venerdì 30 agosto 2019

Il fascismo




Alcuni dati sugli anni in cui l’Italia era guidata da Benito Mussolini:
– Mussolini ha tolto la libertà ai cittadini: libertà di voto, di associazione, di sciopero e di opinione
– Mussolini eseguiva regolarmente pene di morte: 42 fucilati nel ventennio su sentenza del Tribunale Speciale
– 27.735 anni complessivi di carcere e confino politico
– 4.596 condannati dai tribunali speciali, di cui 697 minorenni
– 80.000 libici sradicati dal Gebel con le loro famiglie e condannati a morire di stenti nelle zone desertiche della Cirenaica
– 700.000 abissini uccisi nel corso della impresa Etiopica e nelle successive operazioni di polizia
– 350.000 militari e ufficiali italiani caduti o dispersi nella Seconda Guerra mondiale
– di cui 3.000 italiani morti in Spagna
– di cui 140.000 italiani morti in Russia
– di cui 30.000 italiani morti in Grecia
– 110.000 caduti nella Lotta di Liberazione in Italia e all’estero
– migliaia di civili sepolti vivi tra le macerie dei bombardamenti delle città.
– innumerevoli combattenti degli eserciti avversari ed i civili che morirono per le aggressioni fasciste.
– 45.000 deportati politici e razziali nei campi di sterminio, 15.000 dei quali non fecero più ritorno
– 8.500 ebrei italiani di cui 7.800 sono morti
– 40.000 internati militari nei lager tedeschi
– 600.000 prigionieri di guerra italiani che languirono per anni rinchiusi in tutte le parti del mondo.

È imbarazzante vedere tanti italiani inneggiare al duce: l’apologia del fascismo è un grave reato previsto dalla legge 20 giugno 1952, n. 645, anche detta Legge Scelba, che prevede reclusione da 6 mesi a 2 anni e multa da 206 a 516 euro e sanziona:
« chiunque pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche ».
Anche se la legge mira a vietare la ricostituzione di un partito, ispirato al disciolto partito fascista e che quindi sia finalizzato al ritorno di una dittatura fascista, è specificato che il reato si configura quando:
« un’associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista »


Ma l’incapacità di analisi critica, l’analfabetismo funzionale e a volte la becera ignoranza, imbarazza ancor di più quando avviene sulla base di una vera e propria mistificazione dei fatti e della Storia. È opinione comune sui social network che il fascismo fosse un regime caratterizzato da rettitudine morale, ma neanche questo è vero. L’omicidio Matteotti, rivendicato in parlamento da Mussolini, aveva come movente la scoperta delle ricche tangenti pagate dalla società petrolifera Sinclair Oil ai gerarchi fascisti. E il fascismo non ha inventato lo stato sociale, né gli si possono attribuire i meriti che solitamente gli sono ascritti nella cultura popolare. Più precisamente:

1. Mussolini non ha creato le pensioni: la previdenza sociale nasce nel 1898 con la fondazione della “Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai“, e all’epoca Mussolini aveva 15 anni.
L’iscrizione a tale istituto diventa obbligatoria solo nel 1919, durante il Governo Orlando, anno in cui l’istituto cambia nome in “Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali”. Nel 1933 venne rinominata “Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale“. La pensione sociale venne introdotta solo nel 1969, e Mussolini in quella data era già morto da 24 anni.

2. Mussolini non ha istituito la cassa integrazione: la “Cassa Integrazione Guadagni” è stata creata il 12 agosto 1947 con DLPSC numero 869, ed era una misura finalizzata al sostegno dei lavoratori dipendenti da aziende che durante la guerra erano state colpite e non erano in grado di riprendere normalmente le attività. La cassa integrazione nasce per rimediare ai danni causati dal fascismo e della guerra che hanno causato milioni di disoccupati.

3. Mussolini non ha istituito l’indennità di malattia: nata invece con decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato nr.435 del 13 maggio 1947, è stata estesa nel 1968 a tutti i lavoratori, anche coloro che dipendevano da imprese private. E per un po’ di storia – che non guasta mai – con Legge 23 dicembre 1978 nr. 833, all’indennità retributiva in caso di malattia veniva aggiunto anche il diritto all’assistenza medica, con la costituzione del “Servizio Sanitario Nazionale“.

4. Mussolini non istituì la tredicesima mensilità per tutti: venne istituita soltanto per i lavoratori dell’industria pesante. E’ dopo la caduta del fascismo che le mensilità aggiuntive divennero appannaggio dei lavoratori, con un “Accordo Interconfederale per l’Industria” del 27 ottobre 1946 e con il D.P.R. 28 luglio 1960 n. 1070.

5. Mussolini non diede il voto alle donne: le donne erano ammesse alle votazioni solo per piccoli referendum locali mentre erano escluse al voto per le elezioni politiche, che tra l’altro Mussolini stesso abolì nel 1925 instaurando la sua dittatura. La prima volta che le donne furono ammesse al voto fu al referendum del 1946.

6. Con Mussolini i treni non erano poi così puntuali: il giornalista George Seldes nel 1936 commentò: “E’ vero: la maggioranza degli espressi su cui salgono i turisti stranieri sono in genere in orario, ma sulle linee minori i ritardi sono frequenti“. L’inglese Elisabeth Wiskemann, sempre nel 1936: “Ho preso molte volte il treno e spesso sono arrivata in ritardo“. Lo storico Denis Mack Smith sostenne che “la puntualità dei treni durante il periodo fascista è uno dei miti accettati del fascismo“. Nella realtà tra le due guerre l’Italia possedeva una rete ferroviaria inadeguata e arretrata (qui articolo originale dall’Indipendent: http://www.independent.co.uk/voices/rear-window-making-italy-work-did-mussolini-really-get-the-trains-running-on-time-1367688.html).

7. Ai tempi del Duce gli italiani non erano ricchi: l’Italia stava preparando l’entrata in guerra e tutte le industrie e l’artigianato che direttamente o indirettamente fornivano l’esercito, lavoravano a pieno regime. Per contro, il 27 maggio 1933 l’iscrizione al partito fascista fu dichiarata requisito fondamentale per il concorso a pubblici uffici, e dal 3 giugno 1938 non si poteva lavorare se non si aveva la tessera.
Ma a seguito delle sanzioni internazionali irrogate all’Italia per aver invaso l’Etiopia, il 18 novembre 1936 venne indetto il “Giorno della fede” in cui gli italiani furono invitati, in teoria, a donare tutto il proprio oro alla Patria ricevendo in cambio anelli in ferro con la scritta “Oro alla Patria – 18 NOV.XIV” che qualche anziano possiede ancora. La verità era che chiunque venisse colto a possedere oro proprio in casa, veniva perseguito come traditore e nemico della patria dalle squadre del Fascio Littorio.
Altro esempio sono le “Misure di Autarchia” per sostenere la guerra in Eritrea: tutti i prodotti di importazione vennero soppressi. La maggior parte del grano utilizzato per la pasta fu sostituito dal riso; il caffè fu sostituito dalla cicoria tostata; il the dal karkadè.
Infine, era disposto il sequestro della produzione agricola ai contadini: furono anni in cui calò l’allevamento dei maiali, animale ingombrante, oneroso da mantenere, visibile e quindi facilmente sequestrato, in favore dell’allevamento del coniglio, più piccolo e più discreto. Una misura talmente impopolare che nel paese di Santa Sofia di Romagna (provincia di Forlì – Cesena), tutta la collina della frazione di Camposonaldo, zona impervia da esplorare, divenne prima che territorio e base dei partigiani luogo di allevamento abusivo dei conigli.

8. Il Duce non amava l’Italia: «Mi serve qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative» enunciò il Duce il 26 maggio 1940 (fonte: “L’Italia nella seconda guerra mondiale“, Mondadori, 1946: pag. 37).
Nella disastrosa “Campagna di Russia“, solo per compiacere Hitler con una presenza italiana del tutto male equipaggiata, persero la vita ufficialmente 114.520 militari sui 230.000 inviati al fronte, a cui aggiungere i dispersi, ovvero le persone che non risultavano morte in combattimento ma nemmeno rientrate in patria, che fonti “Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia” stimano in circa 60.000 uomini, la maggior parte morti in prigionia.
Esempio lampante sono poi le “Leggi Razziali Antisemite“, introdotte nel 1938 sempre per compiacere l’alleato nazista: ma in Italia gli ebrei, a differenza della Germania, non avevano un’importanza rilevante nel sistema economico né averi di cui la dittatura volesse provvedere all’esproprio. Furono istituiti 259 campi di prigionia: alcuni erano campi di detenzione, altri campi di smistamento in attesa della deportazione in Germania e Polonia (Chełmno, Bełżec, Sobibór, Treblinka, Majdanek e Auschwitz-Birkenau), altri dotati di forno crematorio come la Risiera di San Sabba a Trieste (con il quale si stimano siano state soppresse 3.000 persone).

9. Durante il fascismo la corruzione dilagava: l’azienda americana Sinclair Oil, pur di ottenere il contratto di ricerche petrolifere in esclusiva sul suolo italiano, pagò tangenti a membri del governo e ad Arnaldo Mussolini, per oltre 30 milioni di lire. Giacomo Matteotti fu rapito ed ucciso il 10 giugno 1924 perché denunciò questi traffici di tangenti, assieme a quelli per apertura di nuovi casinò, speculazioni edilizie, di ferrovie, di armi: affari in cui era coinvolto il futuro Duce e suo fratello Arnaldo.
I documenti scoperti e mostrati da storici di assoluto valore come Mauro Canali, Mimmo Franzinelli, Lorenzo Benadusi, Francesco Perfetti, Lorenzo Santoro presso l’Archivio Centrale dello Stato mostrano speculazioni, truffe, arricchimenti improvvisi, carriere strepitose e inspiegabili di gerarchi, generali, della figlia Edda, dell genero Galeazzo Ciano e di Mussolini stesso. Qui il documentario Rai “Fascismo: dossier, ricatti, tradimenti

Squadrismo, violenza politica, repressione tramite il Tribunale Speciale, squadrismo, deportazione, guerra.
Questa l’escalation sul territorio Italiano, di cui qualche aneddoto è riportato più sotto.
Sono dati da non mescolare con quel che è accaduto nei Paesi dell’Est Europa sotto altre ideologie, durante la Seconda Guerra Mondiale oppure anche durante la Prima Repubblica in Italia.
La prossima volta che vi imbattete in una immagine che inneggia alla saggezza del Duce e di come potrebbe essere la salvezza dell’Italia fatevi una ricerca sulla storia del fascismo.

Marco Infussi

Squadrismo e violenza politica

Fra le attività “qualificanti” del fascismo del primo periodo vi è il sistematico ricorso alla violenza contro gli avversari politici e le loro sedi. Torture, olio di ricino, umiliazioni, manganellate.
Un calcolo approssimativo induce a calcolare in circa 500 i morti causati dalle spedizioni punitive fasciste fra il 1919 e il 1922.
Don Giovanni Minzoni fu assassinato in un agguato da due uomini di Balbo nell’agosto del 1923.
Giacomo Matteotti venne rapito e assassinato con metodo squadrista nel giugno 1924, e il gesto sarebbe stato esplicitamente rivendicato da Mussolini in un discorso nel gennaio dell’anno successivo.
Piero Gobetti, minato dall’aggressione subita nel settembre 1924, morì due anni dopo, in esilio.
Giovanni Amendola spirò per le ferite riportate in un’aggressione fascista subita nel luglio 1925.

La repressione: il Tribunale speciale per la difesa dello Stato

Assunto il potere Mussolini si poté giovare dell’apparato di repressione dello Stato.
Con la nascita dell’OVRA (Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione dell’Antifascismo) venne razionalizzata la persecuzione degli antifascisti, con tutti i mezzi: legali e illegali, compreso l’omicidio politico in paese straniero.
Arturo Bocchini, capo della polizia, venne incaricato dallo stesso Duce e dal ministro degli Esteri Galeazzo Ciano di eliminare fisicamente Carlo Rosselli che allora risiedeva a Parigi. Il 9 giugno 1937, a Bagnoles-de-l’Orne, un commando di cagoulards (gli avanguardisti francesi) compì la missione: bloccata l’auto sulla quale viaggiavano i due fratelli Carlo e Nello, questi furno pestati e poi accoltellati a morte.
Lo strumento ufficiale della repressione fascista fu invece il Tribunale speciale per la difesa dello Stato.
L’attentato di Anteo Zamboni a Mussolini, il 31 ottobre 1926, offrì l’occasione di una serie di misure repressive.
Tra queste la “Legge per la Difesa dello Stato” n. 2008 del 25 novembre 1926, che stabilì la pena di morte per chi anche solo ipotizzava un attentato alla vita del re o del capo del governo. La normativa istituì il Tribunale Speciale, via via prorogato fino al luglio 1943, quindi ricostituito nel gennaio 1944 nella Rsi.
Nel corso della sua attività, il Tribunale Speciale emise 5619 sentenze e 4596 condanne, tra cui 122 donne e 697 minori. Le condanne a morte furono 42, delle quali 31 furono eseguite mentre furono 27.735 gli anni di carcere.
Antonio Gramsci morì in carcere nel 1938.
Michele Schirru fu fucilato nel 1931 solo per avere espresso “l’intenzione di uccidere il capo del governo”.
Il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini passò sei anni di prigione, venne trasferito a Ponza come confinato politico e il 20 settembre 1940, pur avendo ormai scontato la sua condanna, giudicato comunque «elemento pericolosissimo per l’ordine nazionale» e riassegnato al confino per altri cinque anni da trascorrere a Ventotene, dove incontrò Altiero Spinelli, Umberto Terracini, Pietro Secchia, Ernesto Rossi, Luigi Longo, Mauro Scoccimarro, Camilla Ravera e Riccardo Bauer.

Il confino

Il confino di polizia in zone disagiate della Penisola fu una misura usata con straordinaria larghezza. Il regio decreto 6 novembre 1926 n.1848 stabilì che fosse applicabile a chiunque fosse ritenuto pericoloso per l’ordine statale o per l’ordine pubblico. A un mese dall’entrata in vigore della legge le persone confinate erano già 600, a alla fine del 1926 oltre 900: tutti in isolette del Mediterraneo o in sperduti villaggi dell’Italia meridionale.
A finire al confino furono importanti nomi della futura classe dirigente: da Pavese a Gramsci, da Parri a Di Vittorio, a Spinelli. Gli inviati al confino furono, complessivamente, oltre 15.000.
Ben 177 antifascisti morirono durante il soggiorno coatto.

Deportazione

La politica antiebraica del regime fascista culminò nelle leggi razziali del 1938.
Alla persecuzione dei diritti subentrò, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, anche la persecuzione delle vite. La prima retata attuata risale al 16 ottobre 1943 a Roma: degli oltre 1.250 ebrei arrestati in quell’occasione, più di 1.000 finirono ad Auschwitz, e di essi solo 17 erano ancora vivi al termine del conflitto.
Il Manifesto programmatico di Verona del 14 novembre 1943 sancì che gli ebrei erano stranieri e appartenevano a “nazionalità nemica”. Di lì a poco un ordine di arresto ne stabilì il sequestro dei beni e l’internamento, in attesa della deportazione in Germania. Il regime fascista gettò circa 10.000 ebrei nelle spire della “soluzione finale” hitleriana.
Oltre alla deportazione razziale, fra le responsabilità del regime di Mussolini c’è anche la deportazione degli oppositori politici e di centinaia di migliaia di soldati che, dopo l’8 settembre, preferirono rischiare la vita nei campi di concentramento in Germania piuttosto che aderire alla Rsi.

La guerra

Fuori dai confini i morti contano forse meno? Non sono uomini come noi gli Etiopi uccisi con il gas durante la guerra per l’Impero, o i Libici torturati e impiccati durante le repressioni degli anni Venti e Trenta, o gli Jugoslavi uccisi nei campi di concentramento italiani in Croazia?
Mussolini trascinò in guerra l’Italia il 10 giugno del 1940, per partecipare al banchetto nazista.

I risultati, per l’Italia, furono questi.
Fino al 1943, 194.000 militari e 3.208 civili caduti sui fronti di guerra, oltre a 3.066 militari e 25.000 civili morti sotto i bombardamenti alleati.
Dopo l’armistizio, 17.488 militari e 37.288 civili caduti in attività partigiana in Italia, 9.249 militari morti in attività partigiana all’estero, 1.478 militari e 23.446 civili morti fra deportati in Germania, 41.432 militari morti fra le truppe internate in Germania, 5.927 militari caduti al fianco degli Alleati, 38.939 civili morti sotto i bombardamenti, 13.000 militari e 2.500 civili morti nelle file della Rsi.
A questi vanno aggiunti circa 320.000 militari feriti sui vari fronti per l’intero periodo bellico 1940/1945 e circa 621.000 militari fatti prigionieri dalle forze anglo-americane sui vari fronti durante il periodo 1940/1943.

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