L'intera
narrazione ufficiale delle Stragi di Parigi del 2015 è stata inquinata da
disinformazione, manipolazione, distrazione di massa. Ecco i fatti. [Giulietto
Chiesa]
A inizio 2015
scrissi un saggio e pubblicai un video su Pandora TV, intitolato "I Misteri di Parigi".
Si riferiva alla tragedia del Charlie Hebdo del gennaio di quell'anno.
Avendo studiato
a fondo gli eventi dell'11 settembre 2001, avevo la certezza che alle mie
domande sul caso Charlie Hebdo non ci sarebbe stata risposta. I
misteri dell'epoca dell'inganno universale non sono rivelabili.
La società intera dell'Occidente esploderebbe se la verità venisse scoperta. Si
può solo, testardamente, accumulare gl'indizi che dimostrano che essa non
corrisponde a ciò che ci lasciano vedere e che ci costringono a credere. Le
conseguenze le lascio a coloro che tramano contro di noi.
Ma allora non
potevo nemmeno immaginare che avrei raggiunto la certezza della validità dei
miei dubbi solo qualche mese dopo averli espressi.
Ora possiamo
affermare che l'intera narrazione ufficiale degli eventi del Charlie Hebdo
- insieme alle sterminate narrazioni "derivate" che la stampa e tutti
gli organi del mainstream hanno prodotto - sono opera di
disinformazione, di manipolazione, di distrazione di massa. Il ministro degli
interni francese, Bernard Cazeneuve, dopo adeguata meditazione, ha
infatti deciso che l'indagine in corso per accertare tutte le
responsabilità di quella strage doveva essere fermata, chiusa a
chiave, archiviata. La motivazione? "Segreto militare" [1].
È del tutto
evidente che il segreto militare serve, per l'appunto, a coprire
delle responsabilità.
Ovvio che non
si tratta delle responsabilità dei "terroristi" che hanno fisicamente
preso parte all'azione delittuosa. Il termine "preso parte" è
sufficientemente indistinto e tale da consentire interpretazioni molto diverse
l'una dall'altra. Può voler dire: partecipazione consapevole, attiva,
progettuale, ecc; può anche voler dire partecipazione inconsapevole,
involontaria, "colposa"; può voler dire partecipazione coatta. Tutte
queste possibili - ed eventuali - forme di partecipazione devono essere indagate,
chiarite, scoperte. È la sostanza dell'indagine: quella che può consentire di
risalire alle motivazioni, alle complicità, ai mandanti, a coloro che hanno
tramato. Il "segreto militare" non può essere invocato in alcun caso
tra quelli sopra elencati. Esso viene invocato perché serve a coprire
responsabilità delle autorità, degli organi di polizia, dei servizi segreti.
Non serve di certo agl'interessi della democrazia.
Dunque la
decisione di Cazeneuve è la prova che in una qualche fase del massacro dei giornalisti
di Charlie Hebdo, e dell'assalto al grande magazzino casher, vi
sono state complicità, mancanze, errori da parte di organi dello
Stato o di altri Stati.
Ma, le mancanze
e gli errori dovrebbero - una volta individuati - non solo essere perseguiti
con il massimo rigore, ma anche resi pubblici per evitare che si ripetano, per
essere corretti, eliminati. Le indagini si fanno per questo. Dunque anche in
questi casi non è concepibile il ricorso al "segreto militare" per
fermare l'indagine. Restano le complicità.
Ma questo
significa qualche cosa che non ha più nulla a che vedere con un attentato
terroristico "islamico". Significa che uno o più organi di Stato sono
stati complici, o hanno costruito essi stessi l'attentato terroristico. Cioè
hanno attentato alla vita dei propri cittadini, li hanno uccisi. Non si
commette un tale crimine se non per sovvertire, per dirottare il corso della
politica interna, o estera, o entrambe, o l'assetto costituzionale.
Gli autori
hanno dunque fatto uso della presenza di capri espiatori di religione islamica
per creare un clima di odio contro gli stranieri o gl'immigrati. Ma la restrizione
delle libertà e dei diritti, ottenuta in questo modo, può essere
indirizzata contro i lavoratori, o i cittadini che protestano per le loro
condizioni di vita. In Italia questo modo di operare è stato battezzato da gran
tempo con il nome di "strategia della tensione". Negli Stati
Uniti ha preso il nome di "false flag operation"
(operazione sotto falsa bandiera).
Dunque Charlie
Hebdo è qualcosa di simile a un buco nero nel quale è ormai impossibile
guardare in profondità. E c'è più
d'un motivo, come vedremo, per pensare che anche la mattanza del 13 novembre
2015 sia un altro buco nero nel quale non potremo guardare perché ce
lo impediranno. Anzi ce lo hanno già impedito, come accade in tutte le false
flag operations, creando un'ondata emotiva gigantesca, non
più soverchiabile mediante il ragionamento, l'analisi, il ricorso ai fatti
realmente accaduti.
Tra i due
buchi neri esiste una relazione? Cercheremo di capirla, se esiste,
dissipando le ombre che li circondano e che si stanno già dilatando fino a
oscurare tutto il panorama europeo. E già questa sola constatazione induce a
più d'una riflessione. Come è possibile che l'azione di un gruppetto di
giovani e giovanissimi - tutti cittadini europei, per lo più di scarso
livello d'istruzione, con poca o nulla preparazione professionale e militare,
già noti alla polizia per piccoli crimini, insignificanti delinquenti comuni -
che hanno agito apparentemente allo scoperto, abbia potuto produrre effetti
internazionali così grandi da sconvolgere non solo la vita di centinaia
di milioni di persone in Europa, paralizzando tutte le maggiori capitali,
ma soprattutto modificando leggi fondamentali degli Stati, regole della
convivenza civile.
Nelle
ricostruzioni della stampa li si è descritti come dei geni del male,
mirabilmente capaci di usare tutti i vantaggi della vita quotidiana del XXI
secolo; che sono riusciti a muoversi «nel fluido digitale e transnazionale
mondo d'oggi , eludendo ogni sistema di sorveglianza, stabilendo contatti tra
di loro, trasportando ingenti quantità di armi e di munizioni, pianificando le
loro azioni in un modo impeccabile».[2]
Trascuriamo
l'enfasi retorica di queste quasi esaltanti (per i terroristi) narrazioni. C'è
qualcosa di stranamente incongruo in questo tipo di ricostruzioni
giornalistiche che, per altro, dilaga e gronda da tutti i mass media del mainstream
Quasi che i giornalisti ignorino l'ovvio, e cioè che i terroristi
erano quasi tutti già noti alla polizia, che non sembra avere fatto nulla
per fermarli.
È evidente, di
primo acchito, l'analogia con il modo in cui gli eventi dell'11 settembre 2001
vennero "raccontati" al colto e all'inclita del mondo intero. Ma i
giornalisti del mainstream occidentale hanno una scusa: non sapendo
nulla dell'11/9 non potevano fare i confronti. Sebbene abbiano sfoderato
continuamente l'analogia tra l'11/9 e il 13/11. I più anziani tra i lettori
ricorderanno che i 19 terroristi musulmani dirottatori dei quattro aerei -
anche loro, come questi ultimi disgraziati - riuscirono nell'impresa gigantesca
di annullare le difese della massima potenza mondiale armati di temperini.
Anche allora, dopo i quasi tremila morti del World Trade Center e del
Pentagono, sopraggiunse il famigerato USA Patriot Act, che
cancellò in sostanza alcuni articoli fondamentali della Costituzione
americana [3].
Pochi compresero il nesso. Ma oggi la sproporzione tra piccola causa e immensi effetti è di nuovo talmente stridente da non poter essere occultata. L'ultimo stato di emergenza in Francia risale al maggio del 1961, quando fallì il putsch di Algeri che avrebbe dovuto portare al rovesciamento del presidente Charles De Gaulle. Il solo fatto di mettere Hollande a confronto con De Gaulle sfiora la comicità.
Pochi compresero il nesso. Ma oggi la sproporzione tra piccola causa e immensi effetti è di nuovo talmente stridente da non poter essere occultata. L'ultimo stato di emergenza in Francia risale al maggio del 1961, quando fallì il putsch di Algeri che avrebbe dovuto portare al rovesciamento del presidente Charles De Gaulle. Il solo fatto di mettere Hollande a confronto con De Gaulle sfiora la comicità.
E entriamo nel
merito dell'accaduto e del modo in cui è stato raccontato al grande pubblico
europeo. Intanto ricordando che l'importante settimanale Paris Match
aveva previsto l'«11 settembre francese» un mese e 11 giorni prima che
avvenisse, cioè il 2 ottobre. E lo aveva fatto attraverso un'intervista con il capo
del pool antiterrorismo francese, il giudice Marc Trévidic. Che
aveva profetizzato: «Gli attacchi alla Francia saranno su una scala dell'ordine
di grandezza dell'11/9». Si dirà che era il suo mestiere quello di fare
previsioni. Ma la sua posizione, il suo incarico, davvero non gli davano
strumenti e possibilità di fronteggiare una tale banda di assai improbabili
strateghi del terrore?
Questa
previsione non fu, del resto, l'unica e isolata. Risulta che proprio quella
mattina, era in corso un'esercitazione di difesa civile che
avrebbe impegnato polizia, personale medico, pompieri, nel centro di Parigi, per
fare fronte alle conseguenze di un'azione terroristica su larga scala.
Ne dava notizia France.info, mandando in onda la dichiarazione di tale Patrick
Pelloux. [4]
Circostanza
doppiamente singolare, perché Pelloux impazzò una prima volta su YouTube
pochi minuti dopo il massacro di gennaio, per essere stato sul luogo
della mattanza, scampato per miracolo, nella sua qualità di tecnico
medico per l'emergenza. «Eravamo preparati», dice Pelloux, a novembre.
Lasciando il forte sospetto che fosse stato "preparato" anche nei
pressi della redazione di Charlie Hebdo, in gennaio. Ed è solo una delle
tante singolarità di quel giorno fatale.
Come ha
scritto, con una buona dose di sarcasmo, Roberto Quaglia, «viva le
coincidenze! Perché chi ha mai detto che non possa essere una coincidenza il
fatto che tutte le volte si verifichino esattamente le stesse
coincidenze?» [5]
Infatti le
analogie, o coincidenze, delle esercitazioni militari parallele agli
attentati terroristici, sono una costante inquietante da non perdere d'occhio.
Cioè se per
caso vi capiterà di sapere che è in corso, da qualche parte, un'esercitazione
militare, cercate di stare alla larga: statisticamente c'è una discreta
probabilità che si trasformi in un attentato terroristico.
Se si guarda
appena un po' indietro nel tempo di questi quindici anni di "lotta al
terrorismo internazionale", si scopre che quasi tutti gli attentati
terroristici di grandi dimensioni sono stati accompagnati da esercitazioni
militari che si svolgevano nello stesso giorno, in perfetta coincidenza [6].
Quello che ci
rivela lo strano personaggio Patrick Pelloux è la stessa, identica storia
dell'11 settembre, quello vero, del 2001. Anche allora si scoprì, a posteriori,
che in quella fatidica giornata erano state concentrate (in diversi casi
addirittura mutandone la data originaria, come per farle coincidere tutte nello
stesso giorno) una decina di esercitazioni militari di vario tipo, tutte
destinate a scongiurare un atto terroristico identico a quello che si
verificò proprio in quella giornata a New York e a Washington. [7] (Non mi soffermo su un fatto del genere,
accertato, documentato, ma del tutto sconosciuto al grande pubblico mondiale.
Invito soltanto chi avesse qualche dubbio di leggerne con attenzione le sintesi
contenute nelle note).
La stessa cosa,
altrettanto identica, è stata accertata nel caso dei quattro attentati
simultanei di Londra del 7 luglio 2005. In quel caso i
"terroristi" parcheggiarono la macchina a Luton, per prendere il
treno alla volta di Londra. Lasciando il bollo orario sul parabrezza, come se
avessero in programma di tornare a casa propria, la sera, e non di finire i
loro giorni facendosi esplodere in mezzo alla gente ignara. Tutti e quattro
muniti di zaini , di quelli che sono in uso tra gli studenti di ogni scuola
europea. Tre di questi zaini esploderanno in tre diverse stazioni della
metropolitana di Londra. Il quarto zaino, quello sulle spalle del diciottenne
Hasib Mir Husain, incontra una sorte leggermente diversa. Il ragazzo è salito
su un autobus a due piani. Che si ferma inopinatamente su una piazzuola di
sosta, in quel di Tavistock. Non è stato possibile sapere se il
conducente abbia preso la decisione dopo avere sentito alla radio ciò che stava
accadendo nel metro, o quali altri motivi possano averlo spinto. Fatto sta che
i passeggeri dell'autobus, quelli che sopravvivranno all'esplosione, raccontano
che il giovane Hasib si era messo a frugare affannosamente nel suo zaino, fino
a che anch'esso, come i tre precedenti, gli esploderà in faccia provocando la
quarta strage di quel giorno.
Si seppe in
quello stesso pomeriggio che quella mattina era già in corso una esercitazione
"di prova" che doveva permettere agli oltre 1000 partecipanti di
reagire tempestivamente a un quadruplice attentato dinamitardo in quattro
stazioni della metropolitana. Non è una supposizione. A riferirlo fu infatti un
protagonista diretto: Peter Power, il direttore esecutivo della ditta
privata, -la Visor Consultants - che stava effettuando l'esercitazione.
La stupefacente rivelazione fu trasmessa la sera del 7 luglio dalla BBC
Radio 5 (Live's Drivertime Program), e poco dopo in televisione sul canale
ITV ma non destò l'attenzione di nessuno.
P. Power: Alle 9:30 stamani
eravamo infatti in piena esercitazione, per una società che conta più di
mille persone a Londra, un'esercitazione basata su delle bombe sincronizzate
e pronte a esplodere esattamente in quelle stesse stazioni della
metropolitana dov'è accaduto stamattina. Mi si rizzano ancora i capelli in
testa.
ITV: Per esser più chiari, avevate
organizzato un esercitazione per sapere come gestire tutto ciò ed è capitato
mentre conducevate tale esercitazione?
P. Power: Esatto, erano circa le 9:30 stamani. Avevamo pianificato questa
esercitazione per una società, per evidenti ragioni non vi dirò il suo nome,
ma sono davanti alla TV e lo sanno. Eravamo in una sala piena di gestori
della crisi che si incontravano per la prima volta. In cinque minuti abbiamo
realizzato che quel che succedeva era vero e abbiamo attivato le procedure di
gestione della crisi in modo da passare dalla riflessione lenta alla
riflessione rapida, e così via.
|
Poi, per oltre
tre anni, sulla rivelazione cadde il silenzio. Solo nel 2008, precisamente il 3
settembre, Peter Power ci ritornò sopra in una conversazione sul J7 Blog
Post, e poi ancora il 3 ottobre, con molti particolari. Non risulta che sia
mai stato interrogato dagli inquirenti britannici, evidentemente non meno
"distratti" dei francesi che condussero le indagini sui due attentati
parigini del 2015. [8]
Non meno
singolare coincidenza fu quella che si verificò nell'attentato della
maratona di Boston il 15 aprile 2013. Anche in quel caso si scoprì, nel
mutismo generale dei media, che c'era stata in contemporanea una esercitazione
di presunta difesa civile. In uno dei filmati che il web mise quasi
immediatamente in circolazione apparivano ingranditi due dispacci del Boston
Globe, che, uno dietro l'altro, pochi minuti prima della tragedia,
raccontavano una notizia sconvolgente: «La polizia effettuerà una esplosione
controllata al n. 600 di Boylston Street». E, pochi minuti prima di questo, un
altro dispaccio citava funzionari di polizia che annunciavano una «esplosione
controllata, tra un minuto, di fronte alla biblioteca, come parte delle
attività di una squadra di artificieri».
In altri
termini la polizia di Boston effettuava esplosioni "controllate"
nel bel mezzo di una manifestazione sportiva piena di gente e in
contemporanea con un attentato terroristico dove esplodeva, sul serio, una
bomba in mezzo alla gente. [9]
Dove non si riesce a scegliere se fossero più stupidi coloro che inventarono una tale imbecille operazione o i giornalisti che la trovarono normale, o i magistrati che la ignorarono.
Dove non si riesce a scegliere se fossero più stupidi coloro che inventarono una tale imbecille operazione o i giornalisti che la trovarono normale, o i magistrati che la ignorarono.
Anche in questo
caso il mainstream (americano e, sulla sua scorta, anche quello
mondiale) si bevve con gusto il brodino delle versioni ufficiali, esattamente
com'era accaduto con la storia dell'antrace subito dopo l'11 settembre
2001, escludendo da ogni verifica le vertiginose incongruenze delle
ricostruzioni poliziesche. Anche in quel caso, di Boston, uno dei due presunti
attentatori (di cui fu subito sottolineata l'origine cecena, sebbene entrambi i
ragazzi avessero avuto contatti assai sporadici con la madre, che ancora viveva
a Grozny) venne ucciso, mentre "opponeva resistenza", nelle ore
immediatamente successive, sebbene siano ancora visibili, sul web, le immagini
che mostrano il suo arresto, mentre viene fatto salire su un'auto della
polizia, completamente nudo e ammanettato. E emerse che anche lui era sotto
controllo della polizia da parecchio tempo. Il fratello minore è seppellito
nelle prigioni americane e non potrà più parlare per il resto dei suoi giorni.
Nessuno riuscì
a escogitare le motivazioni che avrebbero spinto i due "capri
espiatori" a compiere quel gesto. Esiste, in compenso, un'impressionante
documentazione fotografica che mostra la presenza, sul luogo dell'esplosione,
in mezzo alla folla, di un gruppo paramilitare denominato Craft International, facilmente
identificabile per abbigliamento e distintivi, che ha per emblema un teschio e
per aforisma identificativo il seguente: "La violenza risolve i
problemi". Il gruppo compare all'inizio dotato di zaini neri e, alla fine,
gli zaini non ci sono più, mentre i corpulenti giovanotti della Craft International salgono
tranquilli su un furgone nero. [10]
La storia e la
cronaca di questi ultimi 15 anni ci autorizza, come minimo, alla diffidenza.
Ma, tornando ai tragici eventi parigini del 2015, non si può evitare di
raccogliere alcune altre "stranezze" inspiegabili (cioè a cui è
difficile dare risposta anche prestando piena fiducia ai racconti ufficiali e
ufficiosi elargiti al grande pubblico). Si tratta per lo più d'informazioni che
si possono trovare solo sul web. Il quale, pur essendo luogo aperto a ogni
fantasticheria, manipolazione, provocazione, contiene anche una parte rilevante
di dati che è possibile, con qualche ingegno, andare a verificare e che,
proprio per questo motivo, il mainstream ignora pervicacemente. Si veda,
ad esempio, il ruolo giocato da uno dei santuari di Internet, Wikipedia.
Che questa volta supera se stesso. Infatti chi fosse andato su Wikipedia la
sera del 13 novembre 2015 vi avrebbe trovato, alle 23:06, uno scritto che
riferiva che «il Presidente francese ha dichiarato lo stato di emergenza e
chiuso i confini dell'intera Francia». Sfortunatamente la dichiarazione di
Hollande sarà resa pubblica soltanto alle 23:58, cioè 52 minuti dopo la
pubblicazione di Wikipedia.
L'autore
dell'articolo è anonimo, ma ha un numero che lo tradisce (e permetterebbe di
identificarlo). Il numero è 82.45.236.70. Non risulta che gl'inquirenti siano
andati a cercarlo e a interrogarlo, ma si ha ragione di dubitare di questa
eventualità. Eppure sarebbe interessante risalire alla sua identità, visto che
costui o costei sembra conoscesse in anticipo molte cose che sarebbero accadute
quella sera. Non tutte ma molte. Probabilmente troppe. Costui o costei lavorò
(lavorarono?) freneticamente per diffondere informazioni sull'attentato
terroristico praticamente in tempo reale. Il massacro comincia alle ore
21:16. Se si va a leggere il primo dispaccio, delle 23:06, si scopre che il
fantomatico scrittore è un "giornalista" straordinario che non solo
riesce a dare in anticipo il testo di una dichiarazione esatta del Presidente
francese, ma che, in due ore e 50 minuti, fornisce una descrizione degli eventi
con tutta una serie di particolari che nessun organo d'informazione, nessuna
agenzia, nessun resoconto radiofonico aveva ancora registrato. Forniranno al
pubblico di Wikipedia, tra le 23:06 e la mezzanotte del 14 novembre, ben 13
aggiornamenti di ciò che stava avvenendo a Parigi in quelle ore.
Ma - altro
evento singolare all'interno di un evento straordinario - alle ore 00:00
tutti i 13 aggiornamenti vengono cancellati e spariscono dalla pagina.
Forse qualcuno si è accorto che il presidente francese aveva parlato
"dopo" Wikipedia. Ma sarebbe bastato cancellare il dispaccio delle
23:06. Perché tutti e 13? Forse perché anche gli altri erano usciti troppo
presto? O forse perché lo scopo era già stato raggiunto e non si voleva
lasciare tracce? In ogni caso resta la domanda: perché lo fecero? Non è dato
saperlo. Forse il loro scopo era semplicemente quello di usare l'autorità
riconosciuta di Wikipedia per diffondere una determinata narrazione
dell'evento, anticipando in pratica tutte le maggiori fonti d'informazione.
Cioè "orientandole". E noi non sapremmo niente di tutto ciò se non
fosse che qualcuno stava seguendo questo movimento di comunicazioni
"anticipate" e, essendosi incuriosito, fece un back-up completo
delle 13 versioni e ce le ha restituite intatte, per la nostra
riflessione. [11]
Dove si
trovassero in quelle ore i signori e le signore che portano all'indirizzo
IP/nome utente 82.45.236.70 non possiamo saperlo. Perché abbiano fornito questo
servizio e poi lo abbiano cancellato è mistero ancora più fitto. L'unica cosa
che si ricava dalla lettura dei 13 dispacci, poi cancellati, è che tutti
insieme forniscono una versione precisissima, "arabo-musulmana",
di ciò che è accaduto: i mostri che si aggirano per le strade di Parigi sono
terroristi, suicidi, siriani, islamici. Per fermarli occorre lo stato
d'emergenza. La sorpresa è assoluta, impossibile prevedere una cosa del
genere. Nient'altro: è ora di piangere i morti, di dare sfogo a paura e dolore.
La mattina del 14 novembre sarà questo il Leitmotiv del mainstream
mondiale.
Solo che, come
già stiamo vedendo, in questa sintesi estrema molte cose non quadrano.
Basterebbe aggiungere all'elenco gli avvertimenti, le anticipazioni, le
soffiate, gli allarmi delle ultime ore, e dovremmo concludere che solo degli
irrimediabili distratti o dei totali incapaci avrebbero potuto non avvertire
puzzo di bruciato. Tanto più che - come s'è visto - gli stessi inquirenti, la
magistratura, le forze dell'ordine, i servizi segreti, non solo quelli
francesi, avevano addirittura proclamato urbi et orbi il pericolo
imminente. Come interpretare, infatti l'allarme bomba che, quella
stessa mattina del 13 novembre, fece sgomberare in tutta fretta la Gare de
Lyon? E quello che, simultaneamente, fece sgomberare l'albergo in cui
alloggiava la squadra di calcio della nazionale tedesca che doveva
giocare quella sera contro la nazionale francese? Mettiamoci anche il reporter
di Abu Dhabi Sports che, parlando dai bordi del campo poco prima
dell'inizio della partita, riferisce che le autorità francesi hanno ricevuto
una segnalazione circa una bomba allo stadio fin dal giorno prima.
Perfino lui sapeva che qualcosa stava andando storto quella sera [12].
Del resto,
sempre a proposito di stranezze stupefacenti, era dalla metà di agosto che
l'allarme era stato lanciato e che l'allarme riguardava anche e specificamente
il Bataclan, la "salle de spectacles" dove avvenne il
grosso della strage. Lo rivela il già citato monsieur Trevidic, che è ora vice
presidente dell'Alta Corte di Lilla, dopo avere interrogato un certo Reda Hame,
arrestato dopo il suo ritorno dalla Siria. Doveva incontrarsi con Abdelhamid
Abaaoud, ma sicuramente era molto ciarliero. Infatti rivela al magistrato che
«il bersaglio più concreto di una prossimo attentato terroristico sarebbe stato
una sala di concerti rock a Parigi». Il Bataclan, emerge, era stato indicato
come un possibile obiettivo terroristico «almeno due volte in
precedenza» [13]. E fa tre.
Poi la
tragedia, per molti, troppi, quasi tutti giovani e giovanissimi, uccisi.
Sebbene il bilancio dei morti resti, al momento attuale, assai poco chiaro,
così come del tutto misterioso è il bilancio e le caratteristiche della liquidazione
della squadra di assassini.
Ma è il
racconto che non quadra, che contiene troppi tasselli inspiegabili. E una
sola fonte: quella della polizia e dei servizi segreti. I
giornalisti hanno scritto e detto molto: purtroppo nessuno di loro ha visto
niente. Dall'inizio alla fine. E quello che riferiscono, sulle colonne dei
giornali, dai canali radio e televisivi, è la confusa ridda di versioni ufficiali,
poi quelle di seconda, terza, quarta mano, nessuna delle quali è verificabile,
ma tutte assunte come credibili, anzi certe.
Poi ci sono le
invenzioni vere e proprie, come quella, invero comica, del "terrorismo
delle freccette", in base alla quale Abaaoud avrebbe mandato i suoi uomini
allo sbaraglio, nei mesi precedenti, tirando al bersaglio una serie di dardi, a
casaccio, fino a che uno sarebbe arrivato a segno. [14]
Cioè il capo del sanguinoso complotto, l'ovviamente defunto e dunque non più in grado di confermare o smentire, sarebbe stato "sotto una crescente pressione per realizzare qualche cosa di grosso".
Cioè il capo del sanguinoso complotto, l'ovviamente defunto e dunque non più in grado di confermare o smentire, sarebbe stato "sotto una crescente pressione per realizzare qualche cosa di grosso".
Pressione da
parte di chi? C'era qualcuno che tirava le fila? Chi era?
La risposta a
queste domande non c'è, dunque tutta la complessa operazione, e le sue gigantesche
conseguenze, sarebbero il frutto della mente e dell'organizzazione di uno sprovveduto,
vanaglorioso delinquentello, che avrebbe passato mesi a "tirare le
freccette" fino a che una, almeno una, andasse a segno. Una di queste
"freccette" sarebbe stata l'azione del 26-enne di origine marocchina,
Ayoub el Khazzani, che in agosto emerse dalla toilette di un treno ad
alta velocità diretto a Parigi, armato di un kalashnikov , solo per essere
disarmato, senza avere sparato nemmeno un colpo, da tre provvidenziali
passeggeri americani. Insomma Abaaoud stava andando a casaccio, sempre che
fosse lui a guidare l'impresa. E, dato il suo comportamento altamente
stravagante (sempre secondo le fonti di polizia o di altri esperti militari
chiamati in soccorso dai giornalisti per spiegare l'inspiegabile), non è
escluso che il giovanotto fosse in un qualche stato di inquietudine.
Chi è la fonte
di questa informazione? Un certo Louis Caprioli, ex vicecapo dell'unità
antiterroristica interna francese. «Tutto in questo 2015 era fino ad ora andato
male -dice Caprioli - fallimenti, imbarazzanti fallimenti». E Charlie Hebdo?
Un indubbio successo del terrorismo, appunto nel 2015. Ma evidentemente Abaaoud
non era di quella partita. Poi verrà il salto di qualità del 13/11, cioè il
passaggio da un kalashnikov che non spara un colpo, a una squadra di "almeno
nove" killer. In realtà parecchi di più.
Se poi si
esamina quello che sappiamo del capo di questi tre commandos, appunto Abdelhamid
Abaaoud, ne viene fuori un quadro sconcertante. Quasi tutti i resoconti, o
racconti, lo descrivono come un "soldato di fanteria",
divenuto - non si sa come - "colonnello nella gerarchia dello Stato
Islamico".
Quando arrivò
la prima volta in Siria "fu incaricato di raccogliere i corpi dei soldati
morti in battaglia" e, specificamente, di "svuotare le loro
tasche". Aveva certo una predilezione per lo spettacolo. Apparve più volte
sulla rivista online della jihad, Dabiq, qualche volta mostrandosi
sghignazzante mentre scaricava cadaveri da un pick-up, qualche volta
sfottendo i servizi segreti che non erano riusciti a rintracciarlo mentre
passava attraverso le frontiere europee, qualche altra volta minacciando
attentati.
Secondo David
Thomson, autore di un volume sui jihadisti francesi, Abaaoud "era
considerato niente di speciale". Ciò che sembra qualificarlo come qualcuno
che se la cavava meglio pare sia stata la sua abilità nello sfuggire ai
controlli. Una delle imprese più eclatanti fu il 20 gennaio 2014 quando portò
con sé il fratello tredicenne Younes, verso la Siria. Furono fermati al
controllo passaporti. Infatti Abaaoud era sulla lista dei ricercati [15].
Ma Abaaoud dichiara che lui e il fratello stanno andando a visitare la famiglia in Turchia e vengono lasciati passare.
Ma Abaaoud dichiara che lui e il fratello stanno andando a visitare la famiglia in Turchia e vengono lasciati passare.
Dove è
difficile dire se è più incredibile il comportamento delle autorità francesi di
polizia, e di quelle belghe, oppure quello dello stesso Abaaoud che si espone
al rischio di essere arrestato con tanta totale incoscienza e mancanza di
accortezza. Siamo di fronte al ritratto collettivo di polizie ripetutamente
incapaci, con al centro un terrorista "islamico" piuttosto
balordo, che rischia di farsi prendere ripetutamente per totale incoscienza. A
meno che fosse sicuro che non lo avrebbero preso fino a missione compiuta.
C'è da
chiedersi come mai i giornalisti che hanno scritto questi resoconti non
siano stati in grado di formulare essi stessi gl'interrogativi che qui
balzano agli occhi. Siamo di fronte a colleghi che sembra siano stati
privati del beneficio del dubbio. Cosa che, probabilmente, influirà
positivamente sulle loro carriere giornalistiche [16].
Ma questo è un
altro discorso, che riguarda la Grande Fabbrica dei Sogni e delle Menzogne.
Colpisce, tra le molte altre inquietanti sorprese, il fatto che in pratica
esiste una sola foto dell'interno del Bataclan dopo il massacro.
Stranezza oltre ogni immaginazione nel tempo moderno dove ormai tutti - e
sicuramente tutti coloro che erano andati a sentire il concerto - hanno in
tasca un cellulare in grado di fotografare e filmare. Siamo ormai abituati a
vedere immagini raccapriccianti fotografate e filmate dagli stessi
protagonisti, nelle condizioni più impensabili e drammatiche. Possibile che
nessuno delle centinaia di sopravvissuti abbia fatto altrettanto? Certo nessuno
poteva fotografare al buio e durante la sparatoria. Ma una volta finita la
mattanza e l'ingresso della polizia, nessuno ha pensato di fissare ciò che
stava vedendo?
In uno dei
pochi filmati, quello girato con il cellulare dalla finestra del vicolo
adiacente da un testimone, è possibile vedere, tra i corpi dei morti che
giacciono a terra accanto all'uscita laterale del locale, uno dei feriti che
accende il suo cellulare e cerca di comunicare, forse con un amico o un
familiare, la sua situazione. Cerca soccorso, mentre ancora risuonano alcuni
spari, radi, provenienti dall'interno. Possibile che nessuno dei sopravvissuti
abbia fatto altrettanto? Strano.
Eppure una
ricerca su Google rivela che effettivamente queste foto non ci sono. E l'unica
che a quanto pare esiste, è di una stranezza assoluta. Con una lunga striscia
rossa curvilinea sul pavimento, che sembra stata fatta trascinando qualche
oggetto imbrattato di rosso, largo circa un metro, attorno ai corpi dei morti
(cioè quei cadaveri erano già per terra, in quelle posizioni, e chi ha
disegnato quelle strisce rosse lo ha fatto "attorno" ai loro corpi).
Mentre molti cadaveri delle circa 15 vittime visibili nella foto appaiono
stranamente privi di chiazze di sangue [17].
Ma la faccenda
dell'"unica foto" diventa ancora più complicata qualche mese dopo,
quando un giornalista francese, Hicham Hamza, viene arrestato e
incriminato ufficialmente per "violazione del segreto istruttorio e
diffusione di immagini gravemente lesive della dignità umana". Hamza
scrive per un sito, www.panamza.com, che già aveva accuratamente passato al setaccio la
faccenda di Charlie Hebdo. Cosa ha fatto di tanto grave? Il 15 dicembre
2015 aveva diffuso quella foto dell'interno del Bataclan, scattata a quanto
pare pochi minuti dopo la strage. Da chi non si sa. Il fatto è che Hamza trovò
la foto su un tweet firmato "Israele News Feed" "@IsraelHatzolah".
Dunque l'unica foto del Bataclan è stata resa nota da un sito israeliano.
Maurizio Blondet, che ha rivelato questa circostanza per i lettori italiani, si
addentra nella scoperta sollevando un masso sotto il quale molti interrogativi
si muovono. «Israel Hatzolah - scrive - è praticamente la stessa cosa di United
Hatzolah, una ONG israeliana di paramedici che collabora con l'esercito di
Israele», e il cui presidente è Mark Gerson, un ebreo americano che fu
direttore esecutivo del think-tank "Project for The New American
Century" (PNAC) [18].
Per chi non ha
la memoria corta si trattò del centro d'irraggiamento delle idee neocon
che conquistarono il governo degli Stati Uniti con George Bush Jr e con tutta
la squadra che gestì la "New Pearl Harbor" dell'11 settembre 2001, e
che portarono l'America a invadere l'Afghanistan e l'Irak. Dunque l'unica
foto del Bataclan post massacro viene diffusa al pubblico mondiale da una fonte
israeliana collusa con i neocon [19].
Ma Blondet
procede oltre. Il Bataclan apparteneva, fin dal lontano 1976 alla famiglia
ebraica Toutou, e venne venduto l'11 settembre 2015, cioè due mesi prima della
strage [20].
I vecchi proprietari si sarebbero trasferiti in Israele subito dopo la vendita. Coincidenze, nient'altro che coincidenze, ovviamente. Solo che il Times of Israel scrisse, dopo la strage, che «i responsabili della sicurezza della comunità ebraica erano stati avvertiti in anticipo dell'imminenza di un grosso attentato terroristico» [21].
La notizia, che fu poi censurata, includeva il nome dell'autore del preavviso: il banchiere Edmund De Rotschild. Non meno strana l'intervista che Jesse Hughes, il cantante degli Eagles of Death Metal, ha rilasciato a Fox Business Network quattro mesi dopo l'attentato. In essa il cantante rivela che quella sera, "ben sei uomini addetti alla sicurezza dietro le quinte, erano inspiegabilmente assenti". Forse, aggiunge, "avevano ragioni per non venire".
I vecchi proprietari si sarebbero trasferiti in Israele subito dopo la vendita. Coincidenze, nient'altro che coincidenze, ovviamente. Solo che il Times of Israel scrisse, dopo la strage, che «i responsabili della sicurezza della comunità ebraica erano stati avvertiti in anticipo dell'imminenza di un grosso attentato terroristico» [21].
La notizia, che fu poi censurata, includeva il nome dell'autore del preavviso: il banchiere Edmund De Rotschild. Non meno strana l'intervista che Jesse Hughes, il cantante degli Eagles of Death Metal, ha rilasciato a Fox Business Network quattro mesi dopo l'attentato. In essa il cantante rivela che quella sera, "ben sei uomini addetti alla sicurezza dietro le quinte, erano inspiegabilmente assenti". Forse, aggiunge, "avevano ragioni per non venire".
I dubbi
s'infittiscono. Un altro dei quali scaturisce dall'esame collettivo della
squadra di macellai che ha agito la sera del 13/11. Abbiamo nove nomi, che ci
sono stati forniti dalla polizia. Otto di loro sono morti. Uno è ancora in fuga
mentre scrivo queste righe. Di sette conosciamo qualcosa delle loro biografie.
Per esempio che erano tutti schedati. Cioè erano sotto controllo.
Tutti i loro precedenti erano quelli di piccoli criminali comuni.
Nessuno di loro aveva un passato di fervente credente e praticante. Solo dal
2013 in avanti alcuni di loro mostreranno un più o meno intenso feeling
religioso, che li avrebbe spinti a mettersi in movimento.
Di Abdelhamid
Abaaoud s'è già detto qualche cosa. È stato in carcere più volte per furto
e aggressione. I due fratelli Abdeslam, Ibrahim (31 anni) e Salah (26
anni), erano proprietari, fino al 5 novembre, - cioè sette giorni prima
dell'attentato - di un bar del quartiere di Molenbeek a Bruxelles, chiamato
"Les Beguines", frequentato da prostitute e dove si spacciava droga.
L'ex moglie di Ibrahim, Niama, parla di lui come di uno che «si faceva canne,
dormiva tutto il giorno e non aveva lamentele contro l'Occidente».
Vi pare la
figura di uno che, otto giorni dopo, si farà saltare in aria in un bar di
Boulevard Voltaire?
Di Samy
Amimour si sa che era sotto gli occhi della DGSE, l'intelligence francese,
fin dal 2012. Quando lo arrestano, per tenerlo in cella d'isolamento per 86
ore, gli trovano in casa una storia dei profeti, istruzioni sulla dieta del
buon credente, una copia dell'Èquipe e una di France Football. Il
suo nickname è quello di un noto culturista, Samy Coleman. Dunque un culturista
tifoso di calcio. Interrogato avrebbe detto di essere favorevole alla
"jihad difensiva" e di non poter "nemmeno concepire il
martirio". Anche lui si sarebbe fatto esplodere dentro il Bataclan
all'arrivo delle forze di polizia.
Ismael Omar
Mostefai era stato schedato dalla polizia addirittura del 2010, arrestato
otto volte, ma dopo avere fallito al concorso per entrare in polizia.
Fouad Mohammad
Aggad: era un sorvegliato speciale, di
quelli che sulla scheda segnaletica hanno la "S". Precedenti per
spaccio e risse. Il più innocuo della squadra era Bilal Hadfi: ventenne,
denominato Billy Hood, anche lui schedato. Beveva e andava in giro molestando
le ragazze.
Ce n'erano
altri due, sui cui nomi veri c'è da dubitare perché avrebbero avuto passaporti
falsi. Comunque non si sa nulla. Nomi fotocopia: Ahmad al Mohammad e Mohammad
al Mahmoud, si dice provenienti dalla Siria, via Turchia, entrambi
saltati in aria nei pressi dello Stade de France, e dunque comparse cancellate
dall'oblio del perossido di acetone. Il conto è fatto.
Dei nove già
nominati, cinque saranno quelli che, sempre secondo il racconto della polizia,
salteranno in aria (tre presso lo stadio, cioè Hadfi, Ahmad e Mohammad; uno,
Hamimour, esploso - pare-nel Bataclan; l'altro, Ibrahim Abdeslam, esplode in un
bar di Boulevard Voltaire). Restano vivi in quattro, fino a questo momento. Uno
di questi è Salah Abdeslam, fratello di Ibrahim, quest'ultimo già esploso al
Comptoir Voltaire. La polizia informa che, dopo il massacro di Parigi, Salah
torna in Belgio in macchina, insieme ad altri due passeggeri. Potrebbero essere
Mostefai e Aggad, i due fucilieri del Bataclan rimasti in vita (Amimour si è
ufficialmente fatto esplodere). Ma non è sicuro.
Se i due in
questione sono morti dentro il Bataclan, significa che almeno altri due dei
partecipanti all'operazione si sono salvati, cioè il team era più numeroso di
quanto detto. Quello che è sicuro è il fatto che l'auto viene "fermata
dalla polizia per ben tre volte, l'ultima il 14 novembre alle 9 del mattino, a
Cambrai, ormai a 50 chilometri dal confine belga (in questi momenti qualunque
guidatore con la pelle un po' scura viene fermato, spiega un avvocato degli arrestati
minori) e gli agenti non trovano niente di strano nel terzetto" [22].
E veniamo ora
ai tre suicidi attorno allo stadio. Ore 21:20. Primo kamikaze. Salta con
la sua cintura esplosiva nei pressi della porta D dello stadio dopo che gli è
stato impedito l'ingresso. Oltre a lui rimane ucciso un passante che si trovava
poco distante. Ore 21:30 il secondo kamikaze esplode nei pressi di un
ristorante. La vetrina risulta soltanto incrinata. Nessun morto oltre lui. Ore
22: il terzo kamikaze esplode mentre si trova all'entrata di un vicolo cieco.
Come se stesse cercando di nascondersi. Bilancio di tre esplosioni: tre
kamikaze uccisi e un morto. Invece che una strage in questo caso si può a
ragione parlare di una "mancata strage". Lo stupore di
Blondet, e il mio, viene corroborato da quello della France Presse
che, citando una fonte anonima della polizia, scrive: «È incomprensibile. Un
miracolo che ci siano state così poche vittime. Concretamente quel che hanno
fatto (i jihadisti, ndr), a parte suicidarsi, non ha alcun senso. Se
volete fare una carneficina, lo fate al momento dell'entrata o dell'uscita
degli spettatori (.) qui ci sono solo dei tizi che si sono suicidati». La
polizia francese è distratta, ma qualcuno ragiona. Solo che preferisce restare
anonimo.
Andiamo ora a
vedere cosa succede al quarto attentatore suicida. Solo le ore 21:45.
Quindici minuti dopo il secondo kamikaze dello stadio e quindici minuti prima
del terzo. Ibrahim Abdeslam è seduto sulla terrasse al n.253 di
Boulevard Voltaire. I testimoni, padrone del locale e camerieri, ricordano che
se ne sta taciturno e tranquillo. E prima di saltare per aria non grida, non
inneggia al Profeta. Quando la cameriera si avvicina per prendere l'ordinazione
avviene l'esplosione. Lui muore, lei, seppure gravemente ferita, rimane in
vita. Bilancio al momento: quattro kamikaze morti, un solo disgraziato passante
li ha accompagnati a miglior vita. L'anomalia della situazione diventa enorme.
E sempre più inspiegabile, date le premesse. Tanto più che Ibrahim sarebbe stato
colui che noleggiò la SEAT nera e la parcheggiò a Montreuil, lasciando al suo
interno tre kalashnikov, con cinque caricatori pieni e 11 vuoti. Una cosa
sconclusionata. Che se ne facevano di undici caricatori vuoti? Erano quelli del
Bataclan? Ma chi ce li ha portati? In tal caso sono rimasti vivi. Doveva
partecipare anche lui alle sparatorie? Ma non lo fece. Era suo compito
aspettare i macellai del Bataclan e portarli fuori città? Ma allora perché si
fa esplodere prima che il massacro cominci? E in quel modo, insensato come
quello dei tre suicidi dello stadio?
Anche qui
riemerge la sbalorditiva creduloneria dei giornalisti dei grandi organi
di informazione: non ce n'è uno che metta insieme i pezzi del puzzle che ha
di fronte. Possibile che a nessuno sia venuta in mente la possibilità che i
quattro kamikaze siano stati fatti saltare per aria da un sistema d'innesco
a distanza? Cioè che non siano stati loro a decidere il momento, a
premere il pulsante fatale, ma qualcun altro (alla luce dei risultati anch'egli
piuttosto sprovveduto), che si trovava da qualche altra parte?
Non si potrebbe
ipotizzare che almeno qualcuno di loro non sapesse affatto di essere destinato
a fare il kamikaze, ma che avesse ricevuto in dotazione un cellulare per
mantenere le comunicazioni con gli altri del commando. Un cellulare in realtà
riempito di esplosivo e comandato a distanza (così si spiegherebbe la debolezza
delle cariche)? Ipotesi queste, niente affatto peregrine, se si ricorda quante
volte, al passaggio del metal detector di un aeroporto, i sorveglianti chiedono
di accendere il cellulare per vedere se è davvero un cellulare [23].
E che dire dei
due cellulari ritrovati dalla polizia: uno nei pressi dello stadio, l'altro nei
pressi del Bataclan? Sembra che questa banda di pasticcioni sanguinari abbia
volutamente lasciato tracce per la ricostruzione degli eventi. E risulta -
sempre dalle informazioni postume fornite dagl'inquirenti - che ci fossero
telefonate continue che collegavano il cellulare di Abaaoud e quello di almeno
uno dei kamikaze dello stadio, mentre uno del terzetto del Bataclan avrebbe
comunicato, non si sa a chi, via sms, che stava per cominciare la strage.
Queste le trouvailles che la polizia ha lasciato filtrare in diversi
momenti delle indagini [24].
Lascio da parte
molte altre informazioni, che Maurizio Blondet ha raccolto [25], dove testimoni oculari parlano di altri
killer, di alta statura, di pelle bianca, arrivati a bordo di una Mercedes
nera, atletici, vestiti di nero, che "sembravano militari o
mercenari", efficienti e operativi nelle sparatorie contro i
bar e ristoranti. O dei quattro , che "sembravano morti viventi, come
fossero drogati", che se ne stettero a bordo della Polo nera con targa
belga, parcheggiati non molto lontano dal Bataclan, per quasi due ore. Tanto
sospetti che un avventore di un vicino locale cercò di avvertire la polizia, ma
senza successo.
Fino alla
conclusione della mattanza del 18 novembre, altrettanto inverosimile di
tutto quanto fin qui raccontato. La polizia, la DGSE, trovano il covo di
una parte dei terroristi: è nel quartiere di Saint Denis, un appartamento al
terzo piano di Rue de Corbillon. Sono passati poco più di tre giorni. Sono le
quattro del mattino del 18 novembre.
Il quartiere
viene sgomberato e circondato da un grande schieramento di forze militari e di
polizia. I terroristi non possono sfuggire. Sarebbe cruciale prenderne qualcuno
vivo in modo che possa raccontare tutto quello che sa. Invece le forze di
polizia lanciano l'assalto.
Comunicheranno
dopo di avere sparato più di 5000 proiettili, accrescendo così il sospetto
che lo scopo dell'operazione fosse di non farne uscire nessuno vivo. Dentro
- risulterà - erano solo in tre. L'unica donna, la cugina di Abaaoud, Hana Ait
Boulachen cercherà disperatamente, gridando, di segnalare alla polizia che lei
non c'entra per niente. La polizia dirà che si è fatta esplodere, poi
rettificherà dicendo che è morta nell'onda d'urto dell'esplosione con cui uno
dei due uomini si è immolato.
Chi fossero ce
lo racconta ancora la polizia. Di uno dei due non si conosce l'identità. Di lui
è restata solo una porzione del cranio. Dell'altro invece, stando alla
ricostruzione di Repubblica, già qui citata, si sa tutto. E' bastata "la
falange del dito di una mano", unico "brandello di un cadavere
dilaniato dall'esplosione di un giubbotto imbottito di Tatp, perossido di
acetone", per ricavare che quel dito apparteneva a Abdelhamid Abaaoud. Questa
volta la carica era così potente da fare fuori tre persone in un colpo solo:
mica come quelle degli altri kamikaze!
Davvero era
necessario sparare cinquemila proiettili? Hanno fatto tutto da soli. Sarebbe bastato aspettare il far del giorno.
Così il bilancio finale della squadra di killer islamici dice che i morti
ufficiali sono stati otto. I sei kamikaze hanno ucciso un solo estraneo. Tre
sono fuggiti, di loro conosciamo soltanto Salah, gli altri due non sono noti.
Forse coincidono con Mostefai e Aggad, usciti vivi dal Bataclan. Ma non è
certo. Dei giovanotti vestiti di nero scesi da una Mercedes non c'e traccia nei
racconti ufficiali. Di chi era il pezzo di cranio? Chi fu il bombarolo che
preparò le cariche? Perché i cellulari lasciati a terra? Perché l'assalto del
quartiere Saint Denis? I kamikaze erano "radiocomandati"? Cioè c'era
qualcun altro che schiacciava i pulsanti dei detonatori? Perché non ci sono
fotografie del salone del Bataclan dopo l'eccidio?
Forse sarà
necessario fare di nuovo ricorso al segreto militare. Chi scrive non ha
nessuna di queste risposte. Ma questo non lo priva della possibilità di
formulare delle ipotesi semplici. Torno alla strage di Charlie Hebdo.
Il segreto militare del ministro Cazeneuve ha fermato l'indagine quando sono
emersi i contatti tra un informatore che agiva per conto dei servizi segreti
francesi e il terrorista Ahmedy Coulibaly. Le polizie di tutto il mondo
infiltrano i loro uomini e donne nelle organizzazioni criminali e terroristiche.
E, simultaneamente usano i criminali e i terroristi che hanno intrappolato
preventivamente, come strumenti per raccogliere informazioni, ricattandoli. Da
qui al loro uso come attori, comparse, capri espiatori da esibire al pubblico
in caso di necessità, il passo è brevissimo. Tanto più facile quando questi
capri espiatori non sanno di esserlo e agiscono con la convinzione di essere
eroi che lottano per la loro causa, quale che essa sia. E, tanto più sono
fanatici, quanto più è possibile guidarli verso obiettivi opportunamente
predisposti. Con questi mezzi si possono compiere piccole e medie
provocazioni. Ma si possono anche realizzare, quando serve, grandi,
colossali, sanguinose false flag operations, operazioni in cui deve
sventolare agli occhi del pubblico una "falsa bandiera", mentre
coloro che le hanno organizzate rimangono totalmente al coperto.
In questo caso
almeno sette dei kamikaze morti nell'attacco terroristico del 13/11 erano nella
condizione di ricattabilità. La libertà di movimento di cui hanno goduto
suggerisce che erano anche sotto una qualche rete di sicurezza.
Il compito
della democrazia, se esiste, è scoprire chi costruisce queste operazioni. Il
segreto militare, il segreto di Stato, al contrario, serve per proteggere i
servizi dello Stato che - magari lavorando per altri Stati - deviano dai loro
compiti e dai loro doveri. A meno che, come ci ha fatto ricordare Wikileaks,
siano altri servizi segreti (o settori deviati), di Stati amici,
che non è possibile smascherare, proprio perché ufficialmente amici, i quali
organizzano la false flag operation per punirci quando diventiamo
disobbedienti. Qualcuno potrebbe non sopportare che noi europei ci consideriamo
"alleati ma non allineati". Neppure su questioni secondarie. Dobbiamo
essere in ginocchio, sempre, altrimenti potremmo essere oggetto di
"una lista di obiettivi di rappresaglia, che crei una certa
sofferenza" [26].
Se le cose
stanno così dobbiamo, noi europei, chiederci se siamo disposti a lasciarglielo
fare.
NOTE
[1] Avis n° 2015-09 du 18 juin 2015 (Journal Officiel de la
Republique Française): contiene la notizia di una lettera del 1° giugno
2015, in cui il ministro degl'interni B. Cazeneuve si oppone a una richiesta di
declassificazione di importanti documenti dell'inchiesta da parte dell'istanza
dei giudici del Tribunale di Lilla. La commissione consultiva per il segreto
circa la difesa nazionale, dà ragione al ministro.
Solo il 10 settembre la notizia verrà rivelata al
grande pubblico dal sito francese Mediapart, dove, per la penna di Karl
Laske, si saprà che l'inchiesta dei giudici francesi, Stanislas Sandrapos e
Richard Foltzer, circa il percorso seguito dalle armi del defunto terrorista
Coulibaly è stata fermata là dove emergevano i rapporti tra i terroristi e i
servizi segreti francesi. L'inchiesta della magistratura aveva rivelato che
Coulibaly acquistò le armi da un certo Claude Hermant, importatore di armi
attraverso la società commerciale Seth con sede a Haubourdin, e collaboratore
dei servizi segreti francesi.
[2] Stacy Meichtry - Joshua
Robinson, "Paris Attacks Plot Was Hatched in Plain Sight", The Wall Street
Journal, 27-29/11/2015.
[3] «Per la legge in questione è stato usato un acronimo orwelliano: 'USA
PATRIOT Act' è la sintesi di "Uniting and Strengthening America by
Providing Appropriate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism
Act", ossia "Legge per unire e rafforzare l'America offrendo gli
strumenti adatti richiesti per intercettare e bloccare il terrorismo".
Attraverso il nome è stata data una perentoria patente di patriottismo a un
delicato provvedimento che in realtà sospende molte leggi di garanzia. Con un
metodo ricattatorio (chi si oppone a qualcosa che si chiama Patriot diventa per
definizione 'antipatriottico') l'amministrazione Bush ha subito mirato a
tacitare le critiche e prevenire discussioni sugli ineluttabili abusi» (cfr.
Pino Cabras, Strategie per una guerra mondiale, Aisara, 2008).
[5] ibidem, nota 4.
[6] Vedi http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=58814; e anche http://megachip.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=58822&typeb=0 oppure http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=123641.
È interessante notare che persino in occasione della
strage di Oslo del 22/07/2011, come rivelò il più importante quotidiano norvegese,
Aftenposten, la scena del crimine aveva letteralmente ricalcato
simulazioni in corso degli apparati di sicurezza in quella stessa giornata.
Solo poche ore prima che Anders Behring Breivik iniziasse a sparare sui
ragazzi di Utøya le squadre di emergenza della polizia avevano concluso
un'esercitazione in cui avevano sperimentato una situazione quasi identica: «un
attacco terrorista mobile nel quale l'unico obiettivo di uno o più esecutori
consisteva nello sparare a quanta più gente possibile e poi nel fare fuoco sui
poliziotti al loro arrivo. "Era assai simile allo schema. Così ha voluto il
caso", dichiara una fonte attendibile della polizia, che ha chiesto
l'anonimato». (http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=63448).
[13] R. Callimachi, K. Bennhold
and L. Fourquet, " How the Paris Attackers Honed Their Assault Through
Trial and Error", New York Times, 30 novembre 2015.
[14] Ibidem. Dartboard terrorism.
[15] «Era nel database di tutti i paesi europei, ma ritornò
in Europa come se stesse per andare in una vacanza al Club Med». New York Times, 30/11 (frase
attribuita dal NYT alla madre, anonima, di uno dei jihadisti morti nei
combattimenti in Siria. C'è da dubitare, tuttavia che la madre di un terrorista
adotti questo tipo di linguaggio e riferimenti turistici di questo genere).
[16] Mi riferisco specificamente a tre ricostruzioni degli eventi: 1) Wall
Street Journal (27-29/11), firmata da Mathhew Dalton, Inti Landauro,
Noemie Bisserbe, Mohammad Nour Alakraa, Matt Bradley, Dana Ballout, Giada
Zampano, Anton Trojanovski; 2) Quella citata del New
York Times
(30/11), firmata da K. Callimachi, K. Bennhold, L. Fourquet;
3) La
Repubblica
(20/11), Con le firme di Carlo Bonini, Giuliano Foschini,
Anais Ginori, Fabio Tonacci.
[20] http://www.timesofisrael.com/jewish-owners-recently-sold-pariss-bataclan-theater-where-is-killed-dozens/
[22] http://www.maurizioblondet.it/parigi-qualche-kamikaze-era-radiocomandato/ Devo alla ricostruzione di Maurizio Blondet, ricca di particolari e di citazioni dalle fonti francesi, gran parte dei dati riguardanti gli attentatori suicidi, e anche gran parte delle sue considerazioni successive, che considero molto convincenti.
[23] "Secondo una fonte giudiziaria - scrive il Figaro -le cinture
esplosive avrebbero potuto essere azionate da telefono portatile".
[24] "Attentats de Paris: 'Les terroristes? On aurait cru des morts-vivants'", Le Figaro, 15/11/2015.
[25] "Paris attack witness: 'he was dressed in black, professional, shooting and killing'", The Guardian, 14/11/2015.
[26] Wikileaks ha publicato un cablogramma che l'ambasciatore americano a
Parigi inviò al Dipartimento di Stato il 14 novembre 2007. Nel quale si
formula, riferendosi ai negoziati di libero scambio tra Europa e Stati Uniti,
la proposta di "calibrare" la lista, sia verso l'Europa intera,
poiché "la responsabilità è collettiva", sia verso i
"responsabili principali", cioè la Francia. Il tutto in un contesto
come quello di "alleati ma non allineati". Frase che lo stesso
cablogramma riferisce all'allora presidente francese Sarkozy.
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