popolazione di Pisticci Scalo intorno alle 23.30 di lunedì: le persone hanno bloccato un’autocisterna proveniente dal Centro Oli di Viggiano, in procinto di sversare i fanghi di scarto delle estrazioni petrolifere nel Tecnoparco. Sul luogo, a protesta iniziata, è sopraggiunto anche il sindaco, Vito Di Trani, che ha sottolineato il grave problema dei miasmi del Tecnoparco ed ha aggiunto che la Regione  Basilicata “è la grande assente in questa vicenda”. I residenti hanno posizionato di traverso alcune vetture ed un camion al fine di non consentire l'accesso ai mezzi. Per altro, sul luogo erano presenti anche alcuni amministratori comunali dei comuni limitrofi e da Potenza. I tecnici dell’Arpab, richiamati e coinvolti dalla gente infuriata, sono intervenuti effettuando un monitoraggio dell'aria per rilevare i composti organici volatili da cui emergeva che verso mezzanotte si era registrato già un picco strumentale. All’una i tre tecnici  sono saliti a bordo di una Jeep assieme al sindaco Di Trani, all'assessore all'Ambiente, Pasquale Grieco, e al responsabile dell'Area Ambiente di Tecnoparco, Scarcelli per  effettuare prelievi presso la vasca "S41", quella incriminata. Alle 4 notte il blocco dei camion è stato sospeso ed il sindaco ha rimandato qualsiasi decisione al momento in cui riceverà la relazione tecnica, elaborata dai tecnici Arpab. Le rilevazioni, alla fine, hanno però riguardato esclusivamente i composti organici volatili (Voc) nell'aria e non le acque della vasca S41… perchè impraticabile al buio! La qual cosa ha lasciato molti perplessi, poiché se vi fosse una contaminazione del terreno e delle falde acquifere sottostanti, sarebbe doveroso almeno appurare di che sostanze si tratti. In pratica, non conosciamo il contenuto della vasca in questione. Il picco di Voc, ad ogni modo, si è registrato nei pressi della vasca S25B, con valori intorno ai 4.000 Ppb. La stessa “impronta odorigena” è stata ritrovata anche sulla Pista Mattei e nel quartiere residenziale, ma il tecnico dell'Arpab ha sottolineato come questi ultimi valori non siano da considerarsi attendibili, a causa dell'effetto memoria dello strumento dovuto all'elevata concentrazione misurata precedentemente. Ma la gente  non ci sta. E continuano le proteste. Soprattutto alla luce degli ultimi accadimenti giudiziari: nel 2010, infatti, vi è stata la famigerata inchiesta sullo smaltimento illegale di rifiuti  che ha portato all’emanazione di ben 11 avvisi di garanzia! Il sospetto degli inquirenti dell’Antimafia lucana è che per circa tre anni e mezzo l’Eni avrebbe smaltito i rifiuti prodotti dal Centro Oli di Viggiano in maniera illegale, grazie alla complicità di alcuni imprenditori locali, dei vertici di Confindustria Basilicata e di Sorgenia, la società energetica del gruppo De Benedetti.  Si analizza, pertanto, il tipo di trattamento effettuato e i cosiddetti codici-rifiuto assegnati ai liquami (in gergo definite “acque di produzione” dai processi estrattivi ndr) in partenza quotidianamente da Viggiano e destinati proprio all’impianto Tecnoparco di Pisticci scalo, dove vengono sottoposti ad alcuni trattamenti prima di finire nel fiume Basento.
Pisticci Scalo non ci sta più però. Si chiede l’intervento delle autorità, analisi imparziali, veritiere ed accurato, nonché uno screening medico di tutta la popolazione. Rimaniamo in attesa di ulteriori sviluppi.
(Ilda)

mercoledì 21 maggio 2014

L'oro nero non ci porta ricchezza!

La Basilicata viene vista, oramai, sempre più come un territorio da sfruttare, prosciugare, trivellare, fino all’ultima goccia di idrocarburi disponibile. Il tutto senza rispetto per l’ambiente circostante né tantomeno per gli sfortunati abitanti dei comuni in cui le multinazionali estraggono.
Il colpo di grazia lo ha dato anche l’ex premier Romano Prodi, in una recente (ed inquietante) dichiarazione rilasciata durante un’intervista al Messaggero, in cui proponeva di avviare un enorme programma di sfruttamento intensivo delle (reali o presunte) riserve di gas e di petrolio italiane. Precisamente, la proposta era che l'Italia si unisse al programma di ricerca del petrolio in Adriatico avviato di recente dalla Croazia: “Se non ci uniamo alle trivellazioni, finiremo per avere gli svantaggi del progetto croato”, afferma il professore, ovvero ci ritroveremmo ad avere i pozzi di fronte alle nostre coste senza averne i benefici, cioè la supposta ricchezza che quei barili di greggio dovrebbero creare. Ma quali sono le mire delle multinazionali nel Belpaese? I mari della Sardegna, le montagne e le valli della Basilicata (Val d’Agri e dintorni), la Valle dei Templi di Agrigento, lo Ionio (proprio a ridosso delle coste ci sarebbero “interessanti sacche di idrocarburi”) e le vaste e fertili pianure dell'Emilia. E poi l'Adriatico, da Venezia sin giù alle coste della Puglia.
Queste zone, tra le più belle d'Italia, farebbero alle multinazionali dell'energia perché sarebbero tutte “ricche di gas e petrolio da estrarre”.
Ma chi trarrebbe ricchezza da tutta questa attività estrattiva? Davvero il nostro Paese potrebbe risollevarsi dalla crisi grazie ad una intensa attività estrattiva, come diceva il professore?
Di certo in Basilicata non è stato così! E i numeri parlano chiaro.
Nonostante il petrolio, la Basilicata è la regione più povera d'Italia: dati Istat 2010. Ed ha una percentuale di morti per tumore più alta della media nazionale: dati dell'Associazione Italiana Registro Tumori!
Ma vi è di più: il tasso di disoccupazione è costantemente in crescita, secondo i dati Cgil: “Nella sola Val d'Agri (dove è più intensa l'attività dei petrolieri) ci sono 8 mila persone tra disoccupati e inoccupati”. Senza contare che la nostra regione ha oltre 400 siti contaminati dalle attività estrattive: dati della Commissione Bicamerale sul Ciclo dei rifiuti.
Come se non bastasse, chi denuncia va in galera!
Giuseppe Di Bello, tenente della Polizia Provinciale di Potenza che aveva segnalato una massiccia presenza di idrocarburi nelle acque del lago del Pertusillo, a due passi dal Centro Oli Eni a Viggiano, è stato sospeso dal servizio, dalla paga e dai pubblici uffici per due mesi, sottoposto a un processo e spostato a guardare le statue in un museo. Stesso dicasi per il giornalista e coordinatore dei Radicali lucani Maurizio Bolognetti. E intanto, nel lago del Pertusillo i pesci continuano a morire e l’acqua di molti invasi e falde risulta contaminata da liquami di scarto ed idrocarburi. Nella sola Val d'Agri ci sono 39 pozzi, alcuni a pochi metri da una scuola materna, uno addirittura che sovrasta un municipio. “Sono stati trovati 6458 microgrammi/litro di idrocarburi in tre punti in cui il lago che porta acqua potabile nei rubinetti di Puglia e Basilicata è stato analizzato” denuncia Albina Colella, geologa e sedimentologa dell'Università degli Studi della Basilicata. “Su undici campioni di sedimenti, ben sette avevano presenza di idrocarburi superiori al limite di riferimento”. Ma non basta: uno studio dell’Università della Basilicata (Dipartimento di Chimica) ha rilevato tracce di idrocarburi in diversi campioni di miele prodotto a Corleto Perticara e in Val d’Agri dove l’attività di estrazione del petrolio da parte di Eni procede senza sosta, dopo che l’anno scorso il centro olio di Viggiano ha ottenuto tutte le autorizzazioni per la messa in funzione della quarta linea.
E oltre al danno ambientale si aggiunge la minaccia delle tecniche estrattive adoperate per la ricerca di idrocarburi: il famigerato fracking. Il cosiddetto “Hydraulic Fracturing” o più semplicemente fracking consiste nella fratturazione idraulica ottenuta mediante la pressione di un fluido per creare e poi propagare una frattura in uno strato roccioso nel sottosuolo. La fatturazione viene eseguita dopo una trivellazione entro una formazione di roccia contenente idrocarburi, per aumentarne la permeabilità al fine di migliorare la produzione del petrolio o del gas da argille contenuti nel giacimento e incrementarne il tasso di recupero. Da notare che la fratturazione idraulica è sotto monitoraggio a livello internazionale a causa di preoccupazioni per i rischi di contaminazione chimica delle acque sotterranee e dell'aria. In alcuni paesi l'uso di questa tecnica è stata sospesa o addirittura vietata. Le tecniche di microfratturazione idraulica del sedimento possono, in taluni casi, generare una micro-sismicità indotta e molto localizzata. L'intensità di questi micro-terremoti è di solito piuttosto limitata, ma ci possono essere problemi locali di stabilità del terreno proprio quando i sedimenti sono superficiali. Sono stati comunque registrati alcuni terremoti probabilmente indotti superiori al 5º grado della Scala Richter. Ad esempio nel Rocky Mountain Arsenal, vicino a Denver in Colorado, nel 1967, dopo l'iniezione di oltre 17 milioni di litri al mese di liquidi di scarto a 3.670 metri di profondità, furono registrate una serie di scosse indotte localizzate nell'area, con una punta massima di magnitudo compresa fra 5 e 5,5. E noi siamo una regione ad alto rischio sismico.
Meditate gente, meditate.

(Ilda)

lunedì 7 aprile 2014

L’amianto, un pericolo per la salute pubblica

Pericolo amianto. Un problema di cui si discute da anni e che rappresenta un elemento dannoso per la salute umana sottoposta all’esposizione a fibre di asbesto, termine scientifico che comporta azioni lesive di tipo sclerogeno a carico polmonare, fibrosi, che si caratterizza sulla base di dispnea, rantoli crepitanti basilari, presenza di amianto nell’espettorato, alterazioni della funzione respiratoria sotto forma di sindrome disventilatoria restrittiva e di una caduta della capacità di diffusione alveolo-capilare. A sottolinearlo fu già qualche anno fa il dottor Antonio Martemucci, dirigente medico dell’Asl di Matera, secondo il quale l’enorme mole legislativa varata ebbe, soprattutto sull’opinione pubblica, un impatto traumatico che provocò allarmismo sulle proprietà stesse del minerale. L’amianto, evidenziava Martemucci, è una struttura fibrosa dotata di notevole resistenza al calore e all’azione degli acidi. Del minerale si conoscono due gruppi: il serpentino (crisotilo) e l’anfibolo (amosite, antofillite, tremolite, actinolite e crocido lite, quest’ultimo è tra i più nocivi). Il processo lesivo è dato dalla lunghezza della fibra, quella più nociva è più lunga di cinque micron, e dalla sua concentrazione nell’aria respirata. Le fibre diritte riescono più facilmente a penetrare nelle vie aree più profonde, mentre quelle con un rapporto lunghezza-diametro superiore ai tre micron sono in grado di raggiungere anche la pleura, sviluppando il mesotelioma (neoplasia). Il periodo di incubazione varia tra i venti e i quarant’anni. Con le iniziative intraprese a protezione della popolazione si può ritenere che l’incidenza si sia ridotta notevolmente. In passato l’amianto veniva utilizzato come coibentante nell’edilizia, nella realizzazione di pannelli isolanti, nei pavimenti, nelle mattonelle viniliche, guarnizioni, sigillanti, funi e altro ancora. Nell’ambiente urbano, invece, la dispersione delle fibre proveniva anche dall’attrito di freni e frizioni che in passato venivano realizzati in amianto. Secondo il medico materano il rischio per la popolazione di contrarre il tumore pleurico è stimato in un caso su centomila all’anno a fronte dei circa 25 mila casi su 100 mila all’anno che muoiono per neoplasia da fumo di sigaretta. In ogni caso occorre prendere decisioni fattive per rimuovere l’amianto dai nostri edifici, chiamando ditte specializzate, pena la denuncia all’Asp o alla Procura della Repubblica.
(Aloisio)