di Jason Burke
Dal quotidiano britannico The Guardian
È stata una vendetta? La prova dell’esistenza di una
nuova cellula terroristica e dell’incompetenza dei servizi di sicurezza belgi?
Un segno che la rete di Salah Abdeslam, responsabile logistico degli attentati
a Parigi dello scorso anno e arrestato a Bruxelles venerdì 18 marzo, è ancora
attiva? Oppure, data la scarsità di dettagli sugli eventi di questa mattina,
nessuna di queste ipotesi è plausibile?
Gli attentati di Bruxelles evidenziano alcuni punti
fondamentali.
Il primo è che, come è ovvio, la minaccia jihadista in
Europa può diminuire o crescere, ma non scompare solo perché un singolo
esponente è stato arrestato, per quanto attesa fosse la sua cattura.
“L’importante colpo” inferto venerdì, come lo hanno definito vari politici di
spicco, adesso appare meno importante.
Il secondo punto è che sia i terroristi sia quelli che
tentano di fermarli cercano di mantenere l’iniziativa. La cosa ha degli aspetti
pratici e psicologici. Le agenzie di controterrorismo cercano di ottenere
informazioni abbastanza velocemente da poter organizzare dei blitz e
neutralizzare i sospetti prima che abbiano il tempo di capire chi di loro è
stato catturato e chi potrebbe aver parlato, e ovviamente anche prima che
possano pianificare un nuovo attacco. Le reti terroristiche si disgregano
facilmente se sottoposte a una simile pressione costante, come è stato mostrato
in Iraq a metà del decennio scorso.
Per i terroristi, l’obiettivo è mostrare di essere
ancora in grado di terrorizzare, agire rapidamente e radicalizzare lo scontro
grazie alla violenza. Non si tratta tanto di vendetta, ma più semplicemente di
dimostrare che la loro capacità di colpire è intatta. Come se volessero dire:
siamo stati colpiti, ma ci siamo ancora.
Una rete organizzata
Il ministro degli esteri belga, Didier Reynders, ha
dichiarato domenica che Abdeslam ha detto agli inquirenti che stava
pianificando un nuovo attacco nella capitale: “Era pronto a organizzare
qualcosa di nuovo a Bruxelles, e potrebbe essere vero poiché abbiamo trovato
moltissime armi, armi pesanti, nelle prime indagini, e abbiamo anche scoperto
una nuova rete intorno a lui a Bruxelles”, ha spiegato Reynders.
Questa rete potrebbe essere riuscita ad agire prima di
venire smantellata dai servizi di sicurezza. È possibile che includesse due
altri uomini sospettati di aver avuto un ruolo centrale negli attentati di
Parigi e che sono in fuga da novembre.
Mohamed Abrini, 31 anni, un belga di origini
marocchine, è scomparso dopo aver avuto un ruolo apparentemente fondamentale
nella pianificazione e nella logistica degli attentati di novembre. È un amico
d’infanzia di Abdeslam – le loro famiglie erano vicine di casa nel quartiere di
Molenbeek, a Bruxelles, da dove provenivano molti degli attentatori di Parigi –
e nel suo mandato d’arresto internazionale di quattro mesi fa era descritto
come “pericoloso e probabilmente armato”.
La polizia sta anche cercando un sospetto noto solo
con lo pseudonimo di Soufiane Kayal. L’uomo ha presentato documenti falsi con
quel nome quando è stato controllato alla frontiera tra Austria e Ungheria il 9
settembre. Stava viaggiando con Abdeslam e Mohamed Belkaïd, un algerino di 35
anni ucciso il 15 marzo durante il blitz della polizia a Bruxelles. I tre
uomini si erano finti turisti diretti a Vienna per vacanza e non avevano
sollevato sospetti.
Questa è la realtà dell’estremismo islamico
contemporaneo in Europa. Non si tratta di cani sciolti.
Ma la rete include sicuramente molti altri. È chiaro
dal tempo trascorso in fuga da Abdeslam che l’uomo ha ricevuto il sostegno di
decine di persone, se non di più. Questa è la realtà dell’estremismo islamico
contemporaneo in Europa. Non si tratta di cani sciolti o di attori solitari
bensì di un piccolo ma significativo numero di persone inserite in comunità o
quartieri più ampi.
Queste persone condividono le opinioni estremiste
degli attentatori o, quantomeno, sono pronti ad aiutarli per amicizia, vincoli
familiari o entrambe le cose. Alcuni studi hanno mostrato che moltissimi attentatori
accennano ai loro piani con le persone appartenenti ai loro circoli sociali
ristretti.
Alcune di loro si rivolgono alla polizia. Secondo la
stampa francese, sarebbe stata una soffiata giunta dall’interno della comunità
ad aver condotto le forze di sicurezza ad Abdeslam la scorsa settimana. Altre
invece scelgono di tacere.
Uno dei problemi dei servizi di sicurezza è che gli
individui che hanno aiutato gli attentatori senza commettere personalmente
azioni violente possono trasformarsi, facilmente e velocemente, in kamikaze o
terroristi in alcune circostanze, come l’arresto di una personalità importante
della rete o della famiglia o nel caso di ordini provenienti da dirigenti più
importanti, magari dall’estero.
Nonostante la visione globale degli ideologi
estremisti e la dimensione internazionale attribuita a gruppi come lo Stato
islamico o Al Qaeda, questo terrorismo è soprattutto locale.
Negli ultimi decenni, quasi tutti gli attentati in
Europa sono stati compiuti da persone del posto che hanno attaccato obiettivi
locali con materiali e armi ottenuti localmente. È probabile che sia andata
così anche nel caso degli attentati di Bruxelles.
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