giovedì 19 giugno 2014

Responsabilità civile dei magistrati: una riforma all'orizzonte ed ulteriori risvolti

Ancora polemiche sulla vexata questio della responsabilità dei magistrati: a riaprire le danze è stato il ministro della giustizia Orlando che ha dichiarato: “Sul tema della responsabilità civile dei magistrati non ritengo che sia configurabile un'ipotesi di responsabilità che preveda la responsabilità diretta, non perchè abbia a che fare con intoccabilità o intangibilità del magistrato, ma perchè questo tipo di intervento rischia di provocare un effetto diametralmente opposto a quello auspicato, cioè una riduzione delle garanzie all'interno del processo, l'idea di una più forte burocratizzazione della giurisdizione”. Fondamentalmente per il Guardasigilli ciò che non funziona nel nostro paese è il “filtro”, perchè inibirebbe di fatto la possibilità di attivare il meccanismo della responsabilità e di discutere su quale possa essere il livello congruo della rivalsa sul magistrato, assicurando che il percorso arrivi a buon fine. “Questo ci chiede l'Europa”, ha giustamente ribadito, “e può essere un modello che può essere utilizzato complessivamente nel nostro ordinamento interno, senza la ricerca di sperimentazioni che a mio avviso rischiano di rovesciare nel contrario di ciò che si dice il risultato”. A dir la verità, e al di là dell’emendamento Pini, da tempo si attendevano cambiamenti e riforme radicali sul tema della giustizia, basti pensare alle innovazioni previste nella riforma a cui sta lavorando da tempo il ministro Orlando, da presentare entro fine mese. Sicuramente il tema della responsabilità diretta dei giudici meritava e merita di fatto particolare attenzione. Ma siamo sicuri che si possa innovare un campo così delicato con un emendamento approvato mediante voto a sorpresa, senza dare giusto peso e rilievo alla faccenda? Come precedentemente detto, la legge Vassalli del 1988, ancora in vigore, che introdusse la responsabilità civile dei giudici soltanto per i casi di dolo e colpa grave o per diniego di giustizia, con la possibilità di fare causa allo Stato e non direttamente al magistrato, (salvo la facoltà dello Stato di rivalersi poi sul magistrato) fu da molti considerata (e specialmente dai promotori del referendum del 1987 per l’abrogazione delle garanzie a favore dei magistrati) un tradimento del mandato referendario. Berlusconi ha provato più volte a modificare la legge negli anni di governo del centrodestra. Poi sono arrivati i solleciti dell’Europa, secondo cui la normativa italiana limita eccessivamente la responsabilità civile dello Stato (e non del singolo magistrato) davanti ai danni causati dagli errori dei giudici nell’applicazione del diritto comunitario. “Ma non si ripartirà dall’emendamento Pini”, precisa il Guardasigilli Orlando, che ha definito il voto della Camera “una grave disattenzione”, parlando di “tentativo rozzo” e di “autogol”. Si ripartirà, con alcune modifiche, dal disegno di legge presentato dal senatore democratico Buemi, già in esame alla commissione Giustizia del Senato. Perché allora non optare per un restyling della legge Vassalli, modificando il filtro di ammissibilità per i ricorsi del cittadino, che è ora eccessivamente rigido secondo l’UE? Diverse voci auspicano anche che la responsabilità del magistrato rimanga indiretta, anche se viene dato per certo un aumento della rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato, che da un terzo dello stipendio potrebbe essere portata fino alla metà. E  i cittadini potranno chiamare in causa i magistrati solo in caso di dolo e manifesta violazione del diritto. Rimaniamo in attesa di ulteriori novità su di un tema fin troppo delicato.
(Ilda)

domenica 15 giugno 2014

Responsabilità civile dei giudici: passa il testo della Lega

La responsabilità civile dei magistrati è attualmente  disciplinata dalla legge 117/1988, che ha dato alla materia una nuova regolamentazione all’indomani del referendum del novembre 1987, che ha comportato l’abrogazione della previgente, fortemente limitativa dei casi di responsabilità civile del giudice. L’articolo 1 della legge n. 117/1998 ne delinea il campo d’applicazione, stabilendo che le disposizioni sulla responsabilità civile dei magistrati si applicano «a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l'attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria». Sotto il profilo sostanziale, l’articolo 2 della legge n. 117 afferma il principio della risarcibilità del danno ingiusto. Secondo la costante interpretazione della giurisprudenza, il danno ingiusto risarcibile, secondo la nozione recepita dall'art. 2043 cod. civ., è quello che produce la lesione di un interesse giuridicamente rilevante, senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo (Cass., III sez., ord. 10 agosto 2002, n. 12144; Sez. III, sent. 19 luglio 2002, n. 10549). Il danno deve rappresentare l’effetto di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con “dolo” o “colpa grave” nell’esercizio delle sue funzioni ovvero conseguente “a diniego di giustizia”. Chi ha subìto il danno ingiusto non può agire direttamente in giudizio contro il magistrato, ma deve agire contro lo Stato (art. 2, comma 1). Lo Stato, a determinate condizioni, può esercitare l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato (art. 7). Sotto il profilo processuale (artt. 4 e 5), l'azione di risarcimento del danno contro lo Stato:
1. deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri e davanti al tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello competente ai sensi dell’art. 11 c.p.p. e dell'articolo 1 delle norme di attuazione del codice di procedura penale;
2. è esperibile soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno;
3. deve essere proposta a pena di decadenza entro 2 anni dal momento in cui l’azione è esperibile (3 anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno se in tal termine non si è concluso il grado del procedimento nell'ambito del quale il fatto stesso si è verificato);
4. è sottoposta a delibazione preliminare di ammissibilità (controllo presupposti, rispetto termini e valutazione manifesta infondatezza) da parte del tribunale distrettuale.
Se è accertata nel giudizio la responsabilità del magistrato, lo Stato, entro un anno dal risarcimento, esercita nei suoi confronti l'azione di rivalsa (artt. 7 e 8). L’esercizio dell’azione disciplinare, poi, nei confronti del magistrato ordinario per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento spetta al procuratore generale presso la Corte di cassazione.
Si applicano, invece le norme ordinarie nel caso in cui il danno sia conseguenza di un fatto costituente reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni (articolo 13).
In generale, da molteplici voci, la legge n. 117 del 1988 è stata considerata in contrasto con lo spirito del referendum abrogativo del 1987 perché eccessivamente favorevole al magistrato. Nel 1995 e nel1999, giova ricordarlo, sono state presentate richieste di referendum abrogativo ma, in entrambi i casi, è stata la Corte costituzionale a giudicare i quesiti inammissibili.
Nella sentenza 13 giugno 2006, emessa nella causa C-173/03 (Traghetti del Mediterraneo), la Corte di giustizia ha affermato che «Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un'interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale». La Corte ha inoltre osservato che «Il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler». Dunque, l'UE ci chiedeva di modificare la norma attuale, che di fatto limita la platea di chi ha diritto a chiedere un risarcimento, non essendo oggi applicabile alle violazioni del diritto comunitario.
Muovendo da queste premesse e forse distorcendo un po’ i termini del problema, la Camera ha approvato di recente un emendamento della Lega Nord a una legge comunitaria che introduce la responsabilità civile dei giudici. La Lega, per altro, aveva chiesto il voto segreto sul suo emendamento, riferito all’articolo 26 della legge comunitaria. In base al testo approvato, proposto dal leghista Gianluca Pini “chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario” compiuto dal magistrato, “in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave” può agire contro lo Stato e contro il magistrato ritenuto colpevole. E può così ottenere il risarcimento dei danni. Gli oneri derivanti dall’attuazione della nuova norma verrebbero valutati in 2,45 milioni di euro per l’anno 2014 e in 4,9 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2015. La proposta di Pini ripropone un tema trentennale, trito e ritrito, risalente a quando gli italiani furono chiamati a votare su di un referendum promosso dal Partito Radicale all'indomani del più clamoroso caso di malagiustizia italiana, quello relativo alla accuse infami e diffamanti subite da Enzo Tortora. Una vicenda che grida "vendetta", civile s'intende, ancora oggi. Per quanto la vicenda Tortora faccia ancora scalpore e clamore, il testo approvato ha suscitato non poche perplessita.
In primis critiche sono piovute dal premier Renzi, il quale definisce l’accaduto come “una tempesta in un bicchier d’acqua” e spiega quindi che la norma sarà modificata a scrutinio palese al Senato. Per il ministro della Giustizia Orlando trattasi di "un pasticcio che non aiuta ad affrontare seriamente il tema e che va quindi rapidamente corretto". Dal canto suo, l'Associazione nazionale magistrati definisce la norma introdotta dalla Camera come viziata da "evidenti profili di illegittimità costituzionale. E’grave e contraddittorio che si indebolisca l'azione giudiziaria proprio mentre la magistratura è chiamata a un forte impegno contro la corruzione". Sicuramente però sarebbe anche inaccettabile l’esistenza di una “zona franca”, di una casta di intoccabili, nonostante ovviamente i magistrati già abbiano una responsabilità penale, civile (indiretta) e disciplinare (più effettiva di quanto non si dica, anche se ancora non sempre capace di stanare le sacche di scarsa professionalità) grazie alla Legge Vassalli.
Il problema, tuttavia, andrebbe affrontato con lucidità e attenzione, perché consentire senza paletti determinati l’azione diretta contro i magistrati produrrebbe effetti gravemente distorsivi non soltanto per la categoria, quanto soprattutto per i comuni cittadini e per la tutela efficace dei diritti. La norma introdotta nella legge comunitaria sulla responsabilità civile dei giudici verrà comunque riesaminata e vagliata in Senato e noi attendiamo il verdetto finale.

(Ilda)





sabato 14 giugno 2014

Riforma PA in arrivo



Riforma della Pubblica Amministrazione avviata da Matteo Renzi: articolata in decreto e in ddl su delega. "Non ho preso il 40% per per stare a vivacchiare. Mentre qualcuno passa la giornata a vedere cosa fa un senatore noi stiamo rivoluzionando l'Italia", afferma il premier in conferenza stampa.
I provvedimenti vagliati e varati dal Consiglio dei Ministri sono molteplici: un decreto sulla scuola per assegnare fondi, quote di patto di stabilità, un decreto sul processo telematico amministrativo entro il 2015, il decreto sull’identità digitale, il pin per avere accesso ad un intervento amministrativo: “Ho letto critiche al testo, del tipo che si è snaturato e si è venuti meno agli obiettivi”, afferma Renzi. “Per me gli obiettivi ci sono, poi il Parlamento è sovrano”. Ed ancora, ci sono le norme sul ricambio generazionale, che permetteranno di creare 15 mila posti con la modifica dell’istituto del trattenimento in servizio. Dimezzato il monte ore dei permessi sindacali ed inoltre è stato approvato il taglio del 10% delle bollette energetiche per le imprese. Poi, grazie all’accorpamento delle Camere di commercio e al taglia-bollette, le imprese, in particolare le pmi, pagheranno 2 miliardi di tasse in meno.
Per quanto riguarda l’Autorità Nazionale AntiCorruzione, presieduta da Raffaele Cantone, è previsto che le siano attribuiti i poteri esistenti e anche i poteri dell’Autorità di controllo e vigilanza dei contratti e servizi pubblici. L’Anac potrà dunque, in caso di necessità, proporre un commissariamento ad hoc non dell’azienda, ma di quella parte dell’azienda che svolge un lavoro contestato. Per Expo 2015 nascerà anche il cosiddetto “Open Expo” in cui tutti i dati saranno disponibili online, voce per voce.
Per quanto concerne, poi, il campo giudiziario: “Si è provveduto ad un regime di transizione per evitare che gli uffici direttivi della magistratura e dei tribunali fossero decapitati dalla sera alla mattina”. Ovvero, a decorrere dal primo ottobre 2014 ssaranno soppresse le sezioni staccate del tribunale amministrativo regionale. E verrà soppresso anche il Magistrato delle Acque per le province venete e di Mantova.
Differenti critiche al disegno complessivo sono ovviamente giunte dai vari schieramenti politici dell’opposizione: “Un modo di agire in perfetto stile democristiano. Renzi annuncia provvedimenti enormi, come Monti e Letta, e poi la montagna partorisce il topolino”, ha affermato con la consueta il vicepresidente della Camera ed esponente del Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio. La senatrice di Forza Italia, Anna Maria Bernini ha parlato invece di “una delusione: Renzi preferisce cercare nel web le idee che non ha”. Altri hanno parlato di “riforma farsa”, visto che molti dei provvedimenti presentati da Renzi (come i licenziamenti dirigenti) parrebbero già esistere nella cornice normativa che disciplina la Pubblica Amministrazione, grazie alle novità che l’ex ministro Brunetta apportò durante l’ultima legislatura Berlusconi. Un cosa è certa: la riforma della PA risponde ad uno schema collaudato che vede, ogni volta che c’è una crisi economico-politica, i governi italiani annunciare epocali cambiamenti, ammiccando alla vulgata che vorrebbe i dipendenti pubblici come un costo anziché come una risorsa al servizio della comunità. L’atavico problema che si ripresenta di volta in volta. È stato così negli anni ’90, all’epoca della riforma Bassanini partita con il lodevole (inattuato) obiettivo di dividere la politica e l’amministrazione, di rendere più efficienti e meno costosi i servizi ai cittadini e di sostituire la cultura del servizio a quella dell’adempimento formale… ma che ha finito per concentrarsi solo sul contenimento dei costi. La successiva riforma Frattini, riguardante soprattutto la dirigenza, ha poi segnato passi indietro, riproponendo il connubio tra politica/ amministrazione. La riforma Brunetta del 2009 ancor di più ha mirato al taglio dei costi senza però curarsi dei servizi resi, alla gogna mediatica dei dipendenti pubblici e alla deresponsabilizzazione della politica. Al di là delle critiche occorre però verificare se i tanto sospirati cambiamenti, di cui l’Italia ha disperatamente bisogno, si concretizzeranno oppure no, grazie alla buona novella di Renzi. Noi speriamo di si.

(Ilda)

martedì 10 giugno 2014

Emergenza carceri Basilicata

E’ sempre più emergenza carceri anche in Basilicata: i sindacati di Polizia penitenziaria hanno tenuto una manifestazione di protesta per sensibilizzate l’opinione pubblica e le autorità sul problema sovraffollamento delle carceri. Nell’ultimo periodo, infatti, vi sono stati molteplici episodi inquietanti come un'aggressione ad alcuni agenti presso l'istituto di Potenza e la protesta rumorosa dei detenuti a Melfi attuata con oggetti battuti sulle inferriate; quest'ultima protesta era motivata dall'insensato ampliamento dei posti letto all’interno della struttura carceraria, con una aggiunta di 100 posti. Decisamente troppi rispetto alla capienza dell’istituto di pena, al punto da violare le norme poste a tutela dei diritti umani dalla Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo. I Radicali hanno aderito alla protesta degli agenti penitenziari ed hanno partecipato alla marcia tenutasi nel capoluogo. Si lamentano per lo più le precarie condizioni in cui versa e vive il personale di polizia penitenziaria in servizio nel carcere, aggravate da una gravissima carenza di organico dovuta ai notevoli pensionamenti degli ultimi anni e senza turn-over. Sarebbe, dunque, opportuno pensare ad un mutamento generazionale ai vertici della sede penitenziaria e alla realizzazione di una cittadella giudiziaria con la costruzione di un penitenziario in linea con gli standard europei. Ma sia sa, in Italia non si costruiscono carceri… si svuotano!
(Ilda)

lunedì 9 giugno 2014

De Luca sindaco

E’ ufficiale: dopo il ballottaggio a Potenza ha vinto Dario De Luca, esponente di Fratelli d'Italia nella coalizione di centrodestra. Al primo turno aveva ottenuto il 16%, mentre adesso è diventato il nuovo sindaco di Potenza con il 58%.
Petrone (Pd) si è fermato invece al 41% al ballottaggio, mentre al primo turno aveva ottenuto il 47%.
Risultati clamorosi, che vanno contro ogni pronostico e previsione! Considerando anche che per ben 70 anni la sinistra aveva tenuto indiscussamente banco nel capoluogo lucano. Ma cosa può aver determinato questo ribaltamento di risultati?
Sicuramente da tempo si respirava aria di malcontento in città, la sinistra aveva deluso molti fedelissimi, così come molte promesse erano state mancate. Stanchezza, disincanto, sfiducia. E non si può negare che in queste amministrative il PD abbia perso diverse città storicamente “rosse”: Livorno, Padova, Perugia e Potenza. Dunque, l’uragano Renzi ha trionfato nel nostro paese ma gli esiti dei ballottaggi non sono stati quelli attesi in alcune roccaforti della sinistra. Il commento a caldo dello stesso Renzi non ha tardato ad arrivare: “Questi ballottaggi segnano la fine delle posizioni di rendita elettorale, è finito il tempo in cui qualcuno sa che in quel posto si vince di sicuro". Dalla sua, De Luca ha commentato così il risultato elettorale ottenuto, esultando su twitter con un ironico:“Davide sconfigge Golia".
Il capogruppo del Centro Democratico in Basilicata, Nicola Benedetto, dopo l'esito del voto di Potenza ha invece dichiarato: “Il gruppo dirigente regionale del Pd faccia tesoro della lezione che gli ha dato l'elettorato potentino e, sforzandosi di ritrovare quell'unità di programmi essenziale per la credibilità, metta fine all'atteggiamento di autosufficienza. Solo ricercando l'unità della coalizione e valorizzando tutte le risorse ideali e le capacità che essa esprime sarà possibile rilanciare l'esperienza di governo del centrosinistra ad ogni livello istituzionale”. E quali sarebbero le maggiori accuse che la gente muove al Partito Democratico? C’è chi dice che la precedente gestione avrebbe determinato una vera e propria situazione di “stallo amministrativo”, che avrebbe causato e sta tutt’ora causando una situazione di crisi in tutti i settori produttivi, ed in particolare nel commercio e nell’edilizia. Ancora, si polemizza sulla questione della ZTL nel centro storico lucano che avrebbe, nella sua modesta utilità, contribuito solo a determinare la chiusura di numerosi esercizi commerciali senza risolvere effettivamente problemi di traffico e di sovraffollamento di veicoli. Altro punctus dolens: i servizi pubblici, la speculazione edilizia che ha caratterizzato gli ultimi anni con la cementificazione selvaggia e senza criterio… questo solo per citare alcuni degli annosi problemi che affliggono il nostro capoluogo.
Rimane però aperta la questione del Consiglio Comunale: De Luca, infatti, non ha ottenuto la maggioranza in consiglio e dunque si profilano non pochi problemi all’orizzonte: “Non ho pensato a strategie e alla composizione della giunta, ma ai problemi della città”, afferma in conferenza stampa a poche ore dalla vittoria, “il dialogo sarà con tutti i consiglieri, perché il voto che ci ha permesso di vincere è un voto trasversale, e in campo non ci saranno ideologie ma programmi per Potenza”. Da qui anche l’offerta di confronto e collaborazione allo sfidante Petrone, perché “è una persona seria, e di cui ho altissima stima” ed anche con Savino Giannizzari, candidato sindaco del M5s ed unico eletto del movimento nell’assemblea. Per adesso possiamo solo aspettare e stare a vedere, auspicandoci quel tanto sospirato cambiamento che Potenza non vede da troppo tempo. Entro 15 giorni, poi, De Luca presenterà davanti al nuovo Consiglio un programma operativo e dettagliato. Speriamo per il meglio!
(Ilda)

venerdì 6 giugno 2014

Italia promossa sulla questione carceri


Italia promossa dall’Unione Europea sulla questione carceri: scongiurata, dunque, la maxi multa che sarebbe stata irrogata al nostro paese in caso di esito negativo. Il comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha stabilito che il nostro Paese ha intrapreso adeguate misure per far fronte all’annoso problema, nel rispetto di quanto la Corte europea dei diritti umani gli aveva imposto con la nota sentenza Torreggiani.
Tale sentenza, emessa l’8 Gennaio 2013 dalla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) lamentava –ricordiamolo- la violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea, che sancisce la proibizione di trattamenti inumani e degradanti. I ricorrenti, Torreggiani ed altri, si trovano a scontare la propria pena presso gli istituti di detenzione di Busto Arsizio e Piacenza e, da quanto esposto nel ricorso presentato, risultava che, essendo ogni cella occupa da tre detenuti, ognuno di loro aveva a propria disposizione meno di tre metri quadrati come proprio spazio personale.
La CEDU sul caso pervenne alla decisione che non solo lo spazio vitale indicato non fosse assolutamente conforme alle previsioni minime individuate dalla propria giurisprudenza, ma inoltre che tale situazione detentiva venisse aggravata dalle “generali condizioni di mancanza di acqua calda per lunghi periodi, mancanza di ventilazione e luce”. Tali condizioni, considerate nel loro insieme, costituivano, dunque, una violazione degli “standard minimi di vivibilità”, determinando una situazione di vita degradante per i detenuti. La compensazione pecuniaria per i danni morali subiti in violazione dell’articolo 3 della Convenzione ammontava a una somma di circa 100.000 € per tutti i ricorrenti. La sentenza Torreggiani costituisce una pietra miliare perché trattasi di “sentenza pilota”: ovvero sentenza in base alla quale si attiva una sorta di “procedura” che permette alla Corte, attraverso la trattazione del singolo ricorso, di identificare un problema strutturale, rilevabile in più casi analoghi, e di individuare pertanto una violazione ricorrente dello Stato contraente. Dall’analisi di molteplici ricorsi derivanti da una situazione simile in fatto e imputabile alla medesima violazione in diritto, vi è la possibilità, per la Corte stessa, di selezionare uno o più ricorsi per una trattazione prioritaria in applicazione dell’articolo 61del proprio regolamento di procedura. L’articolo 61 (introdotto con la nuova versione del regolamento di procedura adottata in sessione plenaria nel 2011), stabilendo come condizione che “i fatti all’origine d’un ricorso presentato davanti ad essa rivelano l’esistenza, nello Stato contraente interessato, d’un problema strutturale o sistemico o di un’ altra simile disfunzione che ha dato luogo alla presentazione di altri analoghi ricorsi” cristallizza una precedente prassi giurisprudenziale affermatasi a partire dal noto caso Broniowski c. Polonia e chiarisce la base giuridica applicabile. La trattazione di una questione attraverso la procedura pilota permette il “congelamento”degli altri casi simili in attesa della pronuncia della Corte al fine di consentire una trattazione più rapida e offre allo Stato contraente la possibilità di sanare la propria posizione prima di ulteriori condanne. In una sentenza pilota il ruolo della Corte Europea è non solo quello di pronunciarsi sulla violazione della Convenzione nel caso specifico, bensì anche quello di identificare il problema sistematico e dare precise indicazioni al legislatore nazionale sui rimedi necessari nel rispetto del principio di sussidiarietà, come nel caso dell’Italia. Destinatari sono tutti gli Stati firmatari, pertanto in virtù dell’art. 46 della Convenzione, “è lo Stato contraente il soggetto tenuto a conformarsi alle indicazioni della Corte essendo queste dotate di vincolatività e titolo esecutivo”. La pronuncia in oggetto contro lo Stato italiano costituiva a tutti gli effetti un’obbligazione di risultato da ottemperare nel periodo indicato di un anno. Tuttavia, nella pronuncia Torreggiani si ravvisava anche una parziale obbligazione di mezzo, laddove la Corte indicava il ricorso a pene alternative al carcere quale possibile soluzione al problema identificato (punto abbastanza discutile, n.d.a.).
Il ministro Orlando si è detto molto soddisfatto dei risultati ottenuti, avvertendo però che “avere risolto le urgenze non significa avere un sistema penitenziario all’altezza della civiltà del nostro Paese, e che c’è ancora molto lavoro da fare”.
Molti esponenti politici, tra cui la radicale Bernardini, si sono detti perplessi e contrari al giudizio positivo emesso dalla CEDU, poiché le lamentate violazioni sarebbero ancora in atto e non risolte, mentre lo svuotamento delle carceri mediante espedienti e pene alternative sarebbe un favore a delinquenti e clandestini, che ha rimesso in libertà migliaia di criminali.
La questione, tuttavia, non è chiusa del tutto: l’Italia tra un anno dovrà tuttavia passare un secondo esame, per verificare se le misure introdotte abbiano generato i risultati sperati. Per quella data il governo dovrà aver presentato nuove informazioni, in particolare sul funzionamento del rimedio preventivo introdotto, e su quello compensatorio, che dovrebbe essere introdotto a con un decreto legge in tempi rapidi e che consentirebbe una riduzione della pena per i carcerati vittime di sovraffollamento ancora detenuti, nonché un risarcimento per quelli già in libertà.
(Ilda)

martedì 3 giugno 2014

Emergenza carceri sovraffolate: vicini al verdetto dell'Europa sull'Italia!


Scaduto l’ultimatum del 28 Maggio, oggi martedì 3 giugno l’Ue dovrà decidere sull’eventuale sanzione che l’Italia dovrà pagare per l’emergenza carceri: è, infatti, attesa per oggi la decisione di un’eventuale sanzione per il nostro Paese da parte della CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo). La quota da versare a titolo di sanzione, nel caso in cui l’Ue valutasse come insufficienti le misure adottate dall’Italia per far fronte al problema, ammonterebbe a 100mila Euro.
Per altro, va detto che suddetta sanzione è stata già inflitta all’Italia in passato per le violazioni dei diritti umani e civili che sono state denunciate nelle strutture carcerarie del Paese. In molteplici ricorsi, infatti, i detenuti hanno lamentato “condizioni disumane” e sono pervenute alla Corte europea richieste di risarcimento astronomiche.
Al nostro Paese era stato accordato tempo utile per “studiare ed attuare misure di soluzione al problema”: la prima scadenza era fissata al 28 maggio, poi sforata e prorogata ad oggi.
Il ministro della giustizia Orlando tranquillizza gli animi, affermando che, comunque, “l’Italia andrà avanti con le riforme”. Purché non si tratti però delle solite misure dell’Indulto e dell’Amnistia, che si concretizzerebbero in una non-soluzione! Molti, infatti, considerano i provvedimenti summenzionati come un sostanziale fallimento dello Stato: l'ultimo indulto, quello del governo Prodi del 2006, ha fatto uscire dal carcere 26.752 detenuti (su 60 mila) e, dopo due anni, il 70% era tornato in carcere, e il numero dei detenuti era tornato lo stesso, a dimostrazione che indulto e amnistia non costituiscono una soluzione strutturale al problema. Si aggiunga a ciò che è sostanzialmente inaccettabile per le vittime di reati vedere tornare impuniti e in libertà i loro carnefici, di fatto annientando il principio di certezza della pena su cui si deve fondare qualunque Stato di diritto.
Ma cosa sono e come funzionano, di preciso, amnistia ed indulto? L’amnistia costituisce una causa di estinzione del reato, mentre l’indulto è una causa di estinzione della pena: pertanto, con l’amnistia lo Stato rinuncia all’applicazione della pena, mentre con l’indulto si limita a condonare, in tutto o in parte, la pena inflitta, senza però cancellare il reato. Amnistia e indulto sono provvedimenti generali ad efficacia retroattiva e, come tali, si distinguono dalla grazia che, invece, è un provvedimento individuale. Amnistia e indulto vengono concessi con una legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera in ogni articolo e nella votazione finale (art. 79, co. 1, Cost.); mentre, prima dell’entrata in vigore della l. cost. n. 1/1992 (che ha modificato il testo dell’art. 79 Cost.), erano concessi dal Presidente della Repubblica, previa legge di delegazione da parte delle Camere. Il fortissimo innalzamento del quorum di votazione (dalla maggioranza semplice a quella dei due terzi, superiore a quanto richiesto nel procedimento di revisione costituzionale ex art. 138 Cost.) ha reso molto più difficile il ricorso a questi istituti e, dal 1992 sino ad oggi, vi è stato un solo caso di applicazione dell’art. 79 Cost. (l. n. 241/2006 - Prodi) mentre dal 1948 al 1992 vi erano stati oltre quaranta provvedimenti legislativi di clemenza!
Quanto al problema del sovraffollamento delle carceri, il problema si potrebbe benissimo risolvere con la costruzione di nuovi istituti, facendo scontare magari ad alcuni detenuti stranieri (quasi il 40 %) la pena nei paesi d'origine, contrastando l'abuso della carcerazione preventiva, che oggi vede il 40% dei detenuti italiani in attesa di giudizio, cioè innocenti fino a prova contraria, la metà dei quali vengono assolti già in primo grado. E queste sono solo alcune proposte e soluzioni vagliate. Vedremo quali saranno le conseguenze di questa giornata decisiva: to be continued!
(Ilda)