domenica 15 giugno 2014

Responsabilità civile dei giudici: passa il testo della Lega

La responsabilità civile dei magistrati è attualmente  disciplinata dalla legge 117/1988, che ha dato alla materia una nuova regolamentazione all’indomani del referendum del novembre 1987, che ha comportato l’abrogazione della previgente, fortemente limitativa dei casi di responsabilità civile del giudice. L’articolo 1 della legge n. 117/1998 ne delinea il campo d’applicazione, stabilendo che le disposizioni sulla responsabilità civile dei magistrati si applicano «a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l'attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria». Sotto il profilo sostanziale, l’articolo 2 della legge n. 117 afferma il principio della risarcibilità del danno ingiusto. Secondo la costante interpretazione della giurisprudenza, il danno ingiusto risarcibile, secondo la nozione recepita dall'art. 2043 cod. civ., è quello che produce la lesione di un interesse giuridicamente rilevante, senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo (Cass., III sez., ord. 10 agosto 2002, n. 12144; Sez. III, sent. 19 luglio 2002, n. 10549). Il danno deve rappresentare l’effetto di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con “dolo” o “colpa grave” nell’esercizio delle sue funzioni ovvero conseguente “a diniego di giustizia”. Chi ha subìto il danno ingiusto non può agire direttamente in giudizio contro il magistrato, ma deve agire contro lo Stato (art. 2, comma 1). Lo Stato, a determinate condizioni, può esercitare l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato (art. 7). Sotto il profilo processuale (artt. 4 e 5), l'azione di risarcimento del danno contro lo Stato:
1. deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri e davanti al tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello competente ai sensi dell’art. 11 c.p.p. e dell'articolo 1 delle norme di attuazione del codice di procedura penale;
2. è esperibile soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno;
3. deve essere proposta a pena di decadenza entro 2 anni dal momento in cui l’azione è esperibile (3 anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno se in tal termine non si è concluso il grado del procedimento nell'ambito del quale il fatto stesso si è verificato);
4. è sottoposta a delibazione preliminare di ammissibilità (controllo presupposti, rispetto termini e valutazione manifesta infondatezza) da parte del tribunale distrettuale.
Se è accertata nel giudizio la responsabilità del magistrato, lo Stato, entro un anno dal risarcimento, esercita nei suoi confronti l'azione di rivalsa (artt. 7 e 8). L’esercizio dell’azione disciplinare, poi, nei confronti del magistrato ordinario per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento spetta al procuratore generale presso la Corte di cassazione.
Si applicano, invece le norme ordinarie nel caso in cui il danno sia conseguenza di un fatto costituente reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni (articolo 13).
In generale, da molteplici voci, la legge n. 117 del 1988 è stata considerata in contrasto con lo spirito del referendum abrogativo del 1987 perché eccessivamente favorevole al magistrato. Nel 1995 e nel1999, giova ricordarlo, sono state presentate richieste di referendum abrogativo ma, in entrambi i casi, è stata la Corte costituzionale a giudicare i quesiti inammissibili.
Nella sentenza 13 giugno 2006, emessa nella causa C-173/03 (Traghetti del Mediterraneo), la Corte di giustizia ha affermato che «Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un'interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale». La Corte ha inoltre osservato che «Il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler». Dunque, l'UE ci chiedeva di modificare la norma attuale, che di fatto limita la platea di chi ha diritto a chiedere un risarcimento, non essendo oggi applicabile alle violazioni del diritto comunitario.
Muovendo da queste premesse e forse distorcendo un po’ i termini del problema, la Camera ha approvato di recente un emendamento della Lega Nord a una legge comunitaria che introduce la responsabilità civile dei giudici. La Lega, per altro, aveva chiesto il voto segreto sul suo emendamento, riferito all’articolo 26 della legge comunitaria. In base al testo approvato, proposto dal leghista Gianluca Pini “chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario” compiuto dal magistrato, “in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave” può agire contro lo Stato e contro il magistrato ritenuto colpevole. E può così ottenere il risarcimento dei danni. Gli oneri derivanti dall’attuazione della nuova norma verrebbero valutati in 2,45 milioni di euro per l’anno 2014 e in 4,9 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2015. La proposta di Pini ripropone un tema trentennale, trito e ritrito, risalente a quando gli italiani furono chiamati a votare su di un referendum promosso dal Partito Radicale all'indomani del più clamoroso caso di malagiustizia italiana, quello relativo alla accuse infami e diffamanti subite da Enzo Tortora. Una vicenda che grida "vendetta", civile s'intende, ancora oggi. Per quanto la vicenda Tortora faccia ancora scalpore e clamore, il testo approvato ha suscitato non poche perplessita.
In primis critiche sono piovute dal premier Renzi, il quale definisce l’accaduto come “una tempesta in un bicchier d’acqua” e spiega quindi che la norma sarà modificata a scrutinio palese al Senato. Per il ministro della Giustizia Orlando trattasi di "un pasticcio che non aiuta ad affrontare seriamente il tema e che va quindi rapidamente corretto". Dal canto suo, l'Associazione nazionale magistrati definisce la norma introdotta dalla Camera come viziata da "evidenti profili di illegittimità costituzionale. E’grave e contraddittorio che si indebolisca l'azione giudiziaria proprio mentre la magistratura è chiamata a un forte impegno contro la corruzione". Sicuramente però sarebbe anche inaccettabile l’esistenza di una “zona franca”, di una casta di intoccabili, nonostante ovviamente i magistrati già abbiano una responsabilità penale, civile (indiretta) e disciplinare (più effettiva di quanto non si dica, anche se ancora non sempre capace di stanare le sacche di scarsa professionalità) grazie alla Legge Vassalli.
Il problema, tuttavia, andrebbe affrontato con lucidità e attenzione, perché consentire senza paletti determinati l’azione diretta contro i magistrati produrrebbe effetti gravemente distorsivi non soltanto per la categoria, quanto soprattutto per i comuni cittadini e per la tutela efficace dei diritti. La norma introdotta nella legge comunitaria sulla responsabilità civile dei giudici verrà comunque riesaminata e vagliata in Senato e noi attendiamo il verdetto finale.

(Ilda)





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