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venerdì 6 giugno 2014

Italia promossa sulla questione carceri


Italia promossa dall’Unione Europea sulla questione carceri: scongiurata, dunque, la maxi multa che sarebbe stata irrogata al nostro paese in caso di esito negativo. Il comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha stabilito che il nostro Paese ha intrapreso adeguate misure per far fronte all’annoso problema, nel rispetto di quanto la Corte europea dei diritti umani gli aveva imposto con la nota sentenza Torreggiani.
Tale sentenza, emessa l’8 Gennaio 2013 dalla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) lamentava –ricordiamolo- la violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea, che sancisce la proibizione di trattamenti inumani e degradanti. I ricorrenti, Torreggiani ed altri, si trovano a scontare la propria pena presso gli istituti di detenzione di Busto Arsizio e Piacenza e, da quanto esposto nel ricorso presentato, risultava che, essendo ogni cella occupa da tre detenuti, ognuno di loro aveva a propria disposizione meno di tre metri quadrati come proprio spazio personale.
La CEDU sul caso pervenne alla decisione che non solo lo spazio vitale indicato non fosse assolutamente conforme alle previsioni minime individuate dalla propria giurisprudenza, ma inoltre che tale situazione detentiva venisse aggravata dalle “generali condizioni di mancanza di acqua calda per lunghi periodi, mancanza di ventilazione e luce”. Tali condizioni, considerate nel loro insieme, costituivano, dunque, una violazione degli “standard minimi di vivibilità”, determinando una situazione di vita degradante per i detenuti. La compensazione pecuniaria per i danni morali subiti in violazione dell’articolo 3 della Convenzione ammontava a una somma di circa 100.000 € per tutti i ricorrenti. La sentenza Torreggiani costituisce una pietra miliare perché trattasi di “sentenza pilota”: ovvero sentenza in base alla quale si attiva una sorta di “procedura” che permette alla Corte, attraverso la trattazione del singolo ricorso, di identificare un problema strutturale, rilevabile in più casi analoghi, e di individuare pertanto una violazione ricorrente dello Stato contraente. Dall’analisi di molteplici ricorsi derivanti da una situazione simile in fatto e imputabile alla medesima violazione in diritto, vi è la possibilità, per la Corte stessa, di selezionare uno o più ricorsi per una trattazione prioritaria in applicazione dell’articolo 61del proprio regolamento di procedura. L’articolo 61 (introdotto con la nuova versione del regolamento di procedura adottata in sessione plenaria nel 2011), stabilendo come condizione che “i fatti all’origine d’un ricorso presentato davanti ad essa rivelano l’esistenza, nello Stato contraente interessato, d’un problema strutturale o sistemico o di un’ altra simile disfunzione che ha dato luogo alla presentazione di altri analoghi ricorsi” cristallizza una precedente prassi giurisprudenziale affermatasi a partire dal noto caso Broniowski c. Polonia e chiarisce la base giuridica applicabile. La trattazione di una questione attraverso la procedura pilota permette il “congelamento”degli altri casi simili in attesa della pronuncia della Corte al fine di consentire una trattazione più rapida e offre allo Stato contraente la possibilità di sanare la propria posizione prima di ulteriori condanne. In una sentenza pilota il ruolo della Corte Europea è non solo quello di pronunciarsi sulla violazione della Convenzione nel caso specifico, bensì anche quello di identificare il problema sistematico e dare precise indicazioni al legislatore nazionale sui rimedi necessari nel rispetto del principio di sussidiarietà, come nel caso dell’Italia. Destinatari sono tutti gli Stati firmatari, pertanto in virtù dell’art. 46 della Convenzione, “è lo Stato contraente il soggetto tenuto a conformarsi alle indicazioni della Corte essendo queste dotate di vincolatività e titolo esecutivo”. La pronuncia in oggetto contro lo Stato italiano costituiva a tutti gli effetti un’obbligazione di risultato da ottemperare nel periodo indicato di un anno. Tuttavia, nella pronuncia Torreggiani si ravvisava anche una parziale obbligazione di mezzo, laddove la Corte indicava il ricorso a pene alternative al carcere quale possibile soluzione al problema identificato (punto abbastanza discutile, n.d.a.).
Il ministro Orlando si è detto molto soddisfatto dei risultati ottenuti, avvertendo però che “avere risolto le urgenze non significa avere un sistema penitenziario all’altezza della civiltà del nostro Paese, e che c’è ancora molto lavoro da fare”.
Molti esponenti politici, tra cui la radicale Bernardini, si sono detti perplessi e contrari al giudizio positivo emesso dalla CEDU, poiché le lamentate violazioni sarebbero ancora in atto e non risolte, mentre lo svuotamento delle carceri mediante espedienti e pene alternative sarebbe un favore a delinquenti e clandestini, che ha rimesso in libertà migliaia di criminali.
La questione, tuttavia, non è chiusa del tutto: l’Italia tra un anno dovrà tuttavia passare un secondo esame, per verificare se le misure introdotte abbiano generato i risultati sperati. Per quella data il governo dovrà aver presentato nuove informazioni, in particolare sul funzionamento del rimedio preventivo introdotto, e su quello compensatorio, che dovrebbe essere introdotto a con un decreto legge in tempi rapidi e che consentirebbe una riduzione della pena per i carcerati vittime di sovraffollamento ancora detenuti, nonché un risarcimento per quelli già in libertà.
(Ilda)

martedì 3 giugno 2014

Emergenza carceri sovraffolate: vicini al verdetto dell'Europa sull'Italia!


Scaduto l’ultimatum del 28 Maggio, oggi martedì 3 giugno l’Ue dovrà decidere sull’eventuale sanzione che l’Italia dovrà pagare per l’emergenza carceri: è, infatti, attesa per oggi la decisione di un’eventuale sanzione per il nostro Paese da parte della CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo). La quota da versare a titolo di sanzione, nel caso in cui l’Ue valutasse come insufficienti le misure adottate dall’Italia per far fronte al problema, ammonterebbe a 100mila Euro.
Per altro, va detto che suddetta sanzione è stata già inflitta all’Italia in passato per le violazioni dei diritti umani e civili che sono state denunciate nelle strutture carcerarie del Paese. In molteplici ricorsi, infatti, i detenuti hanno lamentato “condizioni disumane” e sono pervenute alla Corte europea richieste di risarcimento astronomiche.
Al nostro Paese era stato accordato tempo utile per “studiare ed attuare misure di soluzione al problema”: la prima scadenza era fissata al 28 maggio, poi sforata e prorogata ad oggi.
Il ministro della giustizia Orlando tranquillizza gli animi, affermando che, comunque, “l’Italia andrà avanti con le riforme”. Purché non si tratti però delle solite misure dell’Indulto e dell’Amnistia, che si concretizzerebbero in una non-soluzione! Molti, infatti, considerano i provvedimenti summenzionati come un sostanziale fallimento dello Stato: l'ultimo indulto, quello del governo Prodi del 2006, ha fatto uscire dal carcere 26.752 detenuti (su 60 mila) e, dopo due anni, il 70% era tornato in carcere, e il numero dei detenuti era tornato lo stesso, a dimostrazione che indulto e amnistia non costituiscono una soluzione strutturale al problema. Si aggiunga a ciò che è sostanzialmente inaccettabile per le vittime di reati vedere tornare impuniti e in libertà i loro carnefici, di fatto annientando il principio di certezza della pena su cui si deve fondare qualunque Stato di diritto.
Ma cosa sono e come funzionano, di preciso, amnistia ed indulto? L’amnistia costituisce una causa di estinzione del reato, mentre l’indulto è una causa di estinzione della pena: pertanto, con l’amnistia lo Stato rinuncia all’applicazione della pena, mentre con l’indulto si limita a condonare, in tutto o in parte, la pena inflitta, senza però cancellare il reato. Amnistia e indulto sono provvedimenti generali ad efficacia retroattiva e, come tali, si distinguono dalla grazia che, invece, è un provvedimento individuale. Amnistia e indulto vengono concessi con una legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera in ogni articolo e nella votazione finale (art. 79, co. 1, Cost.); mentre, prima dell’entrata in vigore della l. cost. n. 1/1992 (che ha modificato il testo dell’art. 79 Cost.), erano concessi dal Presidente della Repubblica, previa legge di delegazione da parte delle Camere. Il fortissimo innalzamento del quorum di votazione (dalla maggioranza semplice a quella dei due terzi, superiore a quanto richiesto nel procedimento di revisione costituzionale ex art. 138 Cost.) ha reso molto più difficile il ricorso a questi istituti e, dal 1992 sino ad oggi, vi è stato un solo caso di applicazione dell’art. 79 Cost. (l. n. 241/2006 - Prodi) mentre dal 1948 al 1992 vi erano stati oltre quaranta provvedimenti legislativi di clemenza!
Quanto al problema del sovraffollamento delle carceri, il problema si potrebbe benissimo risolvere con la costruzione di nuovi istituti, facendo scontare magari ad alcuni detenuti stranieri (quasi il 40 %) la pena nei paesi d'origine, contrastando l'abuso della carcerazione preventiva, che oggi vede il 40% dei detenuti italiani in attesa di giudizio, cioè innocenti fino a prova contraria, la metà dei quali vengono assolti già in primo grado. E queste sono solo alcune proposte e soluzioni vagliate. Vedremo quali saranno le conseguenze di questa giornata decisiva: to be continued!
(Ilda)