lunedì 7 aprile 2014

Il grande bluff del petrolio


Il grande bluff del petrolio in Basilicata non ha portato né soldi né occupazione. Tanti pozzi attivi, un territorio traforato selvaggiamente, dubbi sulle conseguenze per la salute degli abitanti ma scarse ricadute economiche per la Basilicata contro i grandi delle compagnie petrolifere. All’inizio si pensava che la regione avrebbe potuto godere di vantaggi e crescita derivanti dalle estrazioni di idrocarburi, tali da poter creare infrastrutture e soprattutto occupazione. Nei fatti ciò non è stato. Oggi si combatte con l’inquinamento dovuto dall’attività di sfruttamento dell’oro nero, secondo l’Ola infatti «gli idrocarburi nelle acque del Pertusillo sono risultati fino a 32 volte superiori ai limiti di legge per le acque di classe A2; gli drocarburi nei sedimenti dell’invaso sono risultati fino a 13 volte superiori ai limiti di legge per gli scarichi fognari, mentre i metalli pesanti sono risultati anche migliaia di volte superiori ai limiti; sia nelle acque che nei sedimenti è presente in dosi significative il bario». Noscorie Trisaia pone l’accento sull’inquinamento sotterraneo e superficiale «che l'attività di estrazione petrolifera produce sulle sorgenti, sugli invasi e i corsi d'acqua in Val d'Agri, sull'inesistenza, a distanza di oltre 15 anni, dei monitoraggi ambientali previsti dall'accordo Eni-Regione, mentre quelli esistenti, sono parziali e di parte, mentre insufficienti sono quelli pubblici. Come non parlare delle ferite ancora aperte da Eni in Val Basento, della bonifica ancora sulla carta dell'area industriale di Pisticci-Ferrandina, della sua bonifica unitamente a quella dei pozzi delle concessioni Eni Serra Pizzuta e Cugno Le Macine dove la Geogastock vuole stoccare il gas che dovrà giungere in Italia dal Mar Caspio. Queste sono solo alcune questioni da cui le popolazioni attendono da Eni risposte chiare, unitamente alle questioni occupazionali e sulle condizioni di lavoratori ed ex lavoratori Eni esposti a sostanze tossiche e nocive».

Secondo Cosimo Latronico nella “Basilicata Saudita” «emergono tracce degli effetti collaterali prodotti dalle attività estrattive. E così scopri che un piccolo paradiso, una contrada di Corleto Perticara (Tempa Rossa), ormai feudo della Total, è stata trasformata in un inferno: 2.000 metri cubi di veleni, un micidiale cocktail di idrocarburi e metalli pesanti vengono stoccati in contrada Serra d’Eboli. La discarica - aggiunge Latronico - viene poi ricoperta con un metro di terreno e riconsegnata agli ignari pastori che vedono morire le proprie greggi. Per la Procura di Potenza, che indaga sulla vicenda, le ipotesi di reato sono omicidio plurimo colposo e attentato alla salute pubblica. Siamo di fronte a un attacco all’arma bianca. Con attività estrattive svolte in aree dove si registra un forte dissesto idrogeologico, a rischio sismico, e si trivella in prossimità di dighe, laghi, sorgenti, campi coltivati e centri abitati».

I cittadini valligiani preoccupati dall’inquinamento

dovuto allo sfruttamento degli idrocarburi

I cittadini, soprattutto i comitati spontanei e le sigle dell'ambientalismo, lo dicono chiaro e forte che ci sono ripercussioni sulla salute pubblica. Loro citano anche numeri documentati ma ovviamente nella filiera dei controlli ciò non risulta in modo cristallino. Ma proprio i controlli non convincono. Lo dice un medico della Val d'Agri con l'esperienza diretta del Centro oli di Viggiano.«Per quello che sappiamo a Viggiano non esistono situazioni come quella di Corleto Perticara però noi sosteniamo che ci sono rischi per la salute dalle attività in corso in quanto non ci fidiamo dei controlli», sostiene Giambattista Mele, medico, promotore del comitato ''Laboratorio per Viggiano''.«Ai controlli non ci crediamo - aggiunge - secondo noi, non vengono proprio fatti dalle autorità pubbliche. L'osservatorio ambientale inaugurato l'anno scorso non è mai entrato in funzione. E il Centro di monitoraggio su cui la Regione ha fatto molto 'battage' pubblicitario nelle settimane scorse -aggiunge Mele - seguirà la nostra situazione da Potenza attraverso l'Arpab. Non siamo soddisfatti. Per questo abbiamo presentato un progetto all'Unione europea per creare una rete locale di monitoraggio. Stiamo aspettando il responso, altrimenti ci muoveremo con indagini indipendenti». Mai come ora in Basilicata proliferano i comitati civici e stanno facendo rete. «Ormai la Basilicata e' interessata interamente da richieste di permessi - sottolinea Mele - e quindi stiamo unendo gli sforzi. In questi giorni stiamo portando la nostra esperienza a Brienza e Marsiconuovo per la concessione Monte Cavallo della Shell».

Petrolio: consiglio regionale sulle liberalizzaioni e sulle prospettive di sviluppo

La Regione chiese che «Governo e Unione europea riconoscano alla Basilicata una specialità programmatica con percorsi attuativi eccezionali». E’stata chiesta la destinazione di quote delle maggiori entrate erariali accertate allo sviluppo di progetti infrastrutturali e occupazionali di crescita dei territori di insediamento degli impianti produttivi e di quelli limitrofi. Il voto alla Camera che ha convertito in legge il decreto del governo Monti sulle liberalizzazioni, con il via libera alle previsioni dell’articolo 16 rappresenta uno spartiacque nella storia del petrolio lucano. Due gli aspetti principali: princìpi di precauzione, di sicurezza per la salute pubblica, di tutela della qualità ambientale e paesistica e la previsione di sviluppo di progetti infrastrutturali e occupazionali di crescita dei territori d’insediamento degli impianti produttivi. Le risorse economiche che giungono in Basilicata ammontano a 710 milioni di euro.

Altra questione di rilevante importanza investe le royalties che oggi sono pari al 12 per cento a barile. Un vero Eldorado per le compagnie petrolifere che in Italia pagano molto di meno rispetto alla Norvegia e all’Indonesia, dove le royalties sono pari all’80 per cento, mentre Canada e Kazakistan giudicano insufficiente il 45 per cento che incassano sui ogni barile. Pochi soldi invece per la regione: 800 milioni di euro, che in 11 anni la Basilicata si è vista piovere addosso. Per il prossimo decennio saranno almeno 6 i miliardi di euro in royalties.

Dai 25 pozzi attivi in Val d’Agri - evidenzia Simonetti - la Basilicata estrae l’80 per cento della produzione petrolifera italiana., il 5-6 per cento del fabbisogno nazionale. Le compagnie petrolifere, l’Eni e la Shell, in particolare, puntano a passare dagli attuali 80.000 barili al giorno ai 104 mila, più altri 25 mila. Con l’ampliamento del Centro Oli di Viggiano e l’entrata in funzione dell’impianto Total di Tempa Rossa la Basilicata raddoppierebbe la sua produzione fino a 175 mila barili al giorno, il 12 per cento del consumo italiano».

Ma perché benzina e gasolio costano tanto?

La maledizione dei costi così alti va addebitata alle accise che resistono da settant’anni per ripianare altri debiti: 1,90 lire per il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935, 14 lire per il finaziamento della crisi di Suez del 1956, 10 lire per il finanziamento del disastro del Vajont del 1963, 10 lire per il finanziamento dell’alluvione di Firenze del 1966, 10 lire per il finanziamento del terremoto del Belice del 1968, 99 lire per il finanziamento del terremoto del Friuli del 1976, 75 lire per il finanziamento del terremoto dell’Irpinia del 1980, 205 lire per il finanziamento della guerra del Libano del 1983, 22 lire per il finanziamento della missione in Bosnia del 1996, 39 lire per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004. Il prezzo complessivoè composto da varie voci: dal costo del prodotto raffinato, il trasporto primario, il costo di stoccaggio, le varie spese di ufficio e punto vendita, fino al margine per il gestore. Sembrerebbero molte, ma tutte queste voci - che contemplano spese e guadagni per divesi soggetti - ammontano solo al 30 per cento del costo del carburante. La vera “vergogna” arriva dalle famose accise che pesano per il 52 per cento sul costo totale. Prese singolarmentesi tratta di cifre minime, nell’ordine del millesimo di euro o di 10 centesimi, eppure sommate, queste dieci una tantum sono diventate col passare degli anni una massa che determina un aggravio complessivo di quasi 25 centesimi. Ma quanto guadagna lo Stato?I conti sono facili, ogni centesimo di aumento sul carburante comporta un maggiore introito di circa 20 milioni di euro al mese per le casse dello Stato. Secondo i dati dell’Unione petrolifera nel 2007, le entrate fiscali alimentate dai prodotti petroliferi sono state superiori ai 35 miliardi (24,7 derivanti dalle accise e 10,5 dall’Iva). Inoltre, dal 1999, le Regioni hanno la facoltà di imporre accise regionali sui carburanti. A ciò si somma l'imposta di fabbricazione sui carburanti, per un totale finale di 70,42 centesimi di euro per la benzina a litro e 59,32 per il gasolio a litro. Su queste accise viene applicata anche l'Iva, che grava per circa 15 centesimi di euro nel primo caso e 12 nel secondo.

La corte dei Conti guarda nelle tasche della Regione

Secondo Maurizio Bolognetti, segretario dei Radicali Lucani, la Regione guadagna ricche royalties: «Non sempre usate per scopi utili tanto che la Corte dei Conti ha aperto dei fascicoli per possibile uso improprio di fondi pubblici. La Basilicata vorrebbe, anzi, maggiore riconoscenza per un contributo al fabbisogno nazionale attualmente dell'8 per cento e con l'estrazione Tempa Rossa destinata a salire al 12 per cento. Dalla regione lucana arriva l'80 per cento del petrolio italiano. Quindi è strategica. Ma in Basilicata questo ''sacrificio'' pesa e non poco per le ripercussioni su salute, paesaggio, agricoltura, parchi e natura».

Utilizzo delle rotalties

Altro nodo essenziale è quello di prevedere una diversa utilizzazione delle royalties dedicate ai Comuni che a volte restituiscono i soldi perché non possono realizzare quanto previsto, di qui la necessità di favorire i progetti per l’occupazione e introdurre, ad esempio, l’apprendistato con eliminazione dell’Irpef e della contribuzione previdenziale per almeno tre anni, così si potranno creare nuove figure professionali ormai scomparse in molti comuni: dal falegname all’idraulico, dal calzolaio al fabbro, etc. Da questo punto vista non risulta affatto peregrina la proposta del capogruppo consiliare della Sel Giannino Romaniello di favorire i progetti per l’occupazione nei nostri centri, piccoli o grandi che siano.

(Aloisio)

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