venerdì 25 marzo 2016

Anarchismo e marxismo: idee a confronto


Tutte le volte che ci si pone il problema di modificare  in senso democratico  il sistema politico degli Stati borghesi, ci si trova di fronte ad una  scelta di metodo : l'alternativa tra la linea politica sostanzialmente marxista e quella sostanzialmente anarchista. Questo contrasto, a distanza di oltre un secolo, è ancora di scottante attualità.
L'evidente fallimento dei governi socialisti di alcuni Stati e dei partiti "socialisti" o "comunisti" nei Paesi dell'area capitalista sono esperienze storiche che oggi permettono una riflessione, alla quale non ci si può sottrarre senza rischiare di cadere nel ridicolo o, peggio ancora, nella malafede.
Marx e Bakunin (spesso conosciuti solo di nome), occupano ancora la mente, o meglio il "cuore" di tutti i democratici sinceri. Qui si tenta un esame obiettivo delle loro teorie essenziali, nella convinzione che tale esame è indispensabile per affrontare costruttivamente i problemi delle attuali "democrazie" occidentali, ridotte ormai ad una parodia del concetto stesso di democrazia.
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Protagonista di questi cambiamenti è la borghesia, cioè la classe che possiede i mezzi di produzione. Il valore "etico" essenziale di questa classe è la proprietà.
Con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo (1789) la rivoluzione francese aveva proclamato che i diritti naturali e imprescrittibili sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all'oppressione.
"Diritti dell'uomo" erano, ovviamente, i diritti dell'uomo borghese: basta considerare che la proprietà poteva avere come oggetto anche altri esseri umani (schiavitù) e che nello stesso periodo furono approvate leggi che riconoscevano il diritto di voto solo al 15% dei cittadini e che proibivano i sindacati e gli scioperi.
Il divieto di associarsi in sindacati era giustificato dall'esigenza di tutelare  la libertà dei datori di lavoro  di contrattare "in condizioni di parità" le retribuzioni e gli orari di lavoro. Non risulta però che fossero vietate le associazioni padronali.
Basta un dato per dare l'idea delle disumane condizioni di vita dei lavoratori: a Manchester, nel cuore dell'Inghilterra industriale, la speranza di vita degli operai era di  17 anni : cominciavano a lavorare a 5 anni e morivano a 17.
Ad un tale stato di cose si opposero da una parte le prime organizzazioni di lavoratori (operai e artigiani), dall'altra le correnti di pensiero del  socialismo utopistico  e dell'anarchismo: 
  • 1790: Filippo Buonarroti fonda Il Giornale Patriottico della Corsica, il primo giornale rivoluzionario scritto in lingua italiana, che teorizza una società agricola egualitaria fondata sulla volontà del popolo
  • 1793: William Godwin pubblica l'Inchiesta sulla giustizia politica
  • 1797: fallisce la Congiura degli Uguali di Gracco Babeuf, che vorrebbe fondare una società comunista
  • 1808: Charles Fourier pubblica la Teoria dei quattro movimenti, imperniata sul concetto che le passioni umane non debbono essere represse, ma incanalate costruttivamente per creare uno Stato "sociale". Nella stessa opera Fourier teorizza le comunità agricole dei "falansteri".
  • 1822: Claude Saint Simon teorizza un'organizzazione sociale retta da uomini di scienza e da industriali illuminati. Nel 1825 pubblica "Il nuovo Cristianesimo", in cui teorizza un sistema basato sulla fratellanza tra gli uomini.
  • 1834: Robert Owen fonda in Inghilterra le prime organizzazioni sindacali (Trade Unions)
  • 1836: nasce in Germania la Lega dei Giusti, prima associazione rivoluzionaria a carattere  internazionalista  che si diffonde in Francia, Svizzera, Inghilterra e Svezia
  • 1838: in Inghilterra William Lovett pubblica la “carta del popolo”, da cui nasce il primo movimento politico operaio (movimento "cartista", people's Charter), che rivendica la "democrazia per tutto il popolo" e nel 1842 raccoglierà 3 milioni di adesioni
  • 1840: Étienne Cabet pubblica il "romanzo filosofico" Viaggio in Icaria, in cui teorizza un sistema politico senza proprietà, nè autorità nè differenze sociali, introduce il termine comunismo nel senso di movimento politico ed afferma il principio che "ciascuno ha il dovere di lavorare lo stesso numero di ore al giorno, secondo le proprie capacità, e il diritto di ricevere una parte eguale di tutti i prodotti, secondo i propri bisogni".
  • 1841: Pierre Proudhon pubblica Che cos'è la proprietà?, in cui è contenuta la celebre definizione:  "la proprietà è un furto" 
  • 1844: Michail Bakunin pubblica la sua prima opera, La reazione in Germania
  • 1847: sotto l’influenza di Marx ed Engels, la Lega dei Giusti si trasforma in Lega dei Comunisti (sede a Londra). Nello stesso periodo nascono diverse organizzazionei analoghe, che si ispirano a principi di  internazionalismo:  i Fraternal Democrats (UK), l'Associazione internazionale della democrazia socialista (USA), la Famiglia internazionale fondata da Bakunin, la Lega della pace e della Libertà (Italia), l'Alleanza repubblicana universale fondata da Mazzini e molte altre
  • 1848: Marx ed Engels pubblicano il Manifesto del partito comunista
  • 1849: Henry Thoreau pubblica il saggio Disobbedienza civile, testo fondamentale nelle teorie della lotta non-violenta, a cui si ispirerranno, fra gli altri, Tolstoj, Gandhi e Martin Luther King
  • 1864: fondazione a Londra della Prima Internazionale (International Workingmen's Association). Il programma e lo statuto vengono elaborati da Marx

Nell'Internazionale le due principali correnti furono quella comunista, capeggiata da Marx. e quella anarchista, rappresentata da Bakunin. Il conflitto tra queste due fazioni determinò lo sciglimento dell'associazione.
 Comunismo marxiano

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Si deve chiarire subito che, in sostanza,  non esistono  nella storia esempi di Stati comunisti. Esperienze di comunismo sono state tentate da piccoli gruppi di persone, ma un gruppo di persone non è uno Stato.
Queste persone hanno realizzato  tra loro  qualche forma di comunismo; però sono restate  all'interno dello Stato  in cui vivevano. Il successo (o il fallimento) di tali esperienze non può dimostrare (o confutare) la validità del comunismo come modello ideale di società.
Marx aveva immaginato la società comunista come  la fase finale  di una trasformazione che doveva partire dalla società capitalista (non dalla società feudale, come poi avvenne in Russia e in Cina); le fasi intermedie dovevano essere prima la rivoluzione e poi la dittatura del proletariato (cioè il socialismo). Ma tutti i sistemi politici statali fondati sul marxismo si sono fermati al socialismo: l'URSS era l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Erroneamente, o a scopi di propaganda, tali sistemi sono stati chiamati "comunisti".
Oggi è possibile una critica storica degli Stati socialisti, ma il comunismo, che è rimasto un'utopia, può essere criticato solo sul piano logico, teorico o filosofico, allo stesso modo delle creazioni teoriche del socialismo utopistico e dell'anarchismo.

* * *

Nell'analisi storica di Marx, la società borghese (cioè capitalista) è divisa in due classi: borghesia e proletariato. Il borghese è proprietario dei mezzi di produzione: quindi sfrutta il proletario, che possiede solo se stesso e può solo vendere il proprio lavoro.  Lo Stato è secondario:  non è altro che uno strumento, di cui la borghesia si serve per proteggere i propri interessi e di cui il proletariato si servirà per difendere i propri.
Nel comunismo immaginato da Marx, abolita la proprietà privata dei mezzi di produzione, la società non sarebbe più divisa in classi e lo Stato si estinguerebbe automaticamente. In questa società ciascuno contribuirebbe al bene comune secondo le proprie  capacità  e riceverebbe contributi secondo i propri  bisogni.  La proprietà privata sarebbe ancora possibile, ma solo sulle cose di uso personale.
Nel Manifesto del PC si legge che nella fase di transizione (socialismo) il proletariato "userà il suo dominio politico per strappare a poco a poco alla borghesia tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato"; con il comunismo "il capitale viene trasformato in proprietà collettiva, appartenente a tutti i membri della società".
Quando le differenze di classe saranno scomparse e tutta la produzione sarà concentrata in mano agli "individui associati", il potere pubblico perderà il suo carattere politico. Alla vecchia società borghese subentrerà una "associazione" in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti.
Secondo Marx, si arriverà a questo per due ragioni:
  • la borghesia è "fatalmente" destinata, per sua stessa natura, ad auto-distruggersi in una cieca corsa a produrre sempre di più, generando una serie di crisi economiche in cui ogni crisi sarà superata conquistando nuovi mercati e nuove aree di sfruttamento, quindi creando ogni volta le premesse di una crisi più grave della precedente
  • si può immaginare un mondo senza padroni, ma non un mondo senza lavoratori.  Il proletariato è indispensabile, la borghesia no. Quando il proletariato prenderà coscienza di questa elementare realtà, la rivoluzione proletaria sarà in un certo senso una "necessità storica": infatti tutte le azioni umane sono determinate,  in ultima analisi,  dagli interessi. Il proletariato farà la rivoluzione perchè è suo interesse farla.
"In ultima analisi" vuol dire che le azioni umane sono determinate anche da fattori "culturali" (la religione, le saggezza tradizionale, la morale ecc.) che resistono per qualche tempo ai mutamenti della realtà ma che "alla lunga" ne vengono modificati. Questo processo può essere ritardato dalla propaganda conservatrice, o affrettato dalla propaganda rivoluzionaria.
Ma il proletariato non si ribellerà prima di aver preso coscienza e non vincerà prima di essersi organizzato sotto una guida capace di condurlo alla vittoria: la guida del partito comunista, che viene descritto sinteticamente nel Manifesto:

  • i comunisti fanno parte del proletariato e non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il proletariato.
  • lo scopo immediato dei comunisti è lo stesso di tutti gli altri proletari; ma essi hanno il vantaggio sulla restante massa di comprendere meglio le condizioni generali del movimento
Fourier, Marx ed Engels, in contrasto con le idee utopistiche di Owen e Saint-Simon, affermavano che il comunismo non poteva emergere da piccole comunità isolate ma solo globalmente, dal corpo dell'intera società. Anzi: dato che il capitalismo si espandeva nel mondo, superando i confini nazionali, il comunismo avrebbe dovuto avere un carattere internazionale: le ultime parole del Manifesto sono "proletari di tutti i Paesi, unitevi!". E infatti il primo passo nell'attuazione del programma fu la fondazione dell'Internazionale.
Anarchismo


Woodcock

Si ritiene che il padre del pensiero anarchico moderno sia stato  Proudhon;  ma il suo primo teorico fu  Godwin  ed il maggior divulgatore delle idee anarchiche fu  Bakunin.  E' considerato anarchico anche Lev Tolstoj, uno dei più grandi scrittori russi, il quale, essendo cristiano, considerava l'abolizione dello Stato come una coerente applicazione dell'insegnamento evangelico. Tolstoj però rifiutò sempre (come Godwin) di definirsi anarchico: la sua dottrina della rivoluzione non-violenta gli sembrava incompatibile con le teorie degli altri anarchisti.
Gli anarchisti condividevano l'analisi marxiana della società borghese, ma rifiutavano radicalmente ogni forma di organizzazione gerarchica e perfino il principio di democrazia fondata sulla volontà della maggioranza (la tirannia del numero), nel senso che nessuno – nemmeno la maggioranza – doveva avere il potere di limitare la libertà dei singoli individui.
Alla base dell'ideologia anarchica si trova la fede nell'uomo come animale spontaneamente sociale e naturalmente libero, capace di creare un  ordine,  fondato sull'uguaglianza e la fraternità, che avrebbe preso il posto del disordine creato dal potere. Liberi dalle imposizioni del potere, gli uomini avrebbero costituito tante piccole comunità di base, cementate dalla loro libera scelta. Altrettanto liberamente, queste comunità avrebbero potuto stabilire tra loro dei rapporti di collaborazione per raggiungere qualche scopo comune; federazioni via via più vaste avrebbero conseguito obiettivi via via più generali.
La società immaginata dagli anarchisti è descritta in modo chiaro, lineare e coerente in una delle più belle pagine delle Memorie di un rivoluzionario di Kropotkin, uno dei massimi esponenti del pensiero anarchico.
v. nell'Antologia "L'ideale dell'anarchismo" di Kropotkin  

Si poteva cominciare subito, come infatti avvenne, a costruire pacificamente il nuovo ordine per mezzo di "società di mutuo soccorso", di cooperative, di comunità agricole che furono create anche con l'aiuto economico di borghesi progressisti. Era anche la teoria della  "propaganda con i fatti"  (verso la fine del secolo si arrivò ad alcuni casi di fatti violenti) che si affiancava alla propaganda con le parole.
Gli anarchisti, in generale, svolsero l'attività politica come una forma di apostolato, senza proporsi come "capi", non per guidare il popolo ma per illuminarlo ed offrirgli un esempio, coerentemente con il loro principio anti-autoritario.
La loro elaborazione teorica si articolò in diverse correnti di pensiero: mutualismo, collettivismo, comunismo anarchico, anarco-sindacalismo e infine quella particolare interpretazione dell'individualismo che alla fine dell'Ottocento condusse ad una serie di azioni violente ed auto-distruttive. Una delle idee centrali era quella dello sciopero generale, come forma di rivoluzione non violenta che avrebbe determinato il crollo definitivo dello Sato borghese.
L'eventualità di una rivoluzione cruenta, che non poteva essere esclusa, era vista come violenza in risposta alla violenza del potere, e comunque come un male. Perfino Bakunin, che fu il più barricadero tra i grandi esponenti del pensiero anarchico, scriveva che
"le rivoluzioni cruente sono spesso necessarie a causa della stupidità umana, ma sono sempre un male mostruoso e un grande disastro, non solo per quanto riguarda le vittime, ma anche per quanto riguarda la purezza e la perfezione dell'idea nel cui nome avvengono"
Il senso è chiaro: non la forza delle armi, ma la forza della ragione permette di conservare la "purezza dell'idea" cioè le migliori probabilità di realizzare l'obiettivo finale. Che poi l'eventuale rivoluzione dovesse o potesse essere comandata da un partito (come Marx prevedeva) e sfociare in una nuova forma di governo, era escluso in radice:
Tutti i partiti, senza eccezione, nella misura in cui si propongono la conquista del potere sono varietà dell'assolutismo
Proudhon
Le rivoluzioni non le fanno nè individui nè società segrete. Nascono in una certa misura automaticamente. Le producono la forza delle cose, la corrente degli eventi e dei fatti.
Bakunin
L'evoluzione non è lenta e uniforme. Evoluzione e rivoluzione si alternano, e le rivoluzioni – cioè i periodi di evoluzione accelerata – appartengono all'unità della natura esattamente come i periodi in cui l'evoluzione è più lenta
Kropotkin
Ciò non toglie che in alcuni casi (per es. in Italia) gli anarchisti potessero giungere a progettare piccole insurrezioni locali a scopo dimostrativo (altre varianti della "propaganda con l'esempio"): per esempio conquistare il municipio di un paesetto, fare un falò con i registri delle proprietà ed esporre la bandiera anarchica per qualche giorno, prima che arrivassero i soldati. Alcune di queste azioni furono ispirate o capeggiate dallo stesso Bakunin; tutte fallirono, tra il comico e il patetico, per l'ingenuità e la disorganizzazione dei congiurati.
E' significativo l'episodio (1877) di una dozzina di anarchisti, già da qualche giorno inseguiti dalla polizia e persi in una bufera di neve sulle montagne del Matese, quasi morti di freddo e di fame. Quando requisirono la capretta di una famiglia di contadini (rilasciando regolare ricevuta ai fini dell'indennizzo), la bambina della famiglia si mise a piangere perchè la capretta era sua. Allora i feroci rivoluzionari gliela restituirono e proseguirono in mezzo alla bufera finchè, stremati dal freddo e dalla fame, si lasciarono catturare senza fare resistenza.
(riferito da Masini, v. note)
 La linea politica

 La più ampia elaborazione teorica del pensiero anarchico è dovuta a Bakunin che, da buon massone, sul piano organizzativo restò sempre fedele all'idea della clandestinità. Il suo modello di rivoluzione era fondato su due elementi centrali: le masse contadine e una specie di "avanguardia" di intellettuali.
Per Marx, invece, la posizione centrale era occupata dal proletariato industriale, cioè dagli operai delle fabbriche; e per questo pensava che le condizioni pre-rivoluzionarie esistessero soprattutto nei Paesi industriali, specialmente in Inghilterra. Se fosse vissuto abbastanza, la rivoluzione russa lo avrebbe sorpreso.
Secondo Marx, sarebbe stata la classe operaia ad abbattere lo Stato borghese, ma anche dopo la rivoluzione le classi avrebbero continuato ad esistere: infatti la borghesia, anche se sconfitta, non si sarebbe facilmente rassegnata ed avrebbe continuato a combattere per riconquistare il potere.
Precisamente ciò che avvenne subito dopo la rivoluzione russa, quando gli Stati capitalisti mandarono un esercito (l'Armata Bianca) ad invadere la Russia; e l'Armata Rossa sarebbe stata probabilmente sconfitta se non avesse avuto l'aiuto del grande partigiano anarchico Machno, un contadino ucraino dotato di uno straordinario genio militare.
Dunque il proletariato doveva tenersi pronto a difendere le proprie conquiste anche con la forza, per non essere ricacciato indietro da una controrivoluzione; cioè ad organizzare un apparato repressivo, un nuovo tipo di Stato.
Marx considerava la conquista del potere da parte della classe operaia come il superamento della società borghese e della divisione della società in classi. La dittatura del proletariato, cioè la distruzione dello Stato borghese e la sua sostituzione con lo Stato proletario era considerata da Marx come la necessaria  fase intermedia  per realizzare il comunismo, cioè la società senza classi e quindi senza Stato.
A Bakunin non era sfuggita la debolezza di questo punto del pensiero marxiano: cioè che qualunque Stato, per il solo fatto di esistere, esercita il suo potere su tutti; e che quindi la dittatura  del  proletariato avrebbe esercitato il potere anche  sul  proletariato (come infatti avvenne puntualmente nella rivoluzione russa e poi in quella cinese).
Bakunin accusava i comunisti di essere "nemici delle istituzioni politiche esistenti perché tali istituzioni escludono la possibilità di realizzare la propria dittatura"; li accusava di essere "gli amici più ardenti del potere statale" perchè volevano costruire una società dominata e programmata dall'alto.
Agli anarchici italiani, nel 1872, Bakunin scriveva:
Marx è un comunista autoritario e centralista. Egli vuole ciò che noi vogliamo: il trionfo completo dell'eguaglianza economica e sociale, però nello Stato e attraverso la potenza dello Stato, attraverso la dittatura di un governo molto forte e per così dire dispotico, cioè attraverso la negazione della libertà.
Lo Stato, secondo Bakunin, dovunque ed in qualunque forma sia presente (borghese, socialista o comunista), non è altro che "sinonimo di costrizione, di dominazione attraverso la forza, camuffata, se possibile, ma, al bisogno, brutale e nuda". Scartata l'idea della dittatura del proletariato, all'abbattimento dello Stato borghese sarebbe seguita una prima fase di "confusione", un caos da cui sarebbe nata la fase dell'ordine quando gli individui avrebbero capito la possibilità e la necessità di auto-organizzarsi sulla base della collaborazione reciproca.
Da parte sua, Marx criticava Bakunin soprattutto per il fatto che "la volontà, non le condizioni economiche, è il fondamento della sua rivoluzione sociale". In altre parole:  non lo Stato, ma la borghesia capitalista  (della quale lo Stato è solo uno strumento)  è per Marx il nemico da annientare.  La scomparsa dello Stato sarà quindi una conseguenza naturale della scomparsa della divisione in classi.
Nella prima Internazionale Marx e Bakunin furono i leader di due opposte correnti e Marx ebbe la possibilità di dimostrare quanto fosse fondata l'accusa di autoritarismo che Bakunin gli aveva rivolto: infatti, quando la corrente marxista si trovò in minoranza, preferì distruggere l'associazione piuttosto che accettare le decisioni della maggioranza.



  • i capi "naturali" del movimento (e quindi del nascente partito) erano quelli che avevano teorizzato il comunismo e la rivoluzione: non operai, ma filosofi, intellettuali, borghesi e perfino nobili; ed erano i soli a possedere gli strumenti culturali necessari per guidare il partito.
  • i proletari che, formandosi la cultura necessaria, avrebbero potuto diventare capi del movimento non avrebbero più fatto il lavoro di prima, quindi sarebbero usciti dalla classe proletaria
  • quali sarebbero gli  interessi  comuni tra i proletari e i non-proletari?
  • è ragionevole che un movimento operaio sia guidato da non-operai, o da ex-operai, con i quali forse il proletariato non ha (o non ha più) interessi comuni?
  • abbattuta la borghesia, da chi sarebbe stato governato lo Stato proletario, se non dagli stessi intellettuali che avevano guidato la rivoluzione?
  • allora, il nuovo governo sarebbe stato una "dittatura del proletariato" o piuttosto una dittatura  dei capi  del proletariato?
  • durante la dittatura del proletariato, come si sarebbe creata la  burocrazia  (che certamente non è fatta di operai) e da chi sarebbe stata controllata?
  •  chi avrebbe avuto le armi?  
  • se è vero che le azioni sono determinate  dagli interessi  (e proprio per questo la rivoluzione proletaria era inevitabile), quale sarebbe stato poi l'interesse, la ragione per cui questa dittatura, la burocrazia e le forze armate avrebbero rinunciato ai propri poteri?

A queste ultime domande, Marx avrebbe forse risposto che la burocrazia, le forze armate e il governo avrebbero spontaneamente ceduto il potere perchè, nati dalla rivoluzione, sarebbero rimasti fedeli alle idee ed al programma rivoluzionario; ma in questo caso avrebbe meritato la stessa critica che egli stesso rivolgeva a Bakunin: che la volontà, non le condizioni concrete erano il fondamento della sua prospettiva rivoluzionaria.

Un'altra questione di essenziale importanza è la seguente: chi e come avrebbe impedito agli Stati capitalisti di aggredire un nuovo Stato socialista? Marx aveva una risposta: il proletariato degli altri Stati si sarebbe opposto all'aggressione.
Questo, in sostanza, significava che la rivoluzione proletaria avrebbe dovuto necessariamente cominciare – contemporaneamente o quasi – in tutti i Paesi capitalisti o  almeno  che i partiti socialisti nazionali fossero abbastanza forti da paralizzare i rispettivi governi (per es. con una serie di scioperi generali). Questo doveva bastare a comprendere l'enorme importanza dell'internazionalismo (e Marx l'aveva ben capita); questa era la ragione per cui l'intero movimento dei lavoratori aveva concentrato i suoi sforzi organizzativi nella prima Internazionale.
Ma questo rende  assolutamente ingiustificabile ed equivalente ad un tradimento della causa del proletariato  il comportamento di Marx e dei suoi seguaci, che preferirono uccidere l'Internazionale piuttosto che lasciarsi mettere in minoranza dagli anarchisti.

* * *

Bakunin, con la sua teoria della "fase di confusione" dalla quale sarebbe sorta spontaneamente la società anarchica, aveva semplicemente eluso una serie di problemi:
  • in qualunque modo, violento o no, in cui  lo Stato  borghese fosse stato abbattuto,  la classe  borghese avrebbe conservato capacità di controllo assolutamente superiori a quelle del proletariato: burocrazia, intellettuali, mezzi d'informazione, esercito, servizi segreti, organizzazioni terroristiche ecc. sarebbero rimasti nelle sue mani. Nulla poteva autorizzare la speranza che dal "caos" previsto dagli anarchisti non sorgesse una dittatura borghese ancora più feroce dello Stato "democratico" appena abbattuto.

Ricordare per es. gli anni 1920-33, quando la rivoluzione tedesca fu stroncata dalle organizzazioni criminali (le bande para-militari) e in Europa il movimento socialista fu fisicamente soppresso dai regimi nazi-fascisti
  • al tentativo di instaurare con la forza una nuova dittatura borghese, solo un partito proletario bene organizzato e bene armato avrebbe potuto opporsi: proprio ciò che Bakunin non voleva; e comunque, all'ipotesi di un tale partito si potevano opporre tutte le obiezioni che già lo stesso Bakunin aveva opposto a Marx, oltre a quelle che abbiamo appena visto in sintesi
  • la filosofia che "il morto insegna a piangere", cioè che  intanto  le masse faranno la rivoluzione, e poi impareranno, lungo il cammino, a difendere le proprie conquiste, sembra un po' troppo semplice. Le masse non partoriscono miracolosamente, dall'oggi al domani, capi politici, dirigenti, economisti, legislatori, burocrati e capi militari; e  intanto  gli eserciti della borghesia sparano cannonate vere, e non chiacchiere.
Una componente della tendenza spontaneista, che ha le sue radici nell'anarchismo "individualista" di fine Ottocento, è quella che vede nel sottoproletariato e nella piccola delinquenza un "potenziale rivoluzionario" che si sposa felicemente (guarda caso!) con lo spirito di trasgressione e di illegalità della piccola borghesia "di sinistra". Tale componente ha continuato e continua ad affiorare, qua e là, fino ai tempi attuali ed è stata espressa nel pamphlet "L'insurrection qui vient", pubblicato in Francia nel 2007, un'opera sotto molti aspetti esemplare.
v. scheda "La prossima Rivoluzione Francese"  

Oggi come allora, realisticamente, il problema si pone proprio nei termini in cui tanto Marx quanto Bakunin avevano evitato di porselo: data per inevitabile la necessità di un'organizzazione, si tratta di trovare il modo in cui tale organizzazione non diventi un partito e rimanga sempre controllabile "dal basso"

E' ragionevole temere che attualmente qualunque "partito", per sua stessa natura, non potrebbe essere migliore dei partiti già esistenti, o magari peggiore.
Certamente non è facile (se fosse facile qualcuno l'avrebbe già fatto); ma alla luce delle recenti esperienze storiche non è ammissibile nessun tentativo, conscio o inconscio, di eludere un tale problema.

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