domenica 27 marzo 2016

Il "mattonazzo" di Pasqua

di Gaetano Cantisani

Il fenomeno del terrorismo: cosa c’è alla base? La Cronaca: va bene, L’Informazione: molto scarsa ma va bene. Ora, però, la gente deve capire il problema di fondo qual ‘è e non deve annaspare al buio senza comprendere da dove prenda origine il fenomeno. 

L’Isis è in guerra con il resto del mondo, civilizzato e modernizzato. I loro capi li forgiano alla convinzione che occorra destabilizzare il modo di vivere di buona parte degli occidentali (responsabili della loro condizione di vita brutale, tetra e revulsiva. Questa organizzazione, frutto dell’incontro tra residuati del regime di Saddam Hussein e fondamentalisti islamici di matrice sunnita, nata con il beneplacito della Cia, ha scatenato a Parigi un attacco impressionante per ferocia, determinazione e organizzazione dimostrate. E’ possibile che ce ne siano altri. In difficoltà dopo l’intervento russo, l’Isis sta attivando la sua rete internazionale di migliaia di volontari provenienti da Europa e resto del mondo per colpire a fondo ovunque, seminando il terrore in modo indiscriminato. La Stampa seria internazionale, in merito a ciò è concorde nel dare delle indicazioni sulle criticità che ancora persistono in Europa per un monitoraggio ed una repressione mirata degli individui segnalati come “ATTENZIONATI”. I sistemi per individuarli ci sono. Oltre alle belle parole dei governanti di mezza Europa, occorrerebbero fatti, operatività fra i gruppi che hanno ospitato queste mini-cellule di terroristi. Il fenomeno di protezione mafioso, per intenderci, molto noto dalle nostre parti laddove le famiglie e la cerchia delle conoscenze degli aderenti, affiliati e amici, gestiscono le protezioni a pericolosi mafiosi. Occorrerebbero relazioni con informatori selezionati nei quartieri più degradati, dove sii annida sicuramente il disagio e dove sono infinite le coperture in nome di una solidarietà sorda, tacita, quasi dovuta, non dichiarata, ma praticata. Scambi di informazioni e coinvolgimento delle forze dell’ordine, purchè opportunamente formati e non mandati allo sbaraglio a fare gli “sceriffi”, magari senza carburante e senza mezzi di indagine. Passi di umiltà, ma tanta decisione da parte di chi ha il potere decisionale nelle istituzioni apicali. Collaborazione responsabile da parte di noi tutti nel segnalare chi fa discorsi eversivi, chi mostra aderenze a gruppi che predicano l’odio raziale. Perché il vero effetto rebound (di ritorno) potrebbe essere quello di armare delle forze private e scatenare un vero putiferio. Questa battaglia può essere vinta restaurando le necessarie condizioni di  tranquillità e sicurezza, ma alle seguenti indispensabili condizioni:
1. L’Occidente compia un’autocritica profonda e sincera per i disastri procurati nella zona, dall’Iraq alla Libia al Mali alla Siria. Non bastano le scuse di Tony Blair: tardive e ipocrite!. I responsabili delle guerre di aggressione che hanno formato la base per la nascita dell’Isis e di altre organizzazioni terroristiche vanno processati e condannati per crimini di guerra e per crimini contro l’umanità.
2. Siano emarginati e messi al bando dalla comunità internazionale gli Stati, dall’Arabia Saudita al Qatar alla Turchia, che appoggiano sottobanco i terroristi. Invece si continuano a giustificare i massacri e la repressione di Erdogan ai danni dei kurdi, come pure a inviare ingenti quantitativi di armi (l’Italia è fra le nazioni più prolifiche nella vendita di armi a questi Stati, le quali finiscono in parte nelle mani dei terroristi). Per non parlare delle pericolose e ambiguità, peraltro fallimentari, della politica statunitense ammesse anche da Hillary Clinton sui palchi delle Primarie Americane. Su tutte queste complicità va costituita una Commissione internazionale d’inchiesta.
3. Si dia vita a uno sforzo concertato, in sede di Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, di Unione Europea, per un’azione determinata volta a smantellare le basi militari dei terroristi, dovunque esse si trovino, salvaguardando per quanto possibile le popolazioni civili che sono le prime vittime. Si intensifichi allo stesso modo la cooperazione fra organismi di intelligence per pervenire a un controllo preventivo efficace dei terroristi. I capi delle organizzazioni terroristiche attive nella zona, da Isis ad Al Qaeda ad Al Nusra siano portati di fronte alla Corte penale internazionale. E non si continuino a fare affari con loro che hanno le mani piene di sangue innocente. Chi fa affari con loro sa perfettamente dove trovarli (senza scovarli), La manovalanza è sommersa, ma i capi sono ben noti agli affaristi. 
4. Si vada verso una soluzione politica della questione Siriana, senza porre inutili pregiudiziali, relative ad esempio alla permanenza di Assad. Il popolo siriano deve poter scegliere pacificamente il proprio futuro. A tale fine deve essere posto termine alla guerra civile e convocate elezioni sotto controllo internazionale. Soluzioni politiche vanno trovate anche per Libia, Iraq e Yemen. In tale ultimo Paese deve cessare l’intervento saudita.
5. Si appoggino le esperienze di lotta democratica contro il terrorismo, prima fra tutte quella dei Kurdi dell’YPG e dell’YPJ, che si stanno estendendo anche ad altre comunità ed etnie della zona. Invece Kobane continua a soffrire oggi per il blocco imposto dalla Turchia, che impedisce l’arrivo anche solo di mezzi umanitari attraverso corridoi messi a disposizione e puntualmente depredati.. Anche nei nostri Paesi, possibile bersaglio (ci auguriamo di no in nome di questa Santa Pasqua) di prossime azioni terroristiche, si dia vita a forme democratiche e diffuse di controllo del territorio in cooperazione con le forze dell’ordine. Si abbandonino i pregiudizi politici e si portino nelle camere delle decisioni le persone giuste e non i parolai, falchi della comunicazione di massa.
6. Si evitino e condannino le disgustose strumentalizzazioni alla Salvini, che vuole approfittare biecamente dello sdegno per i massacri di Parigi per riproporre le sue dottrine razziste contro l’arrivo di migranti e richiedenti asilo, le prime vittime della situazione che si è determinata. La testata “Libero” va condannata per istigazione all’odio etnico e religioso. A nessuna condizione l’Isis e Organizzazioni Analoghe e Simili possono essere considerate espressione dell’Islam. Salvini & C. perseguono lo stesso obiettivo dei terroristi, una guerra di civiltà dalla quale entrambi si ripropongono di trarre risultati in termini di consenso anche elettorale. Condizioni apparentemente semplici, ma in realtà difficili da ottenere, per le contraddizioni e le debolezze delle politiche occidentali, in particolare europee, che hanno prodotto questo mostruoso risultato. Solo superando tali contraddizioni e rinnovando tali politiche all’insegna di pace, democrazia e diritti umani, la malapianta del terrorismo sarà finalmente sradicata, insieme a tutti coloro che ne hanno favorito la nascita e la crescita, inclusi molti governanti occidentali. E nessuna si illuda che gli Italiani siano scevri da responsabilità.
Per terminare: I nomi degli interessati (I capi dell’Isis) sono ben noti alla classe politica internazionale. Tutti i Paesi relazionati alleati, e noi italiani compresi, ci fanno affari. Ma l’informazione non se ne occupa perché sono scattate promozioni, ma gli hanno però messo la sordina. Dove sta la difficoltà di intervento? Forse le guerre nel medio Oriente devono continuare perché l’industria della guerra non può arrestarsi? O perché la strategia della tensione deve poter continuare, e quindi, continuare a riempire i forzieri di quei tanti governanti parolai che, mente parlano di pace in Tv, calcolano quanto abbiano potuto lucrare su tali attività di compromessi dannosi, legalizzati con operazioni di livello istituzionale che solo loro possono garantire ai signori della morte? Mi riferisco a quei personaggi che hanno regolato gli indirizzi strategici, le alleanze, gli equilibri politici da Nord a Sud in questo ultimo ventennio ed ancora governano regioni importanti e pontificano, nonostante errori che hanno rovinato la nostra nazione, gli scandali e la presenza pericolosa di xenofobi all’interno del loro raggruppamento. Viva la Pace. Quella vera.
Se ciò non sarà realizzabile nei tempi ragionevoli di un quinquennio, nei modi pur rigorosi e delicatissimi, fatti di tentativi su un piano internazionale, purtroppo non sempre concordabili, né concordati, anche la promozione dei diritti della donna in quelle Aree, come tentativo di condizionare e cancellare gli istinti di barbarie a danno della condizione femminile, sarà praticamente un processo inutile e anzi dannoso perché ci si potrebbe ritorcere contro chi lo ha promosso in un tempo molto rapido. Pertanto, l’arrivo in Italia di migranti pacifici, fin tanto che se ne possano accogliere, va nella direzione giusta, a patto che si adeguino alle nostre leggi ed ai nostri irrinunciabili costumi, come noi facciamo nel resto del mondo quando ci rechiamo per lavoro o per studio o per diletto. Le critiche alle consuetudini della nazione civile che li ospita e li accoglie saranno utilissime, purchè fatte ad integrazione avvenuta, nei modi civili e secondo i dettati del buon senso civico e delle regole del vivere pacificamente fra popoli di etnia e di religione diversa. Ma nessuno, in nessun modo o con libero arbitrio, potrà deliberatamente turbare la pace sociale senza rispetto; nessuno potrà turbare gli equilibri che si è data la nazione e le conquiste di civiltà che nessuno potrà dissacrare o minacciare. Queste conquiste andranno salvaguardate con fermezza, decisone, forza dove occorra, ma anche con tanta buona informazione. La civiltà piace a tutti, soprattutto quando la si assapora nella sua essenza di vivibilità e di condivisione. Al pari di quello che fanno i nostri missionari che imparano la lingua del posto per catechizzare, per far arrrivare il vero messaggio di pace, così dovrà fare anche gli islamisti, con buona pace di alcuni Imam, peraltro di nazionalità italiana, che non vogliono adeguarsi a questo comportamento di buon senso e non se ne comprendono i veri motivi. Negli scandinati, come nelle grandi moschee di questa nazione, si dovrà predicare in italiano. Fermo restando il rispetto per la libertà di utilizzare anche la loro lingua, come fanno i nostri catechisti col traduttore in tutti i paesi del mondo. Poi, per chi è scottato dall’emergenza, dalla paura e dall'impotenza verso le azioni di vigliaccheria terroristica, almeno la possibilità di riascoltare le registrazioni per controllare e scongiurare eventuali minacce aggressive. Buoni si, ma non troppo. Con questi climi di guerra assurda! Se emergenza è, VISTO CHE C'E', questo è un diritto sacrosanto di chi vorrà controllare, capire e, perché no, affacciarsi ad altri insegnamenti religiosi, potendo cogliere le sfumature spirituali e dogmatiche di altri insegnamenti religiosi.

sabato 26 marzo 2016

Crolla il centro sociale di Stigliano


Cronaca di un crollo annunciato. A finire in macerie il centro sociale di Stigliano, in provincia di Matera. E dire che l'assessore regionale della Basilicata, Berlinguer era a conoscenza dello stato delle cose. La causa: il dissesto idrogeoligico. L’assessore era stato allertato sui pericoli del dissesto idrogeologico che attanaglia Stigliano già un anno fa, a gennaio 2015, da una interrogazione di FdI con la quale si chiedevano interventi urgenti per mitigare il rischio. L'urgenza andava affrontata subito attingendo alle risorse economiche della Regione senza attendere l’approvazione dell’intervento da parte del ministero e le lungaggini dei trasferimenti dello Stato. Purtroppo così non è stato. Ora restano solo rovine. Il video di chi ha assistito in diretta al crollo. Lupi

Embargo in Russia: costato all'Italia 3,6 miliardi di euro



A seguito della crisi politico-militare con l’Ucraina, le sanzioni economiche introdotte nel 2014 dall’Unione europea nei confronti della Russia  e le reazioni di Mosca sono costate al nostro made in Italy 3,6 miliardi di euro. L’export italiano verso la federazione russa, infatti, è passato dai 10,7 miliardi del 2013 ai 7,1 miliardi di euro del 2015 (-34 per cento). A denunciarlo è l’Ufficio studi della CGIA (Associazione artigiani piccole imprese di Mestre). Lombardia (-1,18 miliardi), Emilia Romagna (-771 milioni) e Veneto (-688,2 milioni) sono le regioni che con l’introduzione del blocco alle vendite hanno subito gli effetti negativi più pesanti: oltre il 72 per cento del totale del calo dell’export verso la Russia ha interessato questi tre territori. Dei 3,6 miliardi di minori esportazioni, 3,5 sono ascrivibili al comparto manifatturiero. I macchinari (-648,3 milioni di euro),  l’abbigliamento (-539,2 milioni di euro), gli autoveicoli (-399,1 milioni di euro), le calzature/articoli in pelle (-369,4 milioni di euro), i prodotti in metallo (-259,8 milioni di euro), i mobili (-230,2 milioni) e le apparecchiature elettriche (-195,7 milioni) sono stati i settori dove i volumi di affari in termini assoluti hanno registrato le contrazioni più importanti. “Anche alla luce degli attacchi terroristici avvenuti nei giorni scorsi a Bruxelles – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo –  è  giunto il momento che l’Unione europea riveda la propria posizione nei confronti di Mosca. Rispetto al 2014, le condizioni geo-politiche sono completamente cambiate. Per ripristinare la pace nell’area mediorentale  e per combattere le frange terroristiche presenti in Europa, la Russia è un alleato strategico indispensabile per il mondo occidentale. Proseguire con le misure restrittive nei confronti della Russia che, ricordo, scadranno il prossimo mese di luglio, sarebbe poco oculato e controproducente”.

venerdì 25 marzo 2016

Luttwak a La Zanzara e la sua visione sull'islam in Europa


Edward Luttwak show a La Zanzara su Radio 24 sugli attentati di Bruxelles: “L’Isis non esiste, esiste lo Stato islamico, cioè l’Islam che è una religione che mobilita, una religione che porta all’estremismo. Lo Stato islamico aderisce alle regole dell’Islam, non sono una banda di criminali, ma persone che seguono le indicazioni dell’Islam”.
“Prendete l’Iran – dice Luttwak -  dove un uomo può sposare una bambina di sette anni e avere rapporti sessuali a nove anni. Vogliono copiare l’uomo perfetto, Maometto, che ha fatto la stessa cosa. E anche la legge saudita permette di sposarsi a sette anni e stuprare, pardon, avere rapporti sessuali come il Profeta, a nove anni”.
 “Chi propone le moschee – aggiunge ancora Luttwak a La Zanzara - deve saperlo, l’Islam vuole mobilitare le persone per arrivare alla vittoria. Le autorità di Molenbeek hanno deciso di trasformare la città in un luogo largamente islamico e di conseguenza ci sono predicatori che non predicano buddismo ma islamismo, dove c’è l’obbligo di salvare l’umanità portando l’Islam ovunque”.
Luttwak parla all’Europa:  “Se volete un conflitto permanente  potete aumentare ancora il numero di islamici presenti. Finora avete fatto così, ma non è casa mia, io sono americano. Voi li invitate con grande entusiasmo, è la vostra scelta. E’ una questione di tempo, è una scelta mortale. Forse volete convertirvi all’islam. Quando vedo che il Papa li invita, apre le braccia, presidenti e primi ministri e preti dicono che è una religione di pace, chi può essere contro la pace? Voi avete deciso che volete islamizzare l’Europa, perché è una religione di pace. Se in Nigeria e nelle Filippine non  è così, sarà un caso, una coincidenza”.
Bisogna bombardare lo Stato Islamico? “No, quella è una ideologia. Si può risparmiare carburante e soldi, non andare fino in Mesopotamia. Si può bombardare Molenbeek. Evidentemente questi funzionari europei che passano le giornate a regolare le dimensioni del tappo delle bottiglie non si sono accorti che si stava preparando un campo armato davanti ai loro uffici”.
E che ne pensa di Gino Strada?: “Strada è quello che gestiva l’ospedale in Afghanistan ed era fiero di curare i talebani che poi uscivano dall’ospedale e ammazzavano di nuovo. Non ho la sua levatura morale, per lui tutto è uguale, lo stato islamico è uguale alla croce rossa svedese. Per lui non ci sono terroristi. Ai tempi del comunismo li chiamavano utili idioti. L’Islam non si accorge di Gino Strada, ma lo chiamerebbero un utile idiota, un termine tecnico. Utile ai terroristi”.

Anarchismo e marxismo: idee a confronto


Tutte le volte che ci si pone il problema di modificare  in senso democratico  il sistema politico degli Stati borghesi, ci si trova di fronte ad una  scelta di metodo : l'alternativa tra la linea politica sostanzialmente marxista e quella sostanzialmente anarchista. Questo contrasto, a distanza di oltre un secolo, è ancora di scottante attualità.
L'evidente fallimento dei governi socialisti di alcuni Stati e dei partiti "socialisti" o "comunisti" nei Paesi dell'area capitalista sono esperienze storiche che oggi permettono una riflessione, alla quale non ci si può sottrarre senza rischiare di cadere nel ridicolo o, peggio ancora, nella malafede.
Marx e Bakunin (spesso conosciuti solo di nome), occupano ancora la mente, o meglio il "cuore" di tutti i democratici sinceri. Qui si tenta un esame obiettivo delle loro teorie essenziali, nella convinzione che tale esame è indispensabile per affrontare costruttivamente i problemi delle attuali "democrazie" occidentali, ridotte ormai ad una parodia del concetto stesso di democrazia.
 Precedenti



Protagonista di questi cambiamenti è la borghesia, cioè la classe che possiede i mezzi di produzione. Il valore "etico" essenziale di questa classe è la proprietà.
Con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo (1789) la rivoluzione francese aveva proclamato che i diritti naturali e imprescrittibili sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all'oppressione.
"Diritti dell'uomo" erano, ovviamente, i diritti dell'uomo borghese: basta considerare che la proprietà poteva avere come oggetto anche altri esseri umani (schiavitù) e che nello stesso periodo furono approvate leggi che riconoscevano il diritto di voto solo al 15% dei cittadini e che proibivano i sindacati e gli scioperi.
Il divieto di associarsi in sindacati era giustificato dall'esigenza di tutelare  la libertà dei datori di lavoro  di contrattare "in condizioni di parità" le retribuzioni e gli orari di lavoro. Non risulta però che fossero vietate le associazioni padronali.
Basta un dato per dare l'idea delle disumane condizioni di vita dei lavoratori: a Manchester, nel cuore dell'Inghilterra industriale, la speranza di vita degli operai era di  17 anni : cominciavano a lavorare a 5 anni e morivano a 17.
Ad un tale stato di cose si opposero da una parte le prime organizzazioni di lavoratori (operai e artigiani), dall'altra le correnti di pensiero del  socialismo utopistico  e dell'anarchismo: 
  • 1790: Filippo Buonarroti fonda Il Giornale Patriottico della Corsica, il primo giornale rivoluzionario scritto in lingua italiana, che teorizza una società agricola egualitaria fondata sulla volontà del popolo
  • 1793: William Godwin pubblica l'Inchiesta sulla giustizia politica
  • 1797: fallisce la Congiura degli Uguali di Gracco Babeuf, che vorrebbe fondare una società comunista
  • 1808: Charles Fourier pubblica la Teoria dei quattro movimenti, imperniata sul concetto che le passioni umane non debbono essere represse, ma incanalate costruttivamente per creare uno Stato "sociale". Nella stessa opera Fourier teorizza le comunità agricole dei "falansteri".
  • 1822: Claude Saint Simon teorizza un'organizzazione sociale retta da uomini di scienza e da industriali illuminati. Nel 1825 pubblica "Il nuovo Cristianesimo", in cui teorizza un sistema basato sulla fratellanza tra gli uomini.
  • 1834: Robert Owen fonda in Inghilterra le prime organizzazioni sindacali (Trade Unions)
  • 1836: nasce in Germania la Lega dei Giusti, prima associazione rivoluzionaria a carattere  internazionalista  che si diffonde in Francia, Svizzera, Inghilterra e Svezia
  • 1838: in Inghilterra William Lovett pubblica la “carta del popolo”, da cui nasce il primo movimento politico operaio (movimento "cartista", people's Charter), che rivendica la "democrazia per tutto il popolo" e nel 1842 raccoglierà 3 milioni di adesioni
  • 1840: Étienne Cabet pubblica il "romanzo filosofico" Viaggio in Icaria, in cui teorizza un sistema politico senza proprietà, nè autorità nè differenze sociali, introduce il termine comunismo nel senso di movimento politico ed afferma il principio che "ciascuno ha il dovere di lavorare lo stesso numero di ore al giorno, secondo le proprie capacità, e il diritto di ricevere una parte eguale di tutti i prodotti, secondo i propri bisogni".
  • 1841: Pierre Proudhon pubblica Che cos'è la proprietà?, in cui è contenuta la celebre definizione:  "la proprietà è un furto" 
  • 1844: Michail Bakunin pubblica la sua prima opera, La reazione in Germania
  • 1847: sotto l’influenza di Marx ed Engels, la Lega dei Giusti si trasforma in Lega dei Comunisti (sede a Londra). Nello stesso periodo nascono diverse organizzazionei analoghe, che si ispirano a principi di  internazionalismo:  i Fraternal Democrats (UK), l'Associazione internazionale della democrazia socialista (USA), la Famiglia internazionale fondata da Bakunin, la Lega della pace e della Libertà (Italia), l'Alleanza repubblicana universale fondata da Mazzini e molte altre
  • 1848: Marx ed Engels pubblicano il Manifesto del partito comunista
  • 1849: Henry Thoreau pubblica il saggio Disobbedienza civile, testo fondamentale nelle teorie della lotta non-violenta, a cui si ispirerranno, fra gli altri, Tolstoj, Gandhi e Martin Luther King
  • 1864: fondazione a Londra della Prima Internazionale (International Workingmen's Association). Il programma e lo statuto vengono elaborati da Marx

Nell'Internazionale le due principali correnti furono quella comunista, capeggiata da Marx. e quella anarchista, rappresentata da Bakunin. Il conflitto tra queste due fazioni determinò lo sciglimento dell'associazione.
 Comunismo marxiano

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Si deve chiarire subito che, in sostanza,  non esistono  nella storia esempi di Stati comunisti. Esperienze di comunismo sono state tentate da piccoli gruppi di persone, ma un gruppo di persone non è uno Stato.
Queste persone hanno realizzato  tra loro  qualche forma di comunismo; però sono restate  all'interno dello Stato  in cui vivevano. Il successo (o il fallimento) di tali esperienze non può dimostrare (o confutare) la validità del comunismo come modello ideale di società.
Marx aveva immaginato la società comunista come  la fase finale  di una trasformazione che doveva partire dalla società capitalista (non dalla società feudale, come poi avvenne in Russia e in Cina); le fasi intermedie dovevano essere prima la rivoluzione e poi la dittatura del proletariato (cioè il socialismo). Ma tutti i sistemi politici statali fondati sul marxismo si sono fermati al socialismo: l'URSS era l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Erroneamente, o a scopi di propaganda, tali sistemi sono stati chiamati "comunisti".
Oggi è possibile una critica storica degli Stati socialisti, ma il comunismo, che è rimasto un'utopia, può essere criticato solo sul piano logico, teorico o filosofico, allo stesso modo delle creazioni teoriche del socialismo utopistico e dell'anarchismo.

* * *

Nell'analisi storica di Marx, la società borghese (cioè capitalista) è divisa in due classi: borghesia e proletariato. Il borghese è proprietario dei mezzi di produzione: quindi sfrutta il proletario, che possiede solo se stesso e può solo vendere il proprio lavoro.  Lo Stato è secondario:  non è altro che uno strumento, di cui la borghesia si serve per proteggere i propri interessi e di cui il proletariato si servirà per difendere i propri.
Nel comunismo immaginato da Marx, abolita la proprietà privata dei mezzi di produzione, la società non sarebbe più divisa in classi e lo Stato si estinguerebbe automaticamente. In questa società ciascuno contribuirebbe al bene comune secondo le proprie  capacità  e riceverebbe contributi secondo i propri  bisogni.  La proprietà privata sarebbe ancora possibile, ma solo sulle cose di uso personale.
Nel Manifesto del PC si legge che nella fase di transizione (socialismo) il proletariato "userà il suo dominio politico per strappare a poco a poco alla borghesia tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato"; con il comunismo "il capitale viene trasformato in proprietà collettiva, appartenente a tutti i membri della società".
Quando le differenze di classe saranno scomparse e tutta la produzione sarà concentrata in mano agli "individui associati", il potere pubblico perderà il suo carattere politico. Alla vecchia società borghese subentrerà una "associazione" in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti.
Secondo Marx, si arriverà a questo per due ragioni:
  • la borghesia è "fatalmente" destinata, per sua stessa natura, ad auto-distruggersi in una cieca corsa a produrre sempre di più, generando una serie di crisi economiche in cui ogni crisi sarà superata conquistando nuovi mercati e nuove aree di sfruttamento, quindi creando ogni volta le premesse di una crisi più grave della precedente
  • si può immaginare un mondo senza padroni, ma non un mondo senza lavoratori.  Il proletariato è indispensabile, la borghesia no. Quando il proletariato prenderà coscienza di questa elementare realtà, la rivoluzione proletaria sarà in un certo senso una "necessità storica": infatti tutte le azioni umane sono determinate,  in ultima analisi,  dagli interessi. Il proletariato farà la rivoluzione perchè è suo interesse farla.
"In ultima analisi" vuol dire che le azioni umane sono determinate anche da fattori "culturali" (la religione, le saggezza tradizionale, la morale ecc.) che resistono per qualche tempo ai mutamenti della realtà ma che "alla lunga" ne vengono modificati. Questo processo può essere ritardato dalla propaganda conservatrice, o affrettato dalla propaganda rivoluzionaria.
Ma il proletariato non si ribellerà prima di aver preso coscienza e non vincerà prima di essersi organizzato sotto una guida capace di condurlo alla vittoria: la guida del partito comunista, che viene descritto sinteticamente nel Manifesto:

  • i comunisti fanno parte del proletariato e non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il proletariato.
  • lo scopo immediato dei comunisti è lo stesso di tutti gli altri proletari; ma essi hanno il vantaggio sulla restante massa di comprendere meglio le condizioni generali del movimento
Fourier, Marx ed Engels, in contrasto con le idee utopistiche di Owen e Saint-Simon, affermavano che il comunismo non poteva emergere da piccole comunità isolate ma solo globalmente, dal corpo dell'intera società. Anzi: dato che il capitalismo si espandeva nel mondo, superando i confini nazionali, il comunismo avrebbe dovuto avere un carattere internazionale: le ultime parole del Manifesto sono "proletari di tutti i Paesi, unitevi!". E infatti il primo passo nell'attuazione del programma fu la fondazione dell'Internazionale.
Anarchismo


Woodcock

Si ritiene che il padre del pensiero anarchico moderno sia stato  Proudhon;  ma il suo primo teorico fu  Godwin  ed il maggior divulgatore delle idee anarchiche fu  Bakunin.  E' considerato anarchico anche Lev Tolstoj, uno dei più grandi scrittori russi, il quale, essendo cristiano, considerava l'abolizione dello Stato come una coerente applicazione dell'insegnamento evangelico. Tolstoj però rifiutò sempre (come Godwin) di definirsi anarchico: la sua dottrina della rivoluzione non-violenta gli sembrava incompatibile con le teorie degli altri anarchisti.
Gli anarchisti condividevano l'analisi marxiana della società borghese, ma rifiutavano radicalmente ogni forma di organizzazione gerarchica e perfino il principio di democrazia fondata sulla volontà della maggioranza (la tirannia del numero), nel senso che nessuno – nemmeno la maggioranza – doveva avere il potere di limitare la libertà dei singoli individui.
Alla base dell'ideologia anarchica si trova la fede nell'uomo come animale spontaneamente sociale e naturalmente libero, capace di creare un  ordine,  fondato sull'uguaglianza e la fraternità, che avrebbe preso il posto del disordine creato dal potere. Liberi dalle imposizioni del potere, gli uomini avrebbero costituito tante piccole comunità di base, cementate dalla loro libera scelta. Altrettanto liberamente, queste comunità avrebbero potuto stabilire tra loro dei rapporti di collaborazione per raggiungere qualche scopo comune; federazioni via via più vaste avrebbero conseguito obiettivi via via più generali.
La società immaginata dagli anarchisti è descritta in modo chiaro, lineare e coerente in una delle più belle pagine delle Memorie di un rivoluzionario di Kropotkin, uno dei massimi esponenti del pensiero anarchico.
v. nell'Antologia "L'ideale dell'anarchismo" di Kropotkin  

Si poteva cominciare subito, come infatti avvenne, a costruire pacificamente il nuovo ordine per mezzo di "società di mutuo soccorso", di cooperative, di comunità agricole che furono create anche con l'aiuto economico di borghesi progressisti. Era anche la teoria della  "propaganda con i fatti"  (verso la fine del secolo si arrivò ad alcuni casi di fatti violenti) che si affiancava alla propaganda con le parole.
Gli anarchisti, in generale, svolsero l'attività politica come una forma di apostolato, senza proporsi come "capi", non per guidare il popolo ma per illuminarlo ed offrirgli un esempio, coerentemente con il loro principio anti-autoritario.
La loro elaborazione teorica si articolò in diverse correnti di pensiero: mutualismo, collettivismo, comunismo anarchico, anarco-sindacalismo e infine quella particolare interpretazione dell'individualismo che alla fine dell'Ottocento condusse ad una serie di azioni violente ed auto-distruttive. Una delle idee centrali era quella dello sciopero generale, come forma di rivoluzione non violenta che avrebbe determinato il crollo definitivo dello Sato borghese.
L'eventualità di una rivoluzione cruenta, che non poteva essere esclusa, era vista come violenza in risposta alla violenza del potere, e comunque come un male. Perfino Bakunin, che fu il più barricadero tra i grandi esponenti del pensiero anarchico, scriveva che
"le rivoluzioni cruente sono spesso necessarie a causa della stupidità umana, ma sono sempre un male mostruoso e un grande disastro, non solo per quanto riguarda le vittime, ma anche per quanto riguarda la purezza e la perfezione dell'idea nel cui nome avvengono"
Il senso è chiaro: non la forza delle armi, ma la forza della ragione permette di conservare la "purezza dell'idea" cioè le migliori probabilità di realizzare l'obiettivo finale. Che poi l'eventuale rivoluzione dovesse o potesse essere comandata da un partito (come Marx prevedeva) e sfociare in una nuova forma di governo, era escluso in radice:
Tutti i partiti, senza eccezione, nella misura in cui si propongono la conquista del potere sono varietà dell'assolutismo
Proudhon
Le rivoluzioni non le fanno nè individui nè società segrete. Nascono in una certa misura automaticamente. Le producono la forza delle cose, la corrente degli eventi e dei fatti.
Bakunin
L'evoluzione non è lenta e uniforme. Evoluzione e rivoluzione si alternano, e le rivoluzioni – cioè i periodi di evoluzione accelerata – appartengono all'unità della natura esattamente come i periodi in cui l'evoluzione è più lenta
Kropotkin
Ciò non toglie che in alcuni casi (per es. in Italia) gli anarchisti potessero giungere a progettare piccole insurrezioni locali a scopo dimostrativo (altre varianti della "propaganda con l'esempio"): per esempio conquistare il municipio di un paesetto, fare un falò con i registri delle proprietà ed esporre la bandiera anarchica per qualche giorno, prima che arrivassero i soldati. Alcune di queste azioni furono ispirate o capeggiate dallo stesso Bakunin; tutte fallirono, tra il comico e il patetico, per l'ingenuità e la disorganizzazione dei congiurati.
E' significativo l'episodio (1877) di una dozzina di anarchisti, già da qualche giorno inseguiti dalla polizia e persi in una bufera di neve sulle montagne del Matese, quasi morti di freddo e di fame. Quando requisirono la capretta di una famiglia di contadini (rilasciando regolare ricevuta ai fini dell'indennizzo), la bambina della famiglia si mise a piangere perchè la capretta era sua. Allora i feroci rivoluzionari gliela restituirono e proseguirono in mezzo alla bufera finchè, stremati dal freddo e dalla fame, si lasciarono catturare senza fare resistenza.
(riferito da Masini, v. note)
 La linea politica

 La più ampia elaborazione teorica del pensiero anarchico è dovuta a Bakunin che, da buon massone, sul piano organizzativo restò sempre fedele all'idea della clandestinità. Il suo modello di rivoluzione era fondato su due elementi centrali: le masse contadine e una specie di "avanguardia" di intellettuali.
Per Marx, invece, la posizione centrale era occupata dal proletariato industriale, cioè dagli operai delle fabbriche; e per questo pensava che le condizioni pre-rivoluzionarie esistessero soprattutto nei Paesi industriali, specialmente in Inghilterra. Se fosse vissuto abbastanza, la rivoluzione russa lo avrebbe sorpreso.
Secondo Marx, sarebbe stata la classe operaia ad abbattere lo Stato borghese, ma anche dopo la rivoluzione le classi avrebbero continuato ad esistere: infatti la borghesia, anche se sconfitta, non si sarebbe facilmente rassegnata ed avrebbe continuato a combattere per riconquistare il potere.
Precisamente ciò che avvenne subito dopo la rivoluzione russa, quando gli Stati capitalisti mandarono un esercito (l'Armata Bianca) ad invadere la Russia; e l'Armata Rossa sarebbe stata probabilmente sconfitta se non avesse avuto l'aiuto del grande partigiano anarchico Machno, un contadino ucraino dotato di uno straordinario genio militare.
Dunque il proletariato doveva tenersi pronto a difendere le proprie conquiste anche con la forza, per non essere ricacciato indietro da una controrivoluzione; cioè ad organizzare un apparato repressivo, un nuovo tipo di Stato.
Marx considerava la conquista del potere da parte della classe operaia come il superamento della società borghese e della divisione della società in classi. La dittatura del proletariato, cioè la distruzione dello Stato borghese e la sua sostituzione con lo Stato proletario era considerata da Marx come la necessaria  fase intermedia  per realizzare il comunismo, cioè la società senza classi e quindi senza Stato.
A Bakunin non era sfuggita la debolezza di questo punto del pensiero marxiano: cioè che qualunque Stato, per il solo fatto di esistere, esercita il suo potere su tutti; e che quindi la dittatura  del  proletariato avrebbe esercitato il potere anche  sul  proletariato (come infatti avvenne puntualmente nella rivoluzione russa e poi in quella cinese).
Bakunin accusava i comunisti di essere "nemici delle istituzioni politiche esistenti perché tali istituzioni escludono la possibilità di realizzare la propria dittatura"; li accusava di essere "gli amici più ardenti del potere statale" perchè volevano costruire una società dominata e programmata dall'alto.
Agli anarchici italiani, nel 1872, Bakunin scriveva:
Marx è un comunista autoritario e centralista. Egli vuole ciò che noi vogliamo: il trionfo completo dell'eguaglianza economica e sociale, però nello Stato e attraverso la potenza dello Stato, attraverso la dittatura di un governo molto forte e per così dire dispotico, cioè attraverso la negazione della libertà.
Lo Stato, secondo Bakunin, dovunque ed in qualunque forma sia presente (borghese, socialista o comunista), non è altro che "sinonimo di costrizione, di dominazione attraverso la forza, camuffata, se possibile, ma, al bisogno, brutale e nuda". Scartata l'idea della dittatura del proletariato, all'abbattimento dello Stato borghese sarebbe seguita una prima fase di "confusione", un caos da cui sarebbe nata la fase dell'ordine quando gli individui avrebbero capito la possibilità e la necessità di auto-organizzarsi sulla base della collaborazione reciproca.
Da parte sua, Marx criticava Bakunin soprattutto per il fatto che "la volontà, non le condizioni economiche, è il fondamento della sua rivoluzione sociale". In altre parole:  non lo Stato, ma la borghesia capitalista  (della quale lo Stato è solo uno strumento)  è per Marx il nemico da annientare.  La scomparsa dello Stato sarà quindi una conseguenza naturale della scomparsa della divisione in classi.
Nella prima Internazionale Marx e Bakunin furono i leader di due opposte correnti e Marx ebbe la possibilità di dimostrare quanto fosse fondata l'accusa di autoritarismo che Bakunin gli aveva rivolto: infatti, quando la corrente marxista si trovò in minoranza, preferì distruggere l'associazione piuttosto che accettare le decisioni della maggioranza.



  • i capi "naturali" del movimento (e quindi del nascente partito) erano quelli che avevano teorizzato il comunismo e la rivoluzione: non operai, ma filosofi, intellettuali, borghesi e perfino nobili; ed erano i soli a possedere gli strumenti culturali necessari per guidare il partito.
  • i proletari che, formandosi la cultura necessaria, avrebbero potuto diventare capi del movimento non avrebbero più fatto il lavoro di prima, quindi sarebbero usciti dalla classe proletaria
  • quali sarebbero gli  interessi  comuni tra i proletari e i non-proletari?
  • è ragionevole che un movimento operaio sia guidato da non-operai, o da ex-operai, con i quali forse il proletariato non ha (o non ha più) interessi comuni?
  • abbattuta la borghesia, da chi sarebbe stato governato lo Stato proletario, se non dagli stessi intellettuali che avevano guidato la rivoluzione?
  • allora, il nuovo governo sarebbe stato una "dittatura del proletariato" o piuttosto una dittatura  dei capi  del proletariato?
  • durante la dittatura del proletariato, come si sarebbe creata la  burocrazia  (che certamente non è fatta di operai) e da chi sarebbe stata controllata?
  •  chi avrebbe avuto le armi?  
  • se è vero che le azioni sono determinate  dagli interessi  (e proprio per questo la rivoluzione proletaria era inevitabile), quale sarebbe stato poi l'interesse, la ragione per cui questa dittatura, la burocrazia e le forze armate avrebbero rinunciato ai propri poteri?

A queste ultime domande, Marx avrebbe forse risposto che la burocrazia, le forze armate e il governo avrebbero spontaneamente ceduto il potere perchè, nati dalla rivoluzione, sarebbero rimasti fedeli alle idee ed al programma rivoluzionario; ma in questo caso avrebbe meritato la stessa critica che egli stesso rivolgeva a Bakunin: che la volontà, non le condizioni concrete erano il fondamento della sua prospettiva rivoluzionaria.

Un'altra questione di essenziale importanza è la seguente: chi e come avrebbe impedito agli Stati capitalisti di aggredire un nuovo Stato socialista? Marx aveva una risposta: il proletariato degli altri Stati si sarebbe opposto all'aggressione.
Questo, in sostanza, significava che la rivoluzione proletaria avrebbe dovuto necessariamente cominciare – contemporaneamente o quasi – in tutti i Paesi capitalisti o  almeno  che i partiti socialisti nazionali fossero abbastanza forti da paralizzare i rispettivi governi (per es. con una serie di scioperi generali). Questo doveva bastare a comprendere l'enorme importanza dell'internazionalismo (e Marx l'aveva ben capita); questa era la ragione per cui l'intero movimento dei lavoratori aveva concentrato i suoi sforzi organizzativi nella prima Internazionale.
Ma questo rende  assolutamente ingiustificabile ed equivalente ad un tradimento della causa del proletariato  il comportamento di Marx e dei suoi seguaci, che preferirono uccidere l'Internazionale piuttosto che lasciarsi mettere in minoranza dagli anarchisti.

* * *

Bakunin, con la sua teoria della "fase di confusione" dalla quale sarebbe sorta spontaneamente la società anarchica, aveva semplicemente eluso una serie di problemi:
  • in qualunque modo, violento o no, in cui  lo Stato  borghese fosse stato abbattuto,  la classe  borghese avrebbe conservato capacità di controllo assolutamente superiori a quelle del proletariato: burocrazia, intellettuali, mezzi d'informazione, esercito, servizi segreti, organizzazioni terroristiche ecc. sarebbero rimasti nelle sue mani. Nulla poteva autorizzare la speranza che dal "caos" previsto dagli anarchisti non sorgesse una dittatura borghese ancora più feroce dello Stato "democratico" appena abbattuto.

Ricordare per es. gli anni 1920-33, quando la rivoluzione tedesca fu stroncata dalle organizzazioni criminali (le bande para-militari) e in Europa il movimento socialista fu fisicamente soppresso dai regimi nazi-fascisti
  • al tentativo di instaurare con la forza una nuova dittatura borghese, solo un partito proletario bene organizzato e bene armato avrebbe potuto opporsi: proprio ciò che Bakunin non voleva; e comunque, all'ipotesi di un tale partito si potevano opporre tutte le obiezioni che già lo stesso Bakunin aveva opposto a Marx, oltre a quelle che abbiamo appena visto in sintesi
  • la filosofia che "il morto insegna a piangere", cioè che  intanto  le masse faranno la rivoluzione, e poi impareranno, lungo il cammino, a difendere le proprie conquiste, sembra un po' troppo semplice. Le masse non partoriscono miracolosamente, dall'oggi al domani, capi politici, dirigenti, economisti, legislatori, burocrati e capi militari; e  intanto  gli eserciti della borghesia sparano cannonate vere, e non chiacchiere.
Una componente della tendenza spontaneista, che ha le sue radici nell'anarchismo "individualista" di fine Ottocento, è quella che vede nel sottoproletariato e nella piccola delinquenza un "potenziale rivoluzionario" che si sposa felicemente (guarda caso!) con lo spirito di trasgressione e di illegalità della piccola borghesia "di sinistra". Tale componente ha continuato e continua ad affiorare, qua e là, fino ai tempi attuali ed è stata espressa nel pamphlet "L'insurrection qui vient", pubblicato in Francia nel 2007, un'opera sotto molti aspetti esemplare.
v. scheda "La prossima Rivoluzione Francese"  

Oggi come allora, realisticamente, il problema si pone proprio nei termini in cui tanto Marx quanto Bakunin avevano evitato di porselo: data per inevitabile la necessità di un'organizzazione, si tratta di trovare il modo in cui tale organizzazione non diventi un partito e rimanga sempre controllabile "dal basso"

E' ragionevole temere che attualmente qualunque "partito", per sua stessa natura, non potrebbe essere migliore dei partiti già esistenti, o magari peggiore.
Certamente non è facile (se fosse facile qualcuno l'avrebbe già fatto); ma alla luce delle recenti esperienze storiche non è ammissibile nessun tentativo, conscio o inconscio, di eludere un tale problema.

giovedì 24 marzo 2016

Isis, Isil, Is, Sic e poi Daesh: solo manovalanza dei poteri occulti?


E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte alla strage di Parigi e ora di Bruxelles, che espone al ridicolo l’intero dispositivo "ieri" francese e oggi belga della sicurezza: professionisti armati, alloggiati, organizzati e coordinati hanno potuto mettere a segno attacchi simultanei in pieno centro. Vuol dire che è meglio che quelli della sicurezza si diano al giardinaggio. Possibile che gli uomini di Hollande prima e del ministro dell'Interno belga e vice primo ministro Jan Jambon poi si siano fatti sorprendere così? Peraltro, se si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin Towers, dopo tre guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi spesi, qui la disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta l’intelligence occidentale. Puzza di bruciato? L’Isis è stato finanziato da Turchia e Arabia Saudita, e equipaggiato, secondo molti osservatori internazionali, dagli Usa. Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai “ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain. «La Russia, con il suo intervento in Siria, ha cambiato il quadro politico mondiale», osserva Giulietto Chiesa su “Megachip”. «Il piano di ridisegnare la mappa medio-orientale è fallito. Daesh è, di fatto, sconfitta là dov’è nata. Dunque i suoi manovratori sposterebbero l’offensiva in Europa». Obiettivo chiarissimo: terrorizzare il vecchio continente e costringerlo sotto l’ombrello americano. «A mettere a posto la Russia penserà Washington. Del resto l’Airbus abbattuto nel Sinai, in termini di sangue russo innocente, è equivalso al massacro parigino. E non ce ne eravamo accorti». Merkel e Hollande, i due leader che «stavano cambiando rotta per uscire dal cappio americano», sono avvertiti. E mentre i Renzi di tutta Europa non osano affrontare le telecamere non sapendo cosa dire, ci si domanda inevitabilmente chi siano i manovratori dei terroristi islamisti. «L’Isis è creatura di una Spectre composta da pezzi di Occidente e petromonarchie del Golfo», annota Chiesa. «Qualcuno la guida, ed è molto potente, carico di denaro e di armi. Il fanatismo è la sua facciata. Ma non spiega la sua “intelligence”». Una traccia l’ha fornita un anno fa Gioele Magaldi col suo libro “Massoni”, edito da Chiarelettere: una delle 36 Ur-Lodges, vertice massonico del potere mondiale, avrebbe un debole per le stragi e la strategia della tensione. Si chiama “Hathor Pentalpha” e, secondo Magaldi, annovera tra i suoi leader il capo del centrodestra francese, Nicolas Sarkozy. Obiettivo strategico: annullare la democrazia, anche a colpi di attentati, per riconsegnare il potere all’élite più reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica. Quella che lavora per scenari da terza guerra mondiale.

Il nome del gruppo è stato indicato, a seconda dei casi, con le sigle Isis, Isil, Is e anche Sic. Perché questa confusione? Uno dei motivi è che il gruppo si è evoluto nel corso del tempo, cambiando il suo stesso nome. All’inizio era una piccola ma brutalmente efficace fazione della resistenza sunnita all’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003 che si faceva chiamare Al Qaeda in Iraq, o Aqi. Nel 2007, in seguito alla morte del suo fondatore (e alle accuse di essere troppo sanguinario, che gli sono state rivolte da Al Qaeda), Aqi ha cambiato nome in Stato islamico in Iraq, o Isi. In seguito ha subìto alcune battute d’arresto sul suo territorio ma, osservando la Siria sprofondare nella guerra civile nel 2011, ha intravisto un’opportunità. Nel 2013 si era installato nella parte orientale della Siria, assumendo il nuovo e più aderente nome di Stato islamico in Iraq e Siria (Isis). Rendendo le cose ancora più complicate, l’Isis ha cambiato nuovamente nome nel giugno 2014 , proclamandosi Stato del califfato islamico (Sic), un titolo che riflette le sue ambizioni d’autorità su tutti i musulmani del mondo. La traduzione offre agli acronimi nuove possibilità di moltiplicarsi. Nelle sue prime incarnazioni come Isis, il gruppo voleva mettere in discussione i confini “colonialisti” usando un vecchio nome geografico arabo, al Sham, che comprende sia la capitale siriana Damasco sia la più ampia regione del Levante, il che spiega la predilezione ufficiale statunitense per l’espressione Stato islamico dell’Iraq e del Levante (o Isil) invece che per Isis. L’equivalente arabo, Al dawla al islamiya fi al Iraq wal Sham, può essere abbreviato in Daesh, così come il nome di Hamas (che significa zelo in arabo) per il gruppo palestinese è un acronimo di Harakat al muqawama al islamiya, ovvero Movimento di resistenza islamica. Daesh è il nome che più si è diffuso nei paesi arabi, anche se i membri del gruppo lo chiamano semplicemente al dawla, lo stato, e minacciano di frustare quanti usano il termine Daesh.
Giulio Tonpesi

Giulietto Chiesa: «Ecco chi c'è dietro gli attentati di Bruxelles»

Gli attentati di Bruxelles hanno colpito il cuore dell'Europa. Il terrorismo di matrice islamica continua a bagnare col sangue le nostre stazioni e i nostri aeroporti.







Ma c'è chi dà una lettura diversa a quanto accaduto. Su Facebook Giulietto Chiesa si avventura in una teoria curiosa: "Prosegue l'offensiva terroristica. Di chi? Contro chi? Queste bombe sono la prosecuzione di quelle di Parigi, uno e due. Di Ankara, contro i tedeschi. Sono la prosecuzione di Colonia. Sono lo strascico del fiume di profughi.
Andiamo con ordine: sono contro di noi. Contro "i popoli d'Europa". Per ridurre le loro libertà residue e le loro capacità di risposta ai soprusi dei poteri. Infatti il primo risultato, scontato, sarà la sospensione di tutte le garanzie democratiche. E' già in corso in Francia, ora sarà la volta del Belgio. Poi, dopo qualche attentato in Italia, sarà la volta dell'Italia".
E ancora: "Noi italiani abbiamo già vissuto la stessa cosa con la strategia della tensione. Questo ci dice che non dobbiamo cadere nella trappola di guardare il dito invece della Luna. Se ci dicono che è Daesh, diffidiamo. Probabilmente è "anche" Daesh. Ma Daesh è lo strumento, e la mano (in parte), ma non la mente. Sono bombe contro "l'Europa dei popoli", per renderla uno straccio subalterno al potere dell'Impero, per trascinarla in guerra tutta intera, terrorizzata, per mettere la museruola a tutti, anche ai recalcitranti. L'avviso è per tutti non solo per Bruxelles". Infine prova a tracciare un'ipotesi sugli attentati: "Chi è la mente non lo possiamo sapere. E' il sancta santorum di questa strategia. Ma i servizi segreti europei, tutti, sono filiali inquinate di altri servizi segreti. Per questo non scoprono niente. Per questo non possono indagare. Per questo dobbiamo riprendere in mano la nostra sovranità, e cambiarli. Altrimenti ci faranno arrostire, prima di renderci schiavi".